A Gloria del Gran Maestro dell’Universo e del Nostro Protettore San Teobaldo

Rivoluzione e Reazione in Irpinia - 1820 -

Da V. Cannaviello, Gli Irpini nella rivoluzione del 1820 e nella reazione, Avellino, 1941.

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La Carboneria a Solofra

La Carboneria

Una setta politica popolare al centro degli avvenimenti che agitarono il Napoletano nei primi decenni dell'Ottocento. Fu una propaggine della Massoneria.
Scopo:
· educazione del ceto umile al regime costituzionale.

[Massoneria, antica società politica, che accoglieva adepti di grado sociale elevato, asservita a Napoleone e ai Napoleonidi tanto da diventarne un efficace strumento di governo ed introdotta nel Napoletano da Giuseppe Bonaparte. Una "Loggia massonica" fu installata ad Avellino, quando la città divenne capoluogo, da Giacomo Mazas, primo Intendente della nuova provincia.]

Alcuni dicono che la setta fu introdotta dagli esuli del 1799 altri dai francesi nel 1806 comunque essa restò nell'ambito militare fino al 1809.

In un rapporto del governatore militare a Gioacchino Murat si legge: "Des renseignements authentiques m'ont prouvè que la propagation de la Charbonerie dans le Royaume de Naples a commencè dans la Province d'Avellino, vers la fin de 1811; mais elle n'a pris de l'accroissement que vers la moitiè de 1812; aujourd'hui il n'y a pas un village dans le royaume qui n'ait sa Vente".

Si diffuse in Irpinia quando partirono le truppe austriache nel 1818 e Guglielmo Pepe assunse il comando della Divisione territoriale di Avellino e di Foggia. Questi chiese di avere come capo del suo Stato Maggiore Lorenzo de Conciljis col quale organizzò, per la difesa dell'ordine pubblico e per la distruzione del brigantaggio, le milizie civili. Sia il Pepe che il de Conciljjs resero le milizie consone alle loro aspirazioni, quindi vi introdussero solo Carbonari e il de Conciljis, per la conoscenza che aveva della provincia irpina, scelse Ufficiali di fede liberale.

Un Reggimento era costituito da 3 Battaglioni, uno per ogni distretto della provincia, e da 32 Compagnie, una per ogni Circondario.
Nei paesi durante le feste e tutte le domeniche in ogni Comune la gioventù in divisa militare e con fucili e baionette si esercitava.
Ogni setta si chiamava Vendita o Famiglia, il luogo dove si riunivano era detto Baracca, lo spazio circostante Foresta, gli affiliati Buoni Cugini o Figli di S. Teobaldo, che era il protettore, chi li dirigeva Gran Maestro, i segni sul libro nero degli esclusi anneriti, le donne, che all'inizio cucivano le uniforme e i distintivi (poi vi si aggregarono), giardiniere, il distintivo era un nastro tricolore chiamato chantillon.
Non si trovano statuti, catechismi, elenchi o libri perché tutto fu distrutto nella reazione. A Napoli il 17 maggio del 1821 furono bruciati ben 22mila catechismi.

In Irpinia e a Solofra

In Irpinia c'erano 192 Vendite, molte sorte durante i mesi di vittoria della rivoluzione, su 136 Comuni. Esse professavano la devozione a Gesù Cristo e propagavano idee di libertà e di uguaglianza, di odio alla tirannide, cioè preparavano le coscienze al cambiamento.
Solofra ebbe all'inizio tre Vendite:
· I figli di Bradamante,
· I novelli Greci,
· I difensori della libertà.
Per considerare la diffusione delle nuove idea nella società solofrana, vale la pena considerare che Serino, S. Michele di Serino, S. Stefano del sole ne avevano una ciascuna, Montoro nessuna.
Durante il breve governo carbonaro nel Regno delle Due Sicilie (luglio 1820-marzo1821) tutto il popolo carbonaro della Regione Irpina, diviso in 3 Tribù, fu rappresentato da un'Assemblea di deputati che si chiamava Gran Dieta (che era consulente del potere legislativo di Napoli) e fu governato da un Senato di 9 membri e da una Magistratura.
Solofra apparteneva alla Tribù Partenia.
I Deputati delle tre Tribù della Regione Irpina si riunirono nei primi tre giorni di settembre del 1820 in Gran Dieta e nominarono i loro membri. Tra essi "Gran Secondo Assistente" fu il "Buon Cugino" Carminantonio Giliberti di Solofra.
Altre riunioni della Dieta furono tenute ad ottobre e a dicembre dello stesso anno dove si gettarono le basi per la creazione di una Lega Sannitico-Irpina per stringere un'alleanza con le terre dell'Aquila, di Isernia, di Chieti, contro i nemici dell'ordine, per il bene della patria e il sostegno del Trono Costituzionale.
Il solofrano Nicola Giannattasio nominò come suo rappresentante Nicola Lucente di Catanzaro.


