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Atmosfere vicine: Kleihues
e Moretti Antonino Saggio |
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Josef Paul Kleihues Architetture museali ha
diversi pregi. Informa con ampi riferimenti su una ricerca che si sviluppa da più di un ventennio e che ha avuto nel piano dell'Iba
berlinese il suo momento di massima risonanza internazionale. Fa perno - inoltre -sull'architettura del museo ottenendo un duplice
vantaggio. Da una parte esemplifica il metodo e la poetica di Josef Paul Kleihues, dall'altra sollecita la cultura italiana- ormai
stagnante dopo le soluzioni d'avanguardia che Carlo Scarpa e Franco Albini a Verona, Firenze e Genova hanno realizzato in un ormai lontano
passato. In una breve introduzione di Costantino Dardi vengono messe in luce le caratteristiche peculiari del lavoro di Kleihues. Si tratta di una decantazione della forma ricercata con una riduzione all'essenziale che ha affinità, ma anche sensibili differenze, rispetto all'astrattismo del movimento moderno. È infatti una astrazione cum figuris, dove gli elementi volumetrici frutto della distillazione progettuale portano con sé il valore stratificato della memoria individuale e collettiva della forma. È il filone definito da Christian Norberg-Schulz della "qualità figurale" che negli anni Ottanta ha avuto un vasto seguito. Kleihues però è ben lontano da adeguamenti alla moda dell'ultima ora o da operazioni facili ed epidermiche. Nato nel 1933 e professore a Dortmund dal 1973 ha pazientemente sviluppato la sua ricerca integrando i metodi di indagine sulle valenze delle forme pure presenti nel lavoro di Oswald Mathias Ungers con quelli della "Tendenza" italiana. Ma dal primo Kleihues si distingue perché non crede nelle operazioni combinatorie, ma solo nella sintesi artistica, mentre estranee gli sono le rigidezze simmetriche e accademiche degli impianti, care alla scuola italiana che fa capo a Aldo Rossi. Il metodo progettuale di Kleihues si articola in tre punti che si completano a vicenda. Il primo concerne le capacità evocatrice della forma e l'interpretazione emotiva dell'oggetto. Poi vi è lo "sforzo di rendere trasparente il passato" attraverso il controllo progettuale della trama di allusività e simbolismi. Infine, emerge la sfera individuale del progettista, l'interpretazione soggettiva sia della forma in sé che dei significasti elaborati nel corso della storia. È un approccio che tenta di sviluppare la consapevolezza delle contraddizioni presenti negli oggetti dal passato, operando una "progettazione critica" che "faccia emergere tutte le aporie insite in tale pratica ideativa". Le architetture di Kleihues si affermano per i legami che instaurano tra nuovi oggetti, preesistenze e contesto in un clima che ricorda l'opera di Luigi Moretti negli anni Trenta e il "realismo magico" bontempelliano. Gli oggetti di Kleihues coinvolgono contesto e spettatore in un gioco carico di rimandi, e più che nello spazio cartesiano della realtà, si collocano in uno spazio virtuale tutto proprio, nell'atmosfera di una architettura sempre stata. "I materiali che si aggiungono all'esistente, - sostiene Michele Costanzo - consapevoli della loro estraneità, tendono a esasperare la logica geometrica che li definisce, facendo traslare la dialettica del tradizionale e del moderno su un piano tutto mentale e astratto". In questo modo "prende forma un valore apparentemente impalpabile, indefinibile, ma estremamente suggestivo, com'è quello dell'atmosfera. (...) sintesi tra apparenza ed essenza, tra misura e proporzione dello spazio e materiali che lo involucrano e lo definiscono come immagine viva e flagrante. Atmosfera è, altresi, espressione dello spazio quando riesce a coinvolgere ed offrire emozioni in chi lo fruisce. E questo è stato, senza dubbio, l'obbiettivo cui Kleihues ha teso sistematicamente." La perfezione tecnica della costruzione e l'eleganza del dettaglio diventano elementi essenziali dell'immagine per affermare la rarefatta presenza delle forme e per innescare le associazioni e le memorie che non devono inciampare in intonaci scrostati o in dettagli insipienti o sbagliati. L'itinerario proposto dai due autori nelle architetture museali di Kleihues illustra nei dettagli dodici occasioni che si sviluppano dalla metà degli anni Settanta. Tra queste spicca il progetto per la ricostruzione dell'Ephraim Palais con annesso Jüdisches Museum a Berlino (1979) nel quale l'architetto completa la parte mancante dell'edificio operando una scelta che evoca i ritmi e i temi dell'architettura barocca ma che rimane lontana da tentazioni mimetiche o ricostruttive, il Museo Lütze a Sindelfingen (1986) dove si insinua un nuovo oggetto - un prisma ottagonale sormontato da una piramide - tra due preesistenti, il Museo Henninger a Kornwestheim (1987) dove un corpo trapezoidale e uno semicilindrico si innestano ad angolo acuto determinando misurate tensioni spaziali nello spazio esterno, il Museo della preistoria a Francoforte (1980) che completa un complesso conventuale preesistente attraverso una sottile struttura lineare che termina con uno sfioccamento memore della episodicità delle strutture medioevali. Queste opere si sviluppano in un clima culturale che vuole instaurare nuovi rapporti con la storia e superare un uso dell'architettura tutto funzionale che, se ha avuto in Germania molti meriti nella affermazione di una costruzione aggiornata e nella risposta a temi come quelli della casa e dei servizi, ha subito pesanti sconfitte nella ricostruzione degli spazi urbani. Il museo, in questo contesto, diviene "spazio della riflessione" non solo in quanto contenitore deputato al rapporto tra la cultura di oggi e quella di ieri, ma anche quale occasione di architettura dove la tensione dialettica tra passato e presente che muove tutta la ricerca di Kleihues trova l'opportunità di dare il meglio e di costruire un originale "razionalismo poetico". * La ricerca di Luigi Moretti, così come è cristallizzata nella sua Accademia della
Scherma del 1933, è originale al confronto di altre contemporanee. Innanzitutto vi è un netto rifiuto di impostazioni assiali,
simmetriche e di riferimenti stlistici diretti all'architettura classica, cosa non da poco per un architetto che operava nell'area romana
a diretto contatto di Marcello Piacentini, Enrico Del Debbio e Arnaldo Foschini. |
[16nov2000] |
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