Il rapporto tra ideale e reale, come rapporto di
unità, senza cedimenti all’oratoria religiosa, è già in modo
convincente spiegato da De Sanctis, e Momigliano lo rafforzerà.
"L’originalità del romanzo è in questo, che l’ideale non è un’idea
del poeta, un suo proprio mondo morale foggiato dal suo spirito e
che faccia stacco dal racconto, ma è membro effettivo e organico
d’una storia reale e concreta [cioè l’ideale del Manzoni è l’idea
religiosa che effettivamente risiedeva nello spirito di quel tempo,
o brillante o attutita, o pervertita, o negata; ma c’era. Sicché
l’ideale non è l’uno e lo stesso nella infinita varietà della natura
e della storia... ma è il proprio e l’incomunicabile, l’individuo e
il vivente... Ciascuna cosa che vive, ha un ideale suo, il
"caratteristico", che la fa essere sé e non altro; ciò che si dice
"individuo". Ma se ciascun individuo ha un ideale suo [cioè una sua
individua fisionomia], segue che ci sono ogni sorta di ideali, belli
e brutti, buoni e cattivi, e che don Abbondio e don Rodrigo, e fin
Tonio e Griso, sono personaggi non meno ideali e non meno poetici
che Lucia e Borromeo. Anzi chi va a fil di logica è sforzato a
conchiudere che base così dell’arte come della vita è non il
perfetto, ma l’imperfetto, se è vero che l’ideale, perché viva, deve
essere un individuo, avere le sue miserie, le sue passioni, le sue
imperfezioni." "Ciò che dicesi... la misura dell’ideale: tutto ciò
che esce dalla sua immaginazione ha il carattere di una realtà
positiva, esce cioè limitato, misurato, così minutamente
condizionato al luogo, al tempo... ai costumi, che ti balza innanzi
un vero essere vivente [...] Il meraviglioso, l’eroico, il perfetto,
ciò che si dice l’ideale, non lo alletta, anzi lo insospettisce, e
mette ogni cosa a ridurlo nelle proporzioni del credibile e del
naturale. Anzi la sua inclinazione è di entrare nel più minuto della
vita, d’intrattenersi nelle più basse sfere, sdegnate dalla poesia
nobile e solenne. Là, in quelle sfere inesplorate, trova i suoi
ritratti più originali; là vivono i suoi osti e le sue spie, i suoi
bravi e i suoi monatti, i suoi cappuccini... e la madre di
Cecilia... di là esce animata e parlante la plebe." De Sanctis, per
di più, scrivendo nel 1873, segnava l’altissimo valore storico del
romanzo in questo modo: "In questo cammino [sulla via del reale] noi
ci siamo lasciati oltrepassare [pensa alla Francia, a Zola ecc.]...
ora ci siamo risvegliati [attenzione! Nel 1874 uscirà Nedda, di
Verga], e cominciamo una nuova storia, e la pietra miliare della
nuova storia è questo romanzo. "Anche Capuana, si ricordi, (cfr.
Petronio, Civiltà nelle lettere, 3) converrà che Renzo e ‘Ntoni sono
della stessa famiglia.
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