Alcuni critici (il primo fu Goethe) hanno
affermato che alcune parti del romanzo, quelle della guerra, della
carestia, della peste, sono piuttosto eticamente negative. Anzi
hanno addirittura affermato che se fossero tolte il romanzo ne
guadagnerebbe. Il Momigliano, invece, ha fatto capire ai lettori che
nei Promessi Sposi non c’è solo il dramma personale di Renzo e di
Lucia ma che, anzi, fusa con queste storie più evidenti e più note,
c’è un’altra parte del libro, ugualmente grande: "gli errori e le
angosce di un’età: la sommossa nata da una carestia aggravata
dall’ignoranza... la peste... aggravata dall’ignoranza -
dall’insensibilità... le credenze superstiziose... l’iniquità della
giustizia alleata alla prepotenza; l’oppressione spagnola; il
flagello della guerra." Ha detto Momigliano che non v’è sentimento
più profondo, nei Promessi Sposi, di quello del dolore e che la
grande arte del romanzo comincia proprio dove l’errare malinconico
degli esuli e le loro vicende si innestano nella tragedia di tutto
un popolo. Perciò la parte cosiddetta ‘storica’ non è assolutamente
secondaria rispetto all’arte del romanzo. Se i Promessi Sposi
fossero solo la storia di don Rodrigo, se i Promessi Sposi non
fossero il ritratto di un’epoca intera vista alla luce di un
altissimo e umanissimo sentimento religioso, essi non sarebbero il
capolavoro che sono. In questo senso ha perfettamente ragione il
Russo quando sostiene esservi nel romanzo un solo, vero
protagonista, il ‘600. Un aspetto importante dell’uso che Manzoni fa
della storia nel romanzo è individuato dal Getto, cui risalgono
queste osservazioni. "... abbiamo un bel pezzo da percorrere, senza
incontrare alcun de’ nostri personaggi [e si prepara la guerra, la
carestia, la peste]" E’ il cap. XXVII. Puoi leggere da "Venne
l’autunno... " fino a "secondo la scala del mondo." Il romanzo ha
come protagonisti proprio loro, gli "infimi" secondo la scala del
mondo. Quindi non è costruito "secondo la scala del mondo". Però la
vita dei piccoli è in balìa dei grandi e dei grandi eventi scatenati
o non contrastati dai ‘grandi’: perciò il romanzo "lascia" i suoi
protagonisti per un po’, allarga l’orizzonte ai grandi eventi,
ristabilisce le misure secondo la prospettiva del mondo, poi torna
ai suoi eroi prediletti. Bonora commenta il cap. XXXI notando che
escono di scena tutti i personaggi del romanzo e protagonista
diventa questa sciagura, che viene dal cielo, aggravata
dall’ignoranza degli uomini. La parentesi dei capp. XXXI e XXXII è
sembrata eccessiva. Ma in realtà il tono tragico riprende quello del
cap. XXVIII (carestia), con la commozione per i lutti dell’umanità e
l’implacabile denuncia degli errori che "si potevano evitare". Per
quanto riguarda poi la struttura del romanzo negli stessi capitoli,
dal XXXIV in avanti non si spiegherebbe una così stupenda e accorata
potenza tragica senza quella ‘parentesi’.
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