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Il Dispensario antitubercolare che il trentatreenne ingegnere Ignazio Gardella
costruisce ad Alessandria è un'opera particolarmente importante della nostra architettura tra le due guerre.
Nel 1938 il verbo di
Le Corbusier e degli altri iniziatori della nuova architettura ha ormai fatto breccia in Italia e i giovani che hanno firmato dodici anni
prima i manifesti del Gruppo 7 hanno costruzioni alle spalle: il Novocomum, la Casa del fascio e l'Asilo, Giuseppe Terragni; gli uffici De
Angeli e le prime opere a Ivrea, Figini e Pollini; le palazzine a Ostia, Adalberto Libera.
Milano è la roccaforte della nuova
architettura. Giuseppe Pagano - grazie soprattutto alla sua rivista - ne è il protagonista di maggior peso. Il direttore di Casabella
si attiene nei suoi progetti ai postulati essenziali: abbandona ogni decorazione per una aderenza scabra al tema, analizza razionalmente
le funzioni e le disloca in corpi autonomi secondo i dettami gropiusiani, utilizza i nuovi materiali, ma non spinge la ricerca verso il
loro più coerente sviluppo espressivo. Non è nelle sue opere che si troverà il contributo originale della nostra architettura, ma
bensì in quel filone che, inaugurato dalla Casa del fascio di Terragni, trova ad Alessandria un originale sviluppo creativo. Architetto
da tre generazioni, Gardella in questa opera fa incontrare due mondi. Da una parte, il gusto astratto, asimmetrico, minimalista, ma
aggiornato nei materiali e nelle tecniche. Dall'altra, l'amore per il volume compatto, stereometrico, puro. È una "forma
primaria" (denominazione che usa anche come titolo di uno dei suoi rari scritti del 1980) che segna una presenza atemporale
dell'edificio: una distanza dagli accidenti di luogo e contesto, un'atmosfera di bontempelliana memoria che non può non ricordare ai
nostri osservatori stranieri una profondamente sentita, e in fondo ineludibile, classicità.
La miscela forma primaria-minimalismo
cubista non è nuova e non appare qui per la prima volta. Terragni riscopre il campo profondo del chiaroscuro rinascimentale nella Casa
del fascio; sulle rocce di Capri; Libera ha progettato una nuova acropoli, l'Accademia della scherma di Luigi Moretti crea uno spazio in
cui edificio e contesto sembrano ricavati dalla stessa materia. Se Futurismo e Metafisica rappresentano quanto di più vivo si è creato
in Italia, è certo che almeno in questo scorcio degli anni Trenta gli architetti guardano con più interesse a questa ultima area
figutrativa che, scevrata dalle pesantezza e dalla letterarietà degli esiti di Giorgio De Chirico e rinvigorita dall'astrattismo di
Rietveld, Mies e Le Corbusier, diventa una coordinata del loro universo.
All'interno di questa ricerca, l'originalità della
posizione di Gardella è nella ricerca del rapporto tra il volume primario e le vibrazioni e le tessiture dei materiali. È una ricerca
che lo avvicina ai suoi coetanei dei BBPR, e che segna la via cui rimarrà fedele.
Il catalogo di Marsilio a cura di Buzzi Ceriani
-prodotto per la prima importante mostra che Milano dedica all'insieme dell'opera dell'architetto- seleziona ventidue dei suoi oltre
duecento progetti e ci permette di ripercorre l'evoluzione di questo leit-motif. La torre in Piazza del Duomo del '34 -un nucleo di
scale racchiuso dai telai di un'ossatura a vista- ne segna l'esordio. I dati del problema vi sono, se pur acerbamente, impostati. Nel
Dispensario il parallelepipedo compatto di trentaquattro metri di lunghezza, la metà circa di profondità e poco più di nove di altezza,
è definito da due telai sovrapposti al cui interno fluttuano i panelli. Un grigliato in mattoni nasconde la terrazza e testimonia come il
volume possa vibrare alla luce. L'entrata e la scala di accesso sono in posizione decisamente asimmetrica (nonostante il regolamento
dettasse il contrario) e permettono alla composizione di superare la staticità del blocco stereometrico.
