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RIASSUNTO CAPITOLO 31
Con la fame e la guerra arriva la peste, entrata
nel Ducato con l'esercito imperiale. Tralasciato
il filo della narrazione e l'artificio
dell'anonimo, il Manzoni, dopo aver delimitato il
campo della sua ricerca al Milanese, passa a
discutere in generale le fonti che ha esaminato,
confrontato, integrato a vicenda, dimostrando così
di aver applicato un metodo di ricerca che risale
all'Illuminismo, e in particolare a Ludovico
Antonio Muratori. Ma al rigoroso metodo di ricerca
di ascendenza illuministica si unisce la passione,
tipica della storiografia romantica, di raccontare
la storia del popolo.
Gli abitanti cominciano a morire, ma il grande
medico Lodovico Settala è l'unico a dichiarare che
si tratta di peste. Un altro medico, il Tadino,
invia lettere in cui si denuncia la presenza della
peste nei paesi circonvicini. Vengono emanate
gride, ma sia l'autorità (il governatore in
particolare preoccupato dell'andamento sfavorevole
della guerra) che la popolazione non credono nella
presenza della peste, portata da un soldato
italiano. Nel mese di marzo la peste entra in
Milano. La direzione del lazzaretto è affidata al
cappuccino padre Felice Casati, validamente
coadiuvato da padre Michele Pozzobonelli e da
tanti altri confratelli.
Il Manzoni ha così modo di confortare con i fatti
l'elogio dei cappuccini tessuto fin dall'inizio
del romanzo (cap. III). Col passare dei giorni e
l'aggravarsi della situazione non si nega più la
peste, ma si diffonde la psicosi che a propagare
il contagio siano gli «untori».
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