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I Nervi di
Morandi o le reti di Musmeci Antonino Saggio |
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Riccardo Morandi è stato insieme a PierLuigi
Nervi la figura di punta tra gli ingegneri italiani. Ha contribuito allo sviluppo tecnico delle costruzioni in cemento armato, ma ha
soprattutto creato strutture che risolvono il calcolo statico in potenti composizioni spaziali. Mentre a partire dal dopoguerra, la
tendenza progettuale di Nervi si è concentrata verso la ricerca di un equilibrio rassicurante, spesso simmetrico e statico, Morandi
raggiunge i più rilevanti risultati tecnici ed estetici puntando sul tema opposto. Come ha notato Bruno Zevi, le strutture di Morandi
sembrano raggelate un momento prima del crollo. Mensole e sbalzi, travi appoggiate, archi a tre cerniere, stralli e telai (tutto quel
complesso di figure statiche che formano i famosi "ragni" - croce e delizia degli studenti di ingegneria e architettura) si
giustappongono in maniera niente affatto classica e rassicurante: alla luce dei metodi costruttivi tradizionali, le sue strutture sono
anzi irrealizzabili e proprio per questo risultano efficienti, logiche ed economiche per le ragioni del cemento armato. Morandi è stato per tutta la vita il nume di un'unione fortunata: quella tra il calcestruzzo da una parte e il ferro dall'altra. L'uno che risponde agli sforzi di compressione con la geometria e la massa delle sezioni, l'altro agli sforzi di trazione con l'elasticità del materiale, insieme, e per questo si parla di matrimonio fortunato, dilatandosi in maniera analoga alle sollecitazioni termiche. Il risultato è un materiale solidale, forte, indistruttibile, plasmabile in forme e schemi statici infinitivi che permette, attraverso la tecnica della precompressione, di raggiungere luci molto elevate e la realizzazione delle grandi opere della tecnica moderna. L'ingegnere Morandi, nato nel 1902, sperimenta le potenzialità del cemento armato e della precompressione in strutture a destinazione diversa, dalle abitazioni alle sale di spettacolo, dalle autorimesse agli hangar, dai ponti ai viadotti. Prima della guerra lavora in un intenso rapporto mecenate-progettista per la nuova città industriale di Colleferro operando a tutto campo dalla pianificazione alla realizzazione di stabilimenti e servizi. Negli anni Trenta si cimenta anche nella progettazione di sale di spettacolo; l'Augustus, ricavato all'interno di un edificio esistente che incunea una nuova struttura larga 18 metri che sopporta i tre piani superiori al cinema, e il Giulio Cesare, di ben 2000 posti il cui il dato caratterizzante è la balconata curvilinea che ospita la galleria. Il lavoro sulle sale di spettacolo ha il suo più importante episodio nella realizzazione del cinematografo Maestoso sempre a Roma della metà degli anni Cinquanta. Si tratta di un edificio pluriuso di 50.000 metri cubi che rappresenta lo stato dell'arte tecnologico del momento. E' un cinema da 2600 persone, sei abitazioni superiori, sale sotterranee per intrattenimenti e due braccia ad un piano per bar e tavola calda. L'insieme funziona da condensatore pubblicitario e commerciale in una periferia cresciuta tutta con le regole di una feroce speculazione. Morandi opera con schiettezza sulla diversità delle funzioni. Crea un pacchetto di abitazioni superiori rigorosamente seriali e rivela la funzione pubblica portando in facciata la scala del cinematografo visibile attraverso il vetro dei pannelli. L'interno del cinema è un canto strutturale di piedritti a sezione variabile che fanno viaggiare i pesi orizzontali delle balconate a sbalzo sino al loro punto di scarico. Ma l'intera costruzione è caratterizzata principalmente da sei portali zoppi che partono dall'atrio e, attraverso i 40 metri della sala, vanno a poggiare su un traverso che contiene lo spazio scenico. L'intera costruzione, compresi i tre piani di appartamenti superiori, risulta sostenuta da questo enorme telaio. Tecnicamente l'opera sfrutta il principio della precompressione alla quale Morandi ha attivamente lavorato sin dagli anni della