Nel concorso per un
Palazzo della luce e dell'acqua per l'E42, il gruppo di Gardella disegna un prisma sospeso su colonne arretrate come sfondo alla scultura
di Lucio Fontana e getta le basi per lo sviluppo di una delle più significative architetture del primo dopoguerra: il mausoleo delle
Fosse ardeatine di Mario Fiorentino, Giuseppe Perugini e altri giovanissimi romani che ne riprende il fondamentale impianto compositivo.
Il
volume, l'amore del volume puro, segna anche una piccola costruzione come la Casa del viticoltore del 1947. In questo progetto il prisma
si disarticola in due parti governate dal rapporto di 1:3 e 2:3. Le falde del tetto rivolte verso l'interno determinano un compluvio
denunciato nei prospetti laterali. Ciò permette di presentare una asciutta geometria rettangolare nelle due testate che è ritmata dai
travetti del tetto in leggero aggetto, da una profonda loggia e dalle finestre "alla Gardella" dal disegno stretto e lungo.
I temi messi in movimento in questo laboratorio si ritrovano nel secondo
capolavoro che l'architetto regala ad Alessandria. Nelle case per gli impiegati della Borsalino del 1950 - realizzate nel clima delle
"composizioni mosse e articolate" dell'Ina-Casa - l'architetto erige direttamente dal suolo i blocchi degli appartamenti.
L'espressività del volume è accentuata da quattro scelte. La prima è l'andamento spezzato della massa che, seguendo l'organizzazione
funzionale della pianta, si dilata nella zona delle camere e servizi e si restringe in quella del soggiorno. La seconda è il ricorso a un
rivestimento in piastrelle di klinker che avvogle omogeneamente i blocchi. Poi vi è il disegno allungato - da solaio a solaio - degli
infissi, il loro montaggio a filo esterno e l'uso della persiana scorrevole. L'ultima scelta infine (che diverrà un'acquisizione del suo
linguaggio di quegli anni) è l'interpretazione formale del tetto che, appoggiato su travetti a sbalzo, copre il volume come una delicata
e autonoma vela.
Tre lustri dopo il Dispensario, il suo tema (volume puro da una parte e materiali di tessitura e di vibrazione
luminosa dall'altro) è lo stesso, ma si sintonizza non più con il realismo magico degli anni Trenta, ma con la consapevolezza - che si
va facendo viva in quegli anni - delle forme ricorrenti della storia dei luoghi. È quanto si manifesta con chiarezza anche nelle Terme di
Ischia nella quale il contrappunto alla forma primaria è affidato agli elementi del colonnato preesistente, tenacemente conservato e
valorizzato.
In due opere, ancora degli anni Cinquanta, Gardella dilata questa ricerca al limite del calligrafismo goticizzante.
Nel Padiglione di arte contemporanea a Milano la parete si smaterializza nel reticolo incrociato dei montanti; nella casa delle Zattere
sul canale della Giudecca la dialettica si ritrova nel gioco delle balaustre contro il blocco degli appartamenti.
Negli anni
Sessanta e inizio anni Settanta Gardella si radicalizza e sembra tralasciare un termine della questione per assecondare unicamente la
forza del volume e della composizione per masse elementari. Le opere di Denys Lasdun, Paul Rudolph, Alison e Peter Smithson vanno per la
maggiore e il volume nel progetto di teatro a Vicenza è solcato da una profonda frattura che fende in due il semi-cubo di base, o si
articola nell'imponente sbalzo dell'ultimo piano degli uffici Alfa Romeo che riprendono, con ancora più decisione, il tema dell'aggetto
che diventa copertura sperimentato nella mensa di Ivrea del '59.
A Genova nascono le due ultime