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Tre date: 1943, 1968, 1993.
Il 19
luglio 1943 moriva a trentanove anni Giuseppe Terragni, l'architetto che ha firmato l'edificio del novecento italiano più conosciuto al
mondo. Un progetto che viola, nega, supera tanto l'International Style quanto la retorica di una Casa del fascio per la federazione
di Como.
Per celebrarne il venticinquesimo dalla scomparsa, nell'estate del 1968, si tiene nella sua città di adozione (Terragni
è nato a Meda a una decina di chilometri da Milano, ma a Como è sempre vissuto) il convegno "L'eredità di Terragni e
l'architettura italiana". La rivista di Bruno Zevi pubblica un fascicolo che per la prima voltà ne sistematizza l'intera produzione
e soprattutto pone il quesito: come rendere operativa la lezione della sua architettura, come valorizzarla nel progetto quotidiano?
La risposta degli architetti italiani è elusiva. Comincia a imperare un'altra
scuola fatta di simmetria, di oggetti spaesati, di afflato metafisico e antiumanistico. Si sviluppano dei regionalismi colti e raffinati.
O le cattedrali nel deserto dell'edilizia pubblica. Le ossature stratificate di cemento armato e la trasparenza di Terragni vengono
accantonate.
Alcuni aspetti del suo lavoro, almeno all'estero, sono raccolti. Gli svizzeri del Ticino ne sviluppano i motivi, ma è
soprattutto il campione degli architetti newyorchesi che ne fa il proprio alter ego pscicoanalitico. "Terragni sono io, Terragni l'ho
inventato io" dice Eisenman. Terragni viene piegato e usato come fonte solo formale per la produzione delle sue tredici House.
Congelare Terragni in una dimensione intellettualistica è una riduzione artificiosa (non il suo poetico e funzionalissimo asilo Sant'Elia
è il termine di paragone, ma la distributivamente incerta, anche se per altro bellissima, palazzina Giuliani-Frigerio), ma almeno con
Eisenman Terragni vive.
Negli anni Ottanta si pubblica un vero Opera Completa (Marcianò, 1987) grazie anche
all'organizzazione degli Archivi a Como a cura della Fondazione Terragni.
E arriviamo al 1993, l'anno del cinquantenario dalla
scomparsa. Una grande mostra magari ospitata a Como? Un nuovo libro che compendi e divulghi gli studi di questi anni? Una ricostruzione
magari elettronica dei tanti stupendi progetti rimasti sulla carta? Tre giorni di convegno internazionale con tutti gli specialisti del
suo lavoro e con una rigorosa call for papers?
Niente di tutto questo. Il mese in cui cade il cinquantenario è vuoto (a
quanto ci consta, solo il fascicolo di luglio de L'Architettura con una nuova lettura della Casa del fascio lo ricorda). Il comune
di Como organizza delle conferenze su invito, l'InArch di Milano un treno speciale con una visita a Como, ma le Grandi istituzioni non
scendono in campo per tempo.
Ecco allora che l'iniziativa tenutasi il 26 novembre 1993 per conto della Soprintendenza ai beni
culturali e ambientali di Milano assume un valore doppio: l'unica iniziativa di portata nazionale e la sola nell'esser riuscita a colmare
un vuoto che altrimenti sarebbe stato ancora più grave.
Al convegno si è avuta la testimonianza dei vecchi compagni di strada di
Terragni (Beljoioso, Manfredini, Mucchi, Vietti) e le relazioni di Bilancioni, Canella, Dezzi Bardeschi, Selvafolta, Vercelloni, Vitale.
L'organizzazione è degli architetti Artioli e Borellini del Ministero per i beni culturali e la BetaGamma ne pubblica gli atti.
Nella
relazione di Paolo Portoghesi, una lezione di successo e smaliziata classe, gli astanti hanno potuto constatare che, anche da un
osservatorio neo-barocco e post-moderno, Terragni (via il conterraneo Borromini) può essere fonte di ispirazione per un contemporaneo. A
ulteriore prova della grandezza del comasco.