La Rivoluzione Carbonara in Irpinia

Il prete Luigi Minichini guida l'insurrezione ad Avellino

Nella notte tra il 1° e il 2 luglio (il giorno precedente era stato S. Teobaldo) i sottotenenti Morelli e Silvati disertarono con le loro truppe dal "Reggimento Borbone Cavalleria", stanziato a Nola e insieme al prete Luigi Minichini e a 21 settari con la bandiera spiegata e al grido di Via Dio, viva il re e viva la Costituzione si diressero ad Avellino.

La piazza di Avellino era comandata dal generale Colonna, uomo debole, che lasciava fare tutto a Lorenzo de Conciljis. Costui, era capo dello Stato Maggiore mentre Guglielmo Pepe era al comando delle Province di Avellino e di Foggia, entrambi con l'incarico di organizzare la difesa dell'ordine pubblico.
Sia il De Conciljis che il Pepe, che si erano battuti per la Repubblica Napoletana (1799), si erano adoperati a diffondere la Carboneria tra le milizie del Principato Ultra, tanto che i parroci, le autorità municipali li ricevevano, nei loro giri di ispezione, con segni "carbonareschi". Il de Conciljis inoltre ad Aversa si incontrava col Morelli e il Silvati ed altri ufficiali carbonari e dirigeva le spedizioni di emissari carbonari in occasione di fiere, di feste e mercati, per stringere accordi e diffondere l'idea rivoluzionaria. Questa azione venne a conoscenza dell'Intendente del Principato Ultra, marchese di Sant'Agapito, e delle stesse autorità che trasferirono il Pepe in Calabria e il de Conciljis in Abruzzo. Il de Conciljis temporeggiò prima di raggiungere la nuova sede, moltiplicò le occasioni di riunioni popolari dove erano esposti cartelli inneggianti alla Costituzione e si sentivano grida di "evviva", mentre il suono delle bande serviva per non farle giungere alle orecchie delle autorità. Nei giorni precedenti l'insurrezione c'erano state assemblee di piazza, che dimostravano che tutto era pronto.

All'arrivo delle truppe del Morelli e del Silvati ad Avellino, il de Conciljis fece finta di combattere gli insorti, in effetti li favorì, infatti fece deviare lo squadrone insorto verso Mercogliano per toglierlo dalla strada principale e richiamò da tutti i Comuni le compagnie di militi, annunziando che era scoppiata la rivolta e facendo fortificare gli sbocchi provinciali.
Il Morelli, da Mercogliano la sera del 2 luglio, poté con le milizie giunte dai Comuni portarsi al passo di Monteforte per attendere l'attacco delle truppe regie.

Tra i capi settari ci fu il solofrano Raffaele Giannattasio

Il giorno dopo nel palazzo dell'Intendente le autorità insieme al de Conciljis si riunirono per decidere il da farsi ma dalla piazza giunse il rumore della folla.
Non erano più poche persone ribelli ma tutto il popolo con i suoi deputati che chiedeva la Costituzione.
A capo delle forze rivoluzionarie fu posto il de Conciljis, che insieme al popolo nel Largo dei Tribunali (oggi piazza della Libertà) giurarono fedeltà al re e alla Costituzione. Il de Conciljis esautorò l'Intendente, che non aveva voluto giurare la Costituzione, emanò un proclama di rigido rispetto alle leggi e alle autorità, fece organizzare in ogni Comune una guardia interna di sicurezza per la custodia dei detenuti e delle casse pubbliche.
In tutti i Comuni ci fu fervore e zelo per assicurare l'ordine pubblico.

Intanto si organizzarono le truppe per la difesa dalle soldatesche del Re, che avanzavano da Salerno guidate dai generali Campana e Nunziante, e dalla parte di Mugnano del Cardinale coi generali Roccaromana e Carrascosa. Si ebbero piccoli scontri tutti a favore delle truppe carbonare.
Nella piana di Montoro (presso S. Pietro) le truppe regie furono attaccate per qualche ora costringendo il generale Campana a ritirarsi sopra Nocera (4 luglio). Tanto fu l'apporto della popolazione che il generale Nunziante da S. Severino scrisse al re nella notte del 4 luglio:
Qui non si tratta di combattere pochi uomini malamente raccozzati senza piani, come in tanti altri scontri, diretti solo da private passioni e da malnati interessi. Le intere popolazioni domandano la Costituzione e la sperano dal senno, dal cuore e dallo accorgimento che distinguono V. M. In tale stato di cose il combattere sarebbe lo stesso che accrescerne le forze [...]. Ogni indugio, o Sire sarebbe funesto.
I ribelli giunsero a Salerno dove era stata proclamata la Costituzione.
Presto tutto il Regno insorse e all'alba del 6 luglio il re fece affiggere un proclama dove prometteva la Costituzione.

