NUOVe SOGGETTIVITA'
E’ ormai consolidato che stiamo vivendo un’era di trasformazioni e che queste sono da attribuire per lo meno a due aspetti.
Il primo è la realtà di una produzione di beni praticamente illimitata la cui materia costituente è quasi esclusivamente l’informazione.
L’altro è l’ingresso di alcune invenzioni tecnologiche che si basano sulla <<interconnessione dinamica dei dati>> nella vita quotidiana.
Velocemente si stanno modificando tutti gli aspetti della nostra realtà e ci si interroga su quali saranno gli approdi di questo viaggio.
Nelle singole aree disciplinari proviamo a dare delle risposte a nuovi dubbi poiché i vecchi valori appaiono inadeguati in un scenario fortemente cambiato ed ancora in mutazione.
In molti contesti il punto di riferimento principale è diventata l’INFORMAZIONE, la sua immaterialità, la velocità del messaggio, il virtuale.
Nel campo dell’architettura il problema è complesso, poiché il corpo, in tutta la sua fisicità ha un ruolo fondamentale nella fruizione.
Per sua natura male si presta a certi discorsi legati ad immaterialità e virtualità.
O meglio si
possono ipotizzare mix di architettura e realtà informatica, ma credo che nessuno di questi vada poi al nocciolo della questione: cioè
capire qual è il nuovo punto di partenza.
In questa ricerca io credo che il nodo cruciale su cui si riflette troppo poco è realizzare che le regole e le forme della percezione sono profondamente cambiate: il nostro occhio si aspetta cose diverse e la mente organizza i dati in modo diverso.
Il punto non è come possiamo utilizzare il virtuale in architettura, ma piuttosto cosa si aspetta e cosa possiamo proporre noi ad una collettività che vive il virtuale come fatto ormai naturale.
L’esempio eclatante e chiarificatore è quello della play station, cioè il gioco a immaginarsi virtuali personaggi o entità in situazioni più o meno realistiche, ma comunque virtuali.
E gioco non solo per bambini, direi anzi quasi esclusivamente per adulti.
Ebbene, data l’intensità, la quantità e velocità di stimoli, considerato il tempo dedicato al gioco, questo diventa vero e proprio vissuto ed entra forte nel nostro patrimonio di esperienze.
Considerare il video game (che è poi qualcosa di più di video-g. se consideriamo una serie di stimoli percettivi ottenuti con l’ausilio di vere e proprie protesi), considerarlo come una ESPERIENZA, implica che le sollecitazioni alla nostra mente ed anche al nostro corpo siano tali da divenire indelebile conquista.
E in più tali
stimoli sono talmente forti e penetranti che spesso il game continua anche a video spento.
Direi quasi in estremo che viviamo la realtà come un mix inscindibile di realtà e allucinazione, come in uno stato di costante alterazione chimica.
Poiché la deformazione non ci stupisce più.
Ancora un passo e la realtà non appare che il frutto della nostra immaginazione.
Il singolo soggetto è la giustificazione dell’esistenza della realtà.
In questa
direzione, anche volendosi tenere più cauti, credo sia più corretto parlare di nuovE
soggettività.
Sono queste nuove ed esigenti soggettività che dobbiamo conquistare, a cui dobbiamo fornire spazi suggestivi, ma non hollywoodiani.
E dico esigenti, poiché in realtà il mondo della comunicazione e delle realtà virtuali, per quanto commerciale, si serve di professionisti capaci e preparati, attingendo ad esempio molto dal settore dell’arte.
Appare forse ora più chiaro cosa si intenda per PERCEZIONE e cioè quell’insieme di regole e categorie che relazionano il nostro sguardo e la nostra mente, quella che viene chiamata psicologia della percezione.
Da questo ha
forse più senso parlare oggi di PSICOPATOLOGIE DELLA PERCEZIONE.
Se è vero che lo sguardo è strettamente connesso con modelli mentali, le possibilità sono due.
La prima è rinunciare all’architettura: ipotizzare ad esempio nuovi musei diffusi –distributori di sensazioni- come cabine per le foto-tessere, dentro le quali protesi virtuali dei sensi ci facciano fruire galleggiando delle opere d’arte.
L’altra è quella della sperimentazione di spazi nuovi, mai prima nemmeno immaginabili; tentare in questo una rinnovata complicità tra progettista e comunità.
In questo siamo solo all’inizio.