L'epica dei maestri comacini che nel medioevo e nel rinascimento dall'isoletta del
lago di Como partivano in giro del mondo non è nuova: Alberto Sartoris (purtroppo assente) e Pier Maria Bardi lo sottolineavano spesso
negli anni Trenta per cercare di convincere il regime dell'origine autoctona del razionalismo. Sappiamo che il contrario è il vero. Se
non fosse stato per quel gruppo che per primo colse la lezione internazionale di Le Corbusier, di Mies, di Gropius, di Mendelsohn
un'ancora maggiore ritardo -lo disse Carlo Belli- avrebbe attardato nostra architettura allora in mano ai Bassani, ai Portaluppi ai
Coppedè, ai Brasini se non agli Ulisse Stacchini della stazione centrale di Milano.
Ma Terragni alla tensione del nuovi materiali
(cemento armato, ferro vetro) allo studio attento e funzionalista degli impianti, a una vocazione nuova per lo spazio atmosferico associa
una profonda tensione verso la presenza pura e astratta del volume che risolve contemporaneamente due aspetti: da una parte rende astratta
e immateriale ogni retorica monumentale, dall'altra testimonia che la presenza del passato, per un architetto italiano, non è un optional
ma è insito nei suoi geni, è immanente, atavica, irrinunciabile.
Con l'uso gigante delle ossature, con l'intreccio delle forme e
soprattutto con una interpretazione moderna del chiaroscuro Terragni riscopre la profondità nell'architettura moderna, muovendo oltre il
razionalismo tutta l'architettura italiana. Il messaggio rimane talmente nuovo che non è assorbito. Vediamolo nelle case di abitazioni a
Milano.
*
Caro Bardi, "il mese venturo apro studio a Milano con Lingeri. Mi vedrai scossa di
dosso la polvere e l'inerzia di questa mia vita provinciale. Attivo anzi attivissimo nella polemica e nelle opere. Potrai contare su di me
e Lingeri come noi facciamo affidamento sul tuo valore, sulla tua competenza, sulla tua amicizia per continuare quella battaglia che un
anno fa dalla tua galleria abbiamo insieme cominciata." Firmato Giuseppe Terragni, 26 maggio 1932.
Questa lettera al famoso giornalista dell'Ambrosiano e al paladino del Razionalismo
architettonico, ufficializza l'inizio dell'avventura professionale milanese di uno dei più famosi architetti italiani del secolo.
Terragni
conosceva Lingeri da molti anni. "Espressione di turbinio mentale, di prestanza fisica, di saggia spontaneità espressiva, qualità
queste in netta opposizione con la capacità concentrativa e meditativa di Terragni", Pietro Lingeri era nato a Tremezzo vicino a
Como nel 1894 (Il maestro del lago, Costruire n. 138) e, come ancora ricorda Ico Parisi collaboratore negli anni Trenta nello
studio Terragni, "aveva fatto la gavetta". Dopo una diecina di anni come decoratore e modellatore nella più pura tradizione dei
maestri comacini, si era iscritto all'Accademia di Brera diplomandosi Professore di disegno nel 1926, lo stesso anno di Terragni. Di dieci
anni più giovane, Giuseppe era invece iscritto al Politecnico, Sezione Architettura, ma frequentava Brera per le materie di disegno e
d'arte: eseguivano entrambi le stesse copie di edifici antichi e si esercitavano su progetti in stile. Rinascimento, romano, barocco,
soprattutto "il medievale" insegnato da Gaetano Moretti, allievo e continuatore del grande Camillo Boito. Nel 1925 Lingeri e
Terragni, non ancora diplomati, progettano insieme un anti-convenzionale Monumento dei caduti. Invece della solita scultura piedistallo
(presente in tutti i grandi e piccoli comuni d'Italia con lapidi, cannoni ed elmetti della grande guerra) creano una struttura permeabile
che ridefinisce urbanisticamente il raccordo tra due piazze contigue del centro di Como. Molte prospettive, impaginate in un dinamico
collage, mostrano l'inserimento del fabbricato nel contesto.