Ecco come l'episodio del luglio del 1820 è raccontato dal canonico solofrano Antonio Giliberti, un testimone di quei fatti:
"Moveva da Salerno per quel di Avellino un Corpo di soldatesca disciplinata, capitanata dal Generale Campana, transitando per questa via . Avutone sentore alquanti solofrani scapati (Carbonari) si postarono in agguato, mano armata nella boscaglia che fiancheggiava il transito poco lungo dall'abitato; e come furono a tiro verso le ore due pomeridiane, nel punto detto Selva piana scaricarono colpi sopra la Truppa e fuggirono. Imbestiatata per tanto oltraggio la Milizia progredì sopra Solofra facendo fuoco incessante a destra e a sinistra, preceduta dal fatale motto: ferro e fuoco. Avresti creduto che fra poco si saria detto: Qui fu Solofra. Ma invece dopo circa 3 ore di palpiti e di terrore, cessato il fragore della moschetteria, dei tamburi e delle trombe, successe un silenzio profondo ed una calma. Il Generale placidamente con la Truppa per la via medesima onde era venuto, restrocesse. Non si ebbero altri danni che le invetriate dalla palle soldatesche stritolate e la morte di una donna. Lo storico libellista Pietro Colletta segna erroneamente il giorno 3 luglio per la marcia del Campana, ed omette il fatto di Solofra, forse per non fare un appunto ai Carbonari Solofrani suoi consettari di tanta vigliaccheria".

Elezioni politiche al Parlamento napoletano, primo parlamento italiano

Ferdinando di Borbone, che era stato costretto a dare la Costituzione, si appartò per non essere coinvolto, mentre il figlio Francesco, Vicario del Regno, indisse le elezione dei Deputati al Parlamento Napoletano (22 luglio 1820).
La Giunta che preparò le elezioni fu presieduta da un Delegato Speciale di Serino. I parroci ebbero l'ordine di spiegare e leggere al popolo sia la Costituzione che il Proclama per la convocazione dei comizi. Erano ammessi al voto tutti i capifamiglia di 21 anni, le liste furono formate dal parroco, dal sindaco e dal giudice che in un'assemblea in parrocchia elessero 11 elettori ogni 200 votanti. Costoro elessero un elettore parrocchiale (20-8-1820). Tutti gli elettori parrocchiali si congregarono nel capoluogo di ogni distretto e nominarono gli elettori distrettuali (27-8-1820). Gli elettori distrettuali trasferitisi nel capoluogo della Provincia elessero i deputati (3-9-1820). Dovendosi eleggere un Deputato (doveva avere 25 anni, essere nativo o residente da 7 anni ed essere possidente) ogni 70mila persone, il Principato Ultra ne ebbe 5.
Il Deputato più vicino a Solofra fu di Serino, Raffaele Anzuoni fu Matteo.
Il Parlamento napoletano fu inaugurato il 1° ottobre del 1820.
Il 19 marzo del 1821 il Parlamento si riunì con solo 26 Deputati, tra i quali Giuseppe Poerio che scrisse la protesta contro il tradimento del re. Il 24 marzo i Deputati erano 22 e poi non potettero farlo più per l'arrivo delle armi austriache.

Le nuove milizie

Fu creato dal nuovo governo un corpo militare straordinario richiamando al servizio, per la durata di 6 mesi, i congedati. Anche i Carbonari ne crearono uno a spese delle Vendite, perché potessero trovarsi pronti per i bisogni della nazione. Ma la risposta non fu solerte né fatta con slancio e volontà di sacrificio. Così il paese si trovò malamente armato materialmente e spiritualmente per sostenere lo sforzo di una guerra a difesa della Costituzione.

Il tradimento di re Ferdinando

La Costituzione data da re Ferdinando fu conforme a quella spagnola e portò alle elezioni del Parlamento del Regno costituzionale.
Intanto la Carboneria aumentava le Vendite che giunsero a 192. Si giunse però anche all'inquinamento della idea rivoluzionaria da parte di opportunisti che cercavano vantaggi, si diffuse l'indisciplina nell'esercito, mentre c'erano gli Ultra Carbonari che chiedevano la Repubblica, e i Siciliani insorgevano per l'indipendenza da Napoli.
Ferdinando I annunziò al Parlamento che i suoi alleati, Russia, Austria, Prussia, lo avevano invitato ad un loro Congresso a Lubiana per discutere le questioni politiche del Regno. I Carbonari furono diffidenti, ma il re partì ugualmente ed ebbero ragione perché Ferdinando ritornò con un esercito austriaco in prima linea e con uno russo di sostegno, che proclamarono di venire da amici se il Regno si fosse assoggettato.