guerra realizzando anche sette sistemi brevettati per la tensione dei cavi di acciaio. Nelle grandi costruzioni per gli aviogetti, Morandi realizza delle coperture appese sui supporti periferici per non avere ostacoli negli spazi di lavoro. Nel primo hangar, una mensola in aggetto di 60 metri sostenuta da stralli viene ripetuta identica in serie parallele, mentre in quello realizzato circa dieci anni dopo, la copertura è concepita come una tenda sostenuta da tiranti con sviluppo radiale a partire dai tre supporti verticali. In entrambi i casi il cemento armato viene adoperato perseguendo l'idea e l'immagine di leggerezza dei reticoli di stralli contro il cielo. Nella struttura ipogea torinese di 69 metri di ampiezza 151 di lunghezza e otto di altezza, lo sforzo è al contrario nella ricerca plastica e nel ritmo delle potenti travature a sezione variabile che si raccolgono nei supporti inclinati e incernierati al suolo, già sperimentati in tanti ponti. La costruzione viene allo stesso tempo irrigidita e dinamicamente scandita attraverso l'abbinamento dei ritti, che ne spezza una monotona ripetizione seriale, e con l'incrocio delle travature le quali, congiungendo in obliquo ritti sfalsati, crea in mezzeria dei rombi di vetrocemento da cui penetra la luce. Se negli involucri dei suoi edifici l'ingegnere rivela qualche rigidezza ed elementarità, in questo salone sotterraneo e nei suoi molti ponti è completamente libero di integrare in un unico gesto calcolo, schema statico e spazio architettonico. Ciò rende vana ogni distinzione tra tecnica e arte (o tra ingegneria e architettura) e dà forma a quell'attimo fuggente che per Morandi è l'equilibrio. Un capitolo internazionalmente noto della sua attività viene segnato dai ponti e dai viadotti, realizzazioni in cui si coagula lo sforzo tecnico verso l'attraversamento di grandi distanze alla tensione tridimensionale delle membrature. Anche qui l'ingegnere sperimenta: dalle strutture a trave a quelle ad arco ai sistemi con stralli e telai. Del primo caso basti ricordare il cavalcavia a Corso Francia a Roma e il Ponte Vespucci a Firenze in cui l'aspetto tecnico della precompressione viene risolto nella elegante essenzialità dei profili e nella tensione estetica verso l'orizzontale; del secondo, il ponte sullo Storms River in Sudafrica nel quale la realizzazione (basata sulla rotazione di due archi costruiti in verticale e poi abbassati ad appoggiarsi in chiave) è altrettanto importante della progettazione stessa. Ma le opere più importanti e interessanti si fondano su uno schema lontano da ogni struttura voltata o trilitica del passato. Risulta formato da due compassi strutturali ribaltati che determinano i supporti verticali. Il primo, più piccolo, è incernierato sulla base di appoggio e sorregge a mensola la prima parte della travatura, mentre il secondo - più grande - si impenna nello spazio ad ancorare gli stralli cui è appeso il secondo tratto della travatura. Le forme scultoree e l'equilibrio magico di forze interagenti coagulate in questo schema statico rappresenta il marchio e il logo di Morandi e gli permette di portare a compimento incarichi prestigiosi per tutta l'arte italiana del costruire: il ponte di nove chilometri sulla laguna di Maracaibo in Venezuela all'inizio degli anni Sessanta, il viadotto sul Polcevera a Genova del 1964, il Ponte sul Wadi El Kuff in Libia completato nel 1971. Sono impetuosi interventi dell'uomo sulle grandi dimensioni della natura o della città di cui molto si tratta e si discute sul catalogo. Ma con lo stesso equilibrio di forze dà vita anche a piccoli episodi altrettanto calibrati e belli come il Viadotto sull'ansa del Tevere del 1965. * Nelle scuole di architettura italiane vi sono molti esami dedicati alla scienza delle
costruzioni. Il neo-laureato acquista basi solide per effettuare un dimensionamento corretto delle strutture secondo una impostazione
"di verifica" all'interno di morfologie e di schemi statici già dati. Tutta l'esperienza e il lavoro di Sergio Musmeci cercò
invece di fare un ragionamento "per forma". |
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