Dopo la laurea, Lingeri non partecipa
direttamente alle battaglie del Gruppo 7 che vedevano Terragni in prima linea, ma respira il clima e gli entusiasmi del più giovane amico
che si va affermando soprattutto con la costruzione degli appartamenti Novocomum del 1929, primo edificio italiano di un razionalista, e
con uno squisito negozio di vetri e ceramiche realizzato sotto i portici della piazza del Duomo sempre a Como. Un esterno minimalista e un
interno tutto giocato sulle trasparenze, sulla scomposizioni dei piani su una sapienza costruttiva che piega anche gli impianti al gioco
di insieme. Novocomum e negozio Vitrum sono importanti perché è grazie a queste opere che si comincia a consolidare, nella mezzora di
ferrovia tra Como e Milano, una cultura e una sensibilità astratta. È la nuova architettura che incrina le nostalgie del gusto
Novecento. I razionalisti, termine tutto italiano, sarebbe bene ricordarlo e di cui Terragni rivendicò l'invenzione (il Movimento
italiano di architettura razionale, Miar fu formalizzato nel '31 proprio nella mostra alla galleria Bardi di Roma) hanno continui
rapporti con i pittori: Rho, Radice, Nizzoli, Badiali, Prina sono compagni di strada e a volte collaborano con gli architetti, ma anche
altri artisti come Veronesi, Soldati, Licini, Melotti sentono i nuovi fermenti. Cenacolo è il Bar Craja di Milano (disegnato
neo-plasticamente da Figini-Pollini e Luciano Baldessarri) dove sono spesso presenti Carlo Belli e Alberto Sartoris, due vulcani di
iniziative. È un humus che darà frutti culturali, ma come vedremo, anche professionali.
Terragni vive a Como e va a Milano un
paio di giorni a settimana per lavorare nello studio di corso Vittorio Emanuele dove Lingeri porta avanti anche incarichi propri come,
nello studio di via Indipendenza a Como, continua a fare Terragni. Pur se Giuseppe può contare con il fratello Attilio su una avviata
struttura professionale (figlio di un imprenditore "era nato, per cosi dire, in mezzo alla calcina e alle impalcature", scrisse
Mario Radice) in questo 1932 vuole sfuggire dalla "vita provinciale", aprirsi alla grande città, consolidare sul piano
professionale la collaborazione con Lingeri.
*
Milano, naturalmente è la scelta per tante ragioni insieme. La città è ormai
diventata il centro propulsore della nuova architettura italiana. Dal 1933 vi si tiene, trasferita da Monza, La Triennale (e già alla
prima edizione milanese i due architetti, con Il Gruppo di Como, vi realizzano una casa-atelier). A Milano poi vi sono molte redazioni di
riviste di architettura. Casabella, prima fra tutte: alla fine del '32 Giuseppe Pagano segue le orme di Edoardo Persico e si
trasferisce da Torino per assumerne la direzione. Poi vi è Domus, Edilizia Moderna, Rassegna di Architettura, La
Casa. Anche Quadrante, diretta da Roma da Pietro Maria Bardi e da Massimo Bontempelli, in realtà viene fatta a Milano, nella
casa studio di Gianluigi Banfi. Terragni con i Bbpr è molto attivo in tutta la fase di strutturazione e organizzazione della rivista.
Un'altra
ragione della scelta milanese è che la grande città facilita i contatti con i committenti, pone le premesse per ottenere incarichi
pubblici di prestigio e per la costituzione di gruppi numerosi e pluridisciplinari necessari a partecipare agli importanti concorsi che il
regime lancia con una ampiezza che non vi erano mai stati prima. Terragni e Lingeri partecipano alle più importanti occasioni di quegli
anni in gruppi a volte numerosi e spesso allargati a pittori e strutturisti. Innanzitutto il Palazzo del littorio a Roma (1934, secondo
grado nel '37) e il Piano regolatore di Como (1934), poi la Biblioteca di Lugano ('36), il Palazzo dei ricevimenti all'E42 ('37), la Nuova
fiera campionaria di Milano ('38). Accanto ai concorsi, sono da ascrivere anche i tre progetti per la nuova sede dell'Accademia di Brera,
il Bar Campari in piazza Duomo e il progetto per il Danteum ('38) ubicato a Roma ma originato da un incarico "milanese" del
direttore di Brera.
Vincono il Concorso del Prg di Como, ma tutti gli altri lavori non portano a realizzazioni. Un bilancio
professionalmente deludente, se non fosse stato per gli incarichi di edilizia privata. Tra il 1933 e il 1936 i due architetti riescono a
costruire cinque edifici di abitazione (alcuni di recente restaurati con la supervisione della Soprintendenza) che lasciano una
testimonianza concreta del loro ingegno.
Il mercato immobiliare milanese, dopo l'adozione del Piano regolatore coordinato da Cesare
Albertini (che eleva le densità edificabili di una griglia governata più dalle quantità e dai regolamenti che dal disegno urbano), è
più vivace che a Como. Soprattutto va emergendo una borghesia imprenditoriale che comincia a cogliere i vantaggi pratici ed economici
delle teorie dei razionalisti: maggiore efficienza costruttiva, eliminazioni delle decorazioni superflue e costose, distribuzioni più
efficienti rispetto a quelle dell'architettura in stile di impianto ottocentesco.