Dinanzi al tradimento del re il Parlamento napoletano accettò di difendere la Costituzione e quindi di fare la guerra contro gli austriaci della Santa Alleanza.
A capo delle truppe si pose il de Conciljis il quale prima di partire organizzò le milizie cittadine nelle province per raccomandare ordine e concordia.
L'esercito carbonaro era fatto di gente non adatta alla guerra, preti, frati, avvocati, proprietari, tutti male equipaggiati ed armati: fu facile avere la meglio su di loro.
Il 24 marzo del 1821 i soldati austriaci entrarono in Napoli, il 27 in Avellino.
Vi restarono fino al 1827.

Ritorno di re Ferdinando

Sconfitte le truppe di Guglielmo Pepe in Abruzzo, il re, ritornato da Lubiana, si fermò a Firenze e poi a Roma, dove tante città del napoletano gli inviarono i loro rappresentanti per invitarlo a tornare.
Ciò fece anche il Decurionato di Avellino. L'Intedente Marino entrato ad Avellino rivolse ai Comuni una circolare nella quale annunziava in Provincia l'arrivo di truppe austriache e ingiungeva di tenersi pronti per dare loro gli alloggi, i viveri e i foraggi.
Fu una forzata ospitalità che durò 6 anni.
Le truppe più vicine a Solofra furono quelle di Atripalda: 600 uomini che furono dislocati anche nei centri vicini.


La reazione

Tutti i cospiratori si dettero alla campagna. I capi carbonari, Guglielmo Pepe, il de Conciljis ed altri capi settari fuggirono dal regno. Molti furono traditi e consegnati al re e impiccati, come Morelli e Silvati.

Furono promulgate leggi eccezionali per punire chi aveva partecipato alla rivoluzione, ci furono tradimenti e condanne, fu ripreso l'uso della frusta e della berlina.
Gli amministratori dovettero rendere conto del loro operato. Fu posta una tassa su ogni giornale straniero che entrava nel regno, per impedire alle idee di libertà di entrarvi con essi.
Anche la Chiesa di Roma si schierò con la reazione: Pio VII scomunicò chi si dichiarava carbonaro.
Coloro che furono colpiti dalla reazione furono posti nelle prigioni del Padiglione ad Avellino (Caserma dei Carabinieri al corso Vittorio Emanuele), nelle scuderie del Principe di Avellino, nelle prigioni di Montefusco o di Napoli o relegati a Capri, a Ponza, e a Ischia.
Fu istituita la Corte marziale che funzionò fino all'ottobre del 1822, poi si ebbero le Commissioni militari e le Gran Corti Criminali che condannava chi possedeva una semplice arma, una coccarda tricolore finanche una carta con qualche parola oscura.
Ci furono molte condanne a morte e alla confisca dei beni
Furono esonerati tutti i maestri (erano i sacerdoti della provincia), gli insegnanti dovevano fare scuola con la porta aperta per poter essere controllati, furono esonerati 788 amministratori.

Gli irpini nella reazione

Ferdinando come strumento di reazione scelse il principe di Canosa, che fu nominato ministro di Polizia.
Suo scopo fu quello di disarmare i facinorosi, punire i settari con bastonate.
Costui ritenne che dovessero essere posti in stato di arresto tutti quei famosi faziosi e carbonari famigerati che avevano sceneggiato nella ribellione e quelli che potevano macchinare e corrispondere con i profughi e con le sette.
Il re lo aveva autorizzato "a promulgare editti e nuove leggi più severe". Iniziò così una sequela di persecuzioni e sofferenze. Furono istituite le Corti marziali. Molti fuggono colpiti da taglie di 1000 ducati. Morelli e Silvati furono impiccati.
Un decreto del 12 aprile del 1821 creò 4 "Giunte" per esaminare la condotta degli ecclesiastici, chi aveva istruito la gioventù, chi aveva pubblicato opere, poi si creò una "Giunta" per esaminare gli appartenenti all'esercito. Gli impiegati furono inclusi in tre classe secondo il grado di compromissione e subirono pene corrispondenti.
Tra i giudici inclusi nella seconda classe ci fu Giovan Francesco Lanzilli di Soveria di Calabria che era stato carbonaro entusiasta ed era Giudice in Solofra e Dignitario di una delle sue Vendite nel 1918. Altro giudice Regio in Solofra fu Andrea Preziosi di Mercogliano, che aveva guidato un gruppo di rivoltosi nella piana di Montoro contro il generale Campana.
A S. Agata di Sotto (S. Agata irpina), Giovanni Andrea De Maio.
A Solofra invece furono esonerati il sostituto cancelliere Filippo Giliberti e l'usciere giudiziario Giovanni Quaranta.

Reazione contro i sacerdoti-maestri

La reazione fu particolarmente forte contro gli insegnanti infatti le scuole erano considerate il centro dello spirito rivoluzionario perché era qui che si corrompevano i giovani.
Nel Principato Ultra c'erano solo scuole primarie tenuti da maestri pubblici e privati. Anche ad essi come ai magistrati e funzionari giudiziari toccò di passare attraverso il vaglio dello scrutinio, alla ricerca dei fedeli alla Chiesa e alla Monarchia e quelli invece inquinati che "ingratamente ne avevano abusato". Nella intera provincia c'erano 55 maestri pubblici e 284 privati.
S. Agata di sotto fu indicato come settario il sacerdote Gaetano Saviano, insegnante privato.
Solofra ebbe Francesco Garzilli, insegnante privato, giudicato settario e Raffaele Garzilli, anch'egli insegnante privato ma settario di propria confessione.

Tali giudizi furono stilati dai vescovi (per Solofra l'Arcivescovo di Salerno Fortunato Pinto) che punirono i sacerdoti maestri colpevoli di semplice settarismo con la sospensione dalla Messa, dalla Confessione e coll'assegnazione ad una Casa Religiosa dove praticare esercizi spirituali di penitenza. E furono reintegrati nei loro sacri uffici solo in seguito a solenne abiura, scritta e firmata in chiesa, "ad sonum campanarum et coram populo" cui dovettero chiedere perdono di qualunque scandalo e mancanza commessa nel "nonimestre" (nove mesi) costituzionale. Tutti i sacerdoti, anche quelli non insegnanti, dovettero fare questa solenne abiura. Ad altri un po' meno colpevoli fu data facoltà di espatriare.

Epurazioni degli Amministratori

La reazione si abbattette sugli amministratori per separare i buoni dai malvagi.
Fu considerato come non avvenuto tutto "ciò che era stato fatto dal 1° luglio 1820".

L'Intendente del Principato Ultra, Giuseppe Spinelli, successo nell'agosto del 21 al marchese Intonti, interessò i Vescovi a fornire gli elementi per la epurazione. L'Arcivescovo di Salerno dette l'incarico a persone meritevoli della massima fiducia di fare indagini sugli amministratori dei comuni posti nella sua diocesi e quindi anche Solofra e S. Agata di Sotto e, in una lettera riservata del 28 novembre 1821 dette i risultati dell'inchiesta, che però furono giudicati troppo cauti per cui fu invitato a ripetere con maggiore accuratezza l'indagine. Poiché però gli informatori erano facilmente scoperti, e quindi fatti oggetto di recriminazioni e vendette da parte degli indagati, l'Arcivescovo il 29 dicembre del 1821 scrisse all'Intendente di Avellino:
Sono assai dispiaciuto che non posso più cooperarmi al giusto fine che Ella si prefigge [...] poiché quelle persone, di cui potea fidarmi per acquistare le opportune notizie hanno tutta la difficoltà di eseguire i miei incarichi per essere cadute nel pubblico sospetto, che esse riferivano a me i dovuti schieramenti, ed io ne faceva a Lei il corrispondente Rapporto; onde temono di trovarsi in qualche cimento.
e sottolineò il pericolo "di essere ingannati", chiese quindi di essere esonerato.
Comunque, attraverso altre vie, la Commissione, preposta al compito, riuscì ad elaborare uno Stato nominativi dei Sindaci e degli Eletti dei Comuni esonerati dal Sovrano, perché settari.
S. Agata di Sotto ebbe
Giovanni Andrea De Maio, Sindaco. Antonio Maria d'Arienzo, primo Eletto, Nicola De Maio, secondo Eletto; e alla voce "Solofra" aveva:
Filippo Guarino, Sindaco. Paolo Grassi, Primo Eletto. Raffaele Garzilli, Secondo Eletto.
Tutti furono esonerati insieme ad altri 81 sindaci 66 Primi Eletti e 55 Secondi Eletti. Furono rimossi anche membri di altri Enti amministrativi. Per rimpiazzare costoro si adoperò lo stesso Intendente coadiuvato dalla Commissione per l'esonero.

L'epurazione continuò con Francesco I, successo al trono nel 1825, con altri accertamenti ed altri esoneri creando non pochi inconvenienti. Nonostante ciò l'Intendente di Avellino, Taviani, dichiarava che ascendevano a dodicimila e più in provincia i decisi per lo liberalismo, e che era necessario indagare su 920 individui per non dubbia abituazione ne' sentimenti di liberalismo e di setta da reputarsi irreconciliabili senza contare quelli già carcerati .
La reazione provocò tra questi liberali e coloro che, di sentimenti opposti, si vantavano fedelissimi borbonici fin dal primo momento, rancori, odi, e divisioni.
Col trionfo della reazione ci si abbandonò a tutti gli sfoghi, e le denunzie, contro quanti erano stati Carbonari e usavano riunirsi ancora a confabulare, e contro quanti avevano partecipato alla rivoluzione, fioccavano in ogni comune, colpendo rei ed innocenti.

Reazione contro gli impiegati

Anche tutti gli altri impiegati dovettero passare per il controllo dello scrutinio, fatto dalla stessa Giunta.

S. Agata di sotto ebbe De Maio Pasquale, cancelliere comunale.

Solofra ebbe Gabriele Ferrara, impiegato comunale, Saverio Giliberti, cancelliere comunale, Carnimantonio Giliberti, controllore dell'Ospedale militare di Avellino.
Alcuni più compromessi furono arrestati, altri approfittando della disposizione dell'ottobre del 1822 che concedeva loro di espatriare, lo fecero.

Reazione contro i laureati

Un decreto del giugno del 1821 regolò la reazione contro coloro che avevano ottenuto la laurea in Medicina e Giurisprudenza dal 7 luglio 1820 al 23 marzo del 1821, contro i farmacisti che nello stesso periodo avevano ottenuto la licenza. Tutti furono sospesi dall'esercizio delle loro professioni e sottoposti ad un nuovo esame.
In tutto il regno coloro che non si sottoposero al riesame ebbero annullata la laurea: 309 in tutto il Regno, dei quali 25 del Principato Ultra.

A Solofra Giovanni Landolfi si vide annullata la laurea in Medicina.


Irpini errabondi

Caduto il governo costituzionale i principali responsabili fuggirono da Napoli.
Il governo restaurato cercò di farli rientrare. Con un decreto il Re dette l'amnistia a tutti i settari e i colpevoli degli avvenimenti anteriori al 24 marzo 1821 per far sì che il popolo non facesse causa comune con quei capi ad eccezione di quelli a cui già era stato emesso mandato di cattura a cui fu permesso di emigrare allontanare questa pessima gente dal Regno.
Molti di questi proscritti, vecchi o malati o indigenti, cercarono di evitare il forzoso viaggio ma inutilmente. Cominciò una dolorosa odissea, perché molti governi non li accettarono, altri, diffidenti, li sottoposero a sorveglianza, come pericolosi soggetti, costretti a chiedere, come mendicanti, un soccorso pecuniario per la loro sussistenza.

Nello Stato Pontificio

Tra quelli che riuscirono ad entrare nello Stato Pontificio ci fu l'ex-tenente dei militi di Solofra, che, afflitto da una cisti, giunta al suo maggiore sviluppo, supplicò il re, insieme con la moglie donna Eleonora Sarnelli che con tre figli lo aveva accompagnato nell'esilio, di poter fare in Napoli l'estirpazione della cisti, essendo poco fiducioso dei chirurgi di Roma, dichiarando di aver quasi esaurito il suo piccolo patrimonio e di trovarsi in una depressa tristezza per aver perduto uno dei figli.
Il Giannattasio non ebbe il permesso di ritornare in patria, infatti non fu nell'elenco dei 12 (su 800) che erano nello Stato Pontificio. Solo in seguito all'atto di indulgenza del 18 dicembre del 1830, concesso da Ferdinando II, potette rientrare nel Regno di Napoli.
Si conoscono tentativi di rientro in patria riusciti, tra questi quello di Michelangelo Giliberti di Solofra che nel maggio del 1824 aveva ottenuto di recarsi esule in Genova, ma che si era dovuto fermare nello Stato Pontificio perché, privo di mezzi, non potette proseguire il viaggio. A Velletri fu fermato e, poiché non potette giustificare i modi della sua sussistenza, fu scacciato dalla città. Travestitosi da contadino, riuscì a ritornare il 7 novembre 1824 in Napoli.
Altri irpini furono esuli in Spagna, in Inghilterra, a Malta, altri a Corfù, in Corsica, in Francia, in Tunisia. Altri furono condannati "ai ferri" cioè a fatiche dure a profitto dello Stato con alle caviglie una catena o accoppiati a due a due, secondo la natura del loro lavoro.

Irpini destituiti da Francesco di Borbone per macchie settarie

Re Francesco con indulti e riduzioni di pene si propiziò i condannati, mentre sostenne una capillare opera per spezzare fin gli ultimi residui della detestata Carboneria.
Nel 1826 ordinò un ulteriore accertamento per scovare i nemici degli altari, del trono e del bene comune. Le indagini portarono a continue deliberazioni sovrane e alla destituzione, tra il dicembre del 1826 e il primo semestre del 1827, di molti Amministratori tra i quali
· di S. Agata di Sotto, il Decurione Nicola De Maio, definito antico settario ed Oratore della Carboneria;
· di Solofra, il Sindaco Donato Papa, definito settario.


Solofra nella rivoluzione carbonara e nella reazione

Una dichiarazione importante:

Solofra una volta era il più ricco paese della Provincia per l'estesissimo commercio che vi fioriva in tutti i rami [...]; che con l'epoca fatale del 1799, che devastò tutto il Comune, e con la perdita in seguito di ducati 500mila di partite di arrendamenti e fiscali, coi beni assegnati ai Monteverginisti e quelli assegnati alla Mensa Arcivescovile di Salerno, era divenuto il paese più miserabile di quanti ne contava il Regno, a ristoro di tali sciagure e a compenso dei servizi resi alla Patria.

Gli uomini

Piemonte Giosuè
Farmacista, figlio di un giacobino della rivoluzione del 1799, accusato di diversi reati politici commessi negli anni 1815-1816 subì la reazione borbonica senza processo e senza giudizio.
Fu uno dei più accesi Carbonari della Vendita "I figli di Bradamante" ed ardente cospiratore. Fu tra coloro che il 3 luglio del 1820, in piena rivoluzione, dette l'ordine che ognuno dovesse correre alle armi, pena la fucilazione, permettendo agli armati di raggiungere a Montoro gli insorti contro il generale Colonna. Fu anche protagonista di scontri contro i gendarmi regi, arrivati a Solofra durante i giorni della rivoluzione.
Dopo il successo dei moti fece parte di una Delegazione inviata dai "Decurioni" (il governo solofrano) al Parlamento di Napoli, al Re e al Vicario, per spiegare il valido contributo dato da Solofra alla causa della Costituzione, a sottolineare lo zelo e l'energia dei Carbonari solofrani e chiedere aiuti per le famiglie dei Carbonari uccisi e l'istituzione di un Liceo e di un Tribunale.
Caduto il governo costituzionale il Pimonte si diede alla latitanza, ma fu preso e condannato al carcere. Prima fu portato all'isola di Ustica (15 marzo 1822), poi a Pantelleria dove rimase fino alla grazia del 18 dicembre del 1830.
Ritornò a Napoli a marzo del 1831, dove reclamò gli arretrati di un sussidio giornaliero spettante alla figlia, minore ed orfana di madre che gli fu negato. A questa ingiustizia replicò che un sovrano mai revoca i suoi decreti.
Nel 1837 incappò in altre imputazioni politiche e fu nuovamente imprigionato.

Giliberti Carmine Antonio
Fu un effervescente Gran Maestro di una Vendita carbonara, tra quei carbonari che alle falde della Laura opposero resistenza alle truppe del generale Campana.
Il Segretario Generale dell'Intendenza di Avellino, Giovan Battista Rega, dice di lui
fu spedito dal Popolo Carbonaro a conclamare con altri frenetici presso il Parlamento per provocare leggi sovversive.
Il Rega era molto contrariato dal fatto che il Giliberti aveva fatto parte della Deputazione Comunale delegata a spiegare alla Nazione, al Re, al Vicario la valida opera data dal popolo solofrano alla causa nazionale e a chiedere un Tribunale, un Liceo, una diminuzione delle innumerevoli gabelle come segnale della pubblica riconoscenza.
Restaurato il Governo assoluto, fu destituito dall'Ufficio di Direttore dell'Ospedale militare di Avellino e per evitare il giudizio, espatriò.
Al confine romano fu respinto e chiuso nella fortezza di Gaeta e dopo pochi giorni portato a Napoli ed internato nel monastero di San Francesco. Condannato all'ergastolo, rimase per tre anni in questo carcere.
Nel 1828 fu accusato di far parte della setta dei "Filadelfi" e stette in prigione in Avellino per parecchi mesi, dopo venne restituito a Solofra e sottoposto a sorveglianza.
Fu incolpato di aderire alla cosiddetta "Congiura del monaco" di frate Angelo Peluso che imitava la "Giovane Italia".
Solo il 20 settembre del 1836 venne prosciolto dalla vigilanza della Polizia.


Ripresa della propaganda carbonara

Setta degli Oppressi e non vinti.

Nuova setta chiamata Carboneria riformata ossia Gli oppressi e non vinti.
Era estesa ai due Principati.
Il capo era un sacerdote di S. Agata di Solofra, Carmine Antonio Giliberti che operava tra Solofra e Salerno dove esercitava le funzioni di Economo della Parrocchia di S. Trofimena.
Comprendeva circa 15mila Carbonari riformati.
Ogni affiliato aveva la facoltà di riformare altri 12, per semplice comunicazione orale.
La parola sacra era Onore e fermezza, e la parola semestrale Coraggio ed Ubbidienza.
Segni di riconoscimento erano un breve catechismo, un progetto di rivolta "appena avessero avuto il concorso di qualche po' di truppa".

Scoperta e arresti

Nella primavera del 1827 la Polizia di Napoli vigilando sulle persone che più si erano agitate durante i nove mesi del governo costituzionale individuò alcuni che cercavano di far proseliti per questa nuova setta. Il 18 maggio del 1827 due infiltrati andarono a Salerno dall'Aciprete a cui prospettarono la preparazione di una truppa. Il Giliberti programmò l'invio di una persona di fiducia in Basilicata, dove "era maggiore fermento e maggior numero di proseliti" ed un'altra a Solofra, per informare un suo cugino. Diede anche notizie del giorno in cui sarebbe dovuta avvenire la rivolta: il 20 maggio quando la Russia avrebbe attaccato l'Austria e l'Europa sarebbe caduta nella rivolta.

In questa occasione il Giliberti biasimò il Re come colui che, negando la Costituzione, non aveva saputo comprendere i suoi interessi, disse che nel confessionale veniva a conoscere quanto generale fosse il malcontento, poiché finanche le donne gridavano: "schioppettate contro il governo e il Trono". Aggiunse che egli "aveva introdotta la riforma della Carboneria "a fine di attrarre il popolo con la tinta della novità", che essa si era diffusa in modo che al più piccolo segnale sarebbe divampata da per tutto senza che si temesse questa volta l'intervento austriaco".

I due infiltrati col Giliberti si recarono a Nola per incontrare altri liberali, dove ebbero assicurazione che tutti erano colà in attesa della rivolta e che allo scoppiare di questa, alla testa di una colonna mobile, avrebbero mostrato ciò che sapessero fare. L'Arciprete Giliberti poi comunicò che Avellino, Solofra, Materdomini, Nocera, Vallo e tutti i paesi a questi adiacenti erano con loro. A questo punto i settari ebbero il sentore che i due fossero degli infiltrati ma era troppo tardi perché gli elementi in mano alla Polizia erano tali da poter procedere alla cattura dei compromessi.
Il Giliberti fu arrestato il 17 giugno del 1827, portato a Napoli, la sua casa fu perquisita.
La Commissione per i reati di Stato l'11 giugno del 1828 dichiarò il sacerdote Giliberti Carmine Antonio del fu Liberato di anni 50 di S. Agata di Solofra ed altri,
colpevoli "di associazione costituente setta artatamente combinata per comunicazione ambulante, della quale egli era il capo e direttore" e lo condannò alla pena di morte col laccio sulle forche ed alla multa di mille ducati.
La pena fu poi commutata da re Francesco in ergastolo.
Lo stesso presentò al re due suppliche: una nel novembre del 1828, l'altra un mese dopo, nelle quali deplorava le miserevoli condizioni in cui versava. Diceva di essere "in un'indigenza positiva", che dormiva "su una lettiera con sozza giacitura". Ebbe un aiuto di 6 ducati. Poi partì per l'ergastolo di S. Stefano dove nel luglio del 1828, poiché il carcere era divenuto molto affollato, fu trasferito con altri sacerdoti al Bagno di Nisida. L'ergastolo poi fu tramutato in "carcere ai ferri".
Nel 1834 il Giliberti fu riabilitato alla celebrazione della Messa, nell'ottobre del 1841 fu graziato. Nel 1842, "quasi paralitico degli arti inferiori", venne rimpatriato ad Avellino e sottoposto a severa sorveglianza.

La setta dei Filadelfi.

Nel 1828 in Napoli e nelle province limitrofe si scoprì un'altra setta Filadelfi che voleva dire amici dei fratelli. Anche questa fu portata dall'esercito francese, ebbe molti aderenti e riuscì per molto tempo a nascondersi.
Gli affiliati nel napoletano si proponevano di istituirvi la repubblica, la parte moderata una Costituzione simile a quella francese.
Usava la comunicazione ambulante tra i soci cioè da solo a solo senza designazione di luoghi di riunione, né date, né persone.
L'ammissione di un nuovo adepta avveniva con un rito molto complicato: doveva giurare "la distruzione dei despoti e la difesa del nuovo regime", non doveva dire mai il nome di chi l'aveva iniziato, né i segreti della setta, doveva firmare il giuramento col proprio sangue e poi bruciare il foglio. Erano vietati diplomi, adunanze, ed emblemi.
Si suddivideva in 10 gradi ognuno con un motto, la parola di soccorso era Eleusin, i segni di riconoscimento una mimica convenzionale e speciali movimenti dei piedi.
Trovò terreno favorevole in Salerno.
Nel 1828 quando un'aria di libertà cominciava ad alitare tra i popoli sembrò essere giunta l'ora attesa. La Francia, l'Inghilterra e la Russia sembrarono aver demolita la Santa Alleanza, i greci avevano avuto la libertà, molti emigrati cominciarono a ritornare per far insorgere la popolazione contro i Borboni. Si fece un ardito piano di rivolta che però miseramente naufragò mediante la delazione e la leggerezza di un affiliato che dette alla Polizia i fili della trama e la portò alla cattura dei capi. Si giunse a due processi ad arresti e condanne.
Un intenso lavoro portò alla scoperta di 45 liberali che furono assicurati alla giustizia.
Tra questi:
Nicola De Maio di S. Agata di Sotto, Serafino Aleide, Nunzio Galdi, Francesco Guarino, Carmine Giliberti, Domenico Pepe, Michelangelo Piemonte e Cesare Vaccaro di Solofra. Poi furono scarcerati e sottoposti a sorveglianza.


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