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RIASSUNTO CAPITOLO 26
Prosegue e si conclude il colloquio tra don Abbondio e il cardinale che lo rimprovera di aver fatto ricorso al pretesto dei superiori per rinviare la cerimonia, di non aver invece pensato a chiedere la sua protezione contro il prepotente che si è fatto forza della sua paura («- I pareri di Perpetua! - pensava stizzosamente don Abbondio»). Ma è un colloquio tra interlocutori destinati a non comprendersi: da una parte il cardinale, implacabile censore anche di se stesso, le cui parole - di tono sostenuto con frequenti richiami biblici - scaturiscono dall'idea di un dovere che non può mai essere eluso; dall'altra don Abbondio, le cui intime convinzioni sono espresse solo tra sé e sé, con le consuete espressioni popolaresche e volgari, mentre le risposte al cardinale suonano tortuose ed evasive.
Eppure, alla fine, anche don Abbondio risulta commosso dalle parole di carità («Era, se ci si lascia passare questo paragone, come lo stoppino umido e ammaccato d'una candela, che presentato alla fiamma d'una gran torcia, da principio fuma, schizza, scoppietta, non ne vuol sapere nulla; ma alla fine s'accende e, bene o male, brucia») e promette di cambiare atteggiamento.
La mattina seguente
donna Prassede viene a prendere Lucia.
L'innominato fa recapitare ad Agnese, tramite il cardinale, cento scudi per la dote della ragazza.
Agnese si precipita da Lucia per comunicarle l'inattesa fortuna: con quei soldi potranno raggiungere Renzo, appena avranno sue notizie. Lucia però le rivela il voto e la prega quindi di mandare la metà della somma «a quel poverino», con la notizia del voto e la raccomandazione di mettersi il cuore in pace. Agnese, «stupefatta e costernata», acconsente. Si salutano tristemente, ripromettendosi di rivedersi l'autunno seguente.
Da Renzo non giungono notizie: il governatore spagnolo l'ha fatto ricercare per via ufficiale, ma il governo veneziano ha interesse a trattenere i filatori di seta, pertanto le ricerche sono state molto superficiali, tali comunque da mettere sull'avviso Bortolo che l'ha sistemato in un altro paese, sotto il nome di Antonio Rivolta, simulandone con tutti, quindi anche con gli inviati del cardinale, la scomparsa a sua
insaputa.
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