Gli incarichi delle case da reddito (edifici
multipiano ad appartamenti, che prendono il nome dal proprietario che in genere vi risiede all'attico) arrivano (eccetto per casa
Lavezzari) dall'entourage dei pittori milanesi che sia Terragni che Lingeri, come abbiamo visto, frequentavano assiduamente. La
casa Ghiringhelli (1933), fu commissionata dalla famiglia che aveva la proprietà della famosa galleria "Il Milione". Il pittore
Virginio Ghiringhelli vi risiederà all'attico. I signori Rustici sono amici dei fratelli Ghiringhelli e commissionano la casa Rustici
(1933-'35) e la Rustici-Comolli (1934-1935); la casa Toninello (1933) invece era di proprietà di Cesare Toninello che conobbe gli
architetti attraverso la pittrice Zanchi Giuliani che abiterà all'ultimo piano.
Nella casa Ghiringhelli, gli architetti organizzano uno schema simmetrico con atrio d'ingresso al centro e due ali
servite ciascuna da un blocco scala che disimpegna due appartamenti per piano. Gli spazi di servizio danno sul cortile interno, quelli
principali sul fronte che fa da sfondo alla piazza Lagosta chiudendone la prospettiva del viale prospiciente. All'ultimo livello il
canonico arretramento crea la casa studio del pittore che, nell'arredo e nel ricorso al vetro cemento, ricorda la contemporanea Casa per
l'artista alla V Triennale. Vi sono echi del Novocomum: per esempio nelle scale cilindriche del cortile interno e nello sbalzo d'angolo
sotto la sagoma arrotondata dei negozi.
La casa Lavezzari (1934-'35)
in piazzale Morbegno si trova in una situazione geometricamente simile. Un lotto trapezoidale prospiciente uno slargo. Diverse ne sono
però le proporzioni, dato che la lunghezza dei lati è molto più estesa rispetto al fronte sulla piazza. Ne deriva l'inversione dello
schema distributivo. Qui i fianchi ospitano le aperture e i balconi principali degli appartamenti, mentre il centro -prospiciente la
piazza- è occupato solo dall'atrio e dal corpo scala solcato dagli aggetti di una serie di piccoli balconi.
La casa Toninello in via Perasto si colloca in un lotto rettangolare stretto e lungo, chiuso
sui lati maggiori. Lingeri e Terragni dividono la cubatura consentita in due parti separate dal cortile, ma creano un unico blocco scala
che raccorda i due blocchi. È uno schema ingegnoso che crea una interessante spazialità.
L'ultima casa da reddito a essere realizzata è la Rustici-Comolli (senza entrare in questioni filologiche, il ruolo
di Lingeri in questo progetto è senz'altro predominante). E' collocata in via Cola da Montano e risulta divisa in due parti di differente
altezza. La più alta -consentita dalla maggiore ampiezza della strada- si affaccia sulla ferrovia mentre la più bassa su una via
laterale. È una scelta che fotografa il regolamento e che era stata forse meglio risolta in una precedente soluzione. Nei dettagli (i
parapetti, gli infissi, il disegno dell'androne) i progettisti dimostrano che i materiali semplici ed economici dettati dal programma
popolare della costruzione possono essere assemblati con gusto e abilità.
La casa Rustici (tra le prime a essere progettata, anche
se la costruzione fu a lungo ritardata) aveva proposto rispetto a queste opere una assoluta novità distributiva. Invece di ricorrere allo
schema a cortile chiuso (con i bagni, le cucine e i locali tecnici verso l'interno e gli ambienti affacciati all'esterno), i progettisti
dispongono ortogonalmente alla strada principale due corpi di fabbrica distinti. Il lotto è diviso in tre fasce uguali (12 x 24 metri
circa ciascuna) con le esterne edificate e la centrale vuota.
Superare
l'impianto a cortile rappresentava in quel momento una ricerca di grande importanza per degli architetti funzionalisti: consentiva una
serie di benefici distributivi e igienici per le abitazioni e, contemporaneamente, era la premessa per una urbanistica moderna. Infatti
-come Le Corbusier ripetutamente dimostrava- il blocco a cortile risultava vincolato dalle forme irregolari di un isolato perimetrato da
"strade corridoio". Bisognava invece ricercare l'indipendenza tra corpi di fabbrica e viabilità per consentire a ciascun
sistema di funzionare al meglio. La battaglia contro il cortile (il logo del progetto oppone il nuovo schema tripartito al cortile cieco,
che viene barrato quale soluzione negativa) ha luogo però all'interno delle maglie del piano di Albertini, concepito e regolamentato
proprio per questo impianto. Da qui nascono nove versioni diverse e le difficoltà per l'approvazione.
Nella casa Rustici, i due
corpi in cui si collocano gli appartamenti sono ciascuno serviti da una scala a cui si accede da una piastra comune rialzata di mezzo
piano e coperta in vetro cemento. Gli ambienti principali di ciascun appartamento danno sulle strade esterne, ma proprio per la logica
distributiva dell'impianto alcune camere da letto si affacciano anche verso l'invaso centrale. Il ponte-galleria (che corre a metà della
profondità del lotto) estende il piano attico su entrambi i corpi collegandoli in una villa sospesa che ricorda assunti (l'Immeuble
Villa) e alcune forme di Le Corbusier.
La novità dello soluzione però, se da una parte serve a mettere in pratica i requisiti
del Funzionalismo (il riscontro d'aria, la doppia illuminazione, l'efficienza del sistema scala-appartamento, la regolarità degli
ambienti, la minimizzazione dei corridoi), è anche l'applicazione di un tema già anticipato nel lavoro di Terragni e che ne costituisce
uno dei leit-motif. Se si guarda dal punto di vista dell'organizzazione distributiva del piano terra della famosissima Casa del
fascio di Como, si scopre infatti che anch'esso è diviso in tre fasce (con le due esterne che contengono gli uffici e la centrale
libera).
A Como l'invaso centrale collegava le adunate interne a
quelle esterne come due piazze contigue, a Milano l'area tra i due blocchi -atrio al primo livello e vuoto schermato dai
balconi-passerelle a quelli successivi- risolve la distribuzione tra i due corpi attraendo i flussi e la stessa atmosfera cittadina.
Catturato nella costruzione, lo spazio a cielo aperto naturalmente detta lo sviluppo della forma architettonica che si serve dell'ossatura
a telaio che, come un grande bow-window , si appende al di sopra del seminterrato e del primo piano. Nel prospetto su corso
Sempione il telaio assolve due compiti: da una parte, unire le due ali edificate a quella vuota, dall'altra evidenziare, pur schermandole,
le diverse profondità dell'edificio. L'effetto di stratificazione spaziale è magistralmente riuscito e segna il fascino di un'opera che
rimane unica, anche se lo schema che la sottende ha la perentorietà di un tipo.
Il progetto ha alcune incertezze su cui Pagano si
soffermerà ("una denuncia strutturale in chiave decorativa che si risolve a scapito dell'unità dell'opera", si riferiva ai
marcapiani usati sui prospetti laterali) e alcuni motivi appaiono singolarmente meglio risolti nelle altre case milanesi. Il rapporto
basamento-elevazione è più asciutto nella Ghiringhelli con la base ricurva in marmo nero e l'aprirsi ad angolo ottuso dell'elevazione
segnato, sul lato corto, dal filare dei balconi. Il sistema di comporre la facciata della Toninello giocato sul grande telaio e sui
riempimenti modulari sembra identificare una sintassi minima ma efficace di elementi componibili, come in un oggetto d'arredo. La scala ad
andamento pentagonale della Lavezzari contro il vetro cemento determina uno spazio di grande fascino.
Ma è la casa Rustici che
cerca il nuovo nel superamento della corte, nei corpi liberi e funzionali, nell'attrazione dello spazio pubblico dentro l'edificio, nel
trattamento espressivo della profondità con i giochi d'ombra delle passerelle sull'invaso centrale. Nelle altre case d'abitazione il
lavoro degli architetti fa acquistare al manufatto una qualità che veste dignitosamente le regole dell'operazione edilizia senza sfidarne
le ragioni. La Rustici invece ragiona sul vivere urbano per proporre un tipo d'abitazione che nello spazio, nella forma,
nell'organizzazione, ne risolve la caratteristica più importante: il rapporto tra il privato della casa e il pubblico della città.
È
il suggello di un'amicizia, di una collaborazione professionale, di quella "battaglia" che Terragni prometteva di condurre con
Lingeri a Milano.
Antonino Saggio
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[23nov2000] |