LETTERATURA ITALIANA: PROMESSI SPOSI

 

Luigi De Bellis

 


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RIASSUNTO
PROMESSI SPOSI






RIASSUNTO CAPITOLO 4

Il capitolo quarto è interamente dedicato alla figura di padre Cristoforo (cappuccino, forse storicamente identificabile in Cristoforo Picenardi da Cremona) che, già nominato nel capitolo precedente, subito accompagnato dall'aggettivo «riverito», entra ora in scena. Lo vediamo uscire all'alba dal convento di Pescarenico, diretto alla casa di Lucia. Segnali della carestia incombente lo accompagnano nel suo cammino: uomini e animali denunciano sofferenza (è un preludio del grande quadro urbano del cap. XXVIII). Pochi tratti somatici, tra cui rimane impresso il paragone degli occhi con «due cavalli bizzarri», ne tratteggiano l'aspetto, e, contemporaneamente, l'indole risentita: da qui prende le mosse l'ampia disgressione per narrare la vicenda che ne ha formato il carattere e ne ha condizionato la scelta di vita.
Il suo nome di battesimo era Lodovico: figlio di un mercante che, arricchitosi, si era ritirato dal commercio, era stato educato come un nobile. Con i nobili arroganti della sua città era però presto entrato in contrasto, finché ne aveva ucciso uno in duello, a conclusione di una banale contesa per motivi di precedenza. Rifugiatosi in un convento, gravemente ferito, era maturata in lui, insieme al rimorso, la vocazione e si era fatto frate, prendendo il nome di Cristoforo, suo fedele servitore morto per difenderlo. Sul punto di partire per la sua prima destinazione aveva chiesto perdono al fratello dell'ucciso che gliel'aveva concesso, di fronte a tutta la famiglia dandogli in pegno un pane. Da allora aveva condotto vita esemplare, pur mantenendo un'«indole focosa».

La storia di Lodovico è intessuta di richiami alla vita secentesca vista dagli occhi di chi, polemicamente, ne misura la vuota apparenza: la vergogna del mercante per essere stato mercante («non riflettendo mai che il vendere non è cosa più ridicola che il comprare»); l'educazione superficiale impartita ai giovani nobili; gli ossessivi rituali cavallereschi; l'ambiguo rapporto che lega il clero, pur deciso a difendere le sue prerogative, alla nobiltà.
Puntigliosa, anche in questo caso, la ricostruzione dell'ambiente: pranzi, strade marciapiedi, cortili, «durlindane pendenti», «gorgiere inamidate», «rabescate zimarre».
Solo la virtù dell'umiltà e il sentimento cristiano del perdono possono far breccia in questo mondo intriso di arroganza e violenza
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2001 © Luigi De Bellis - letteratura@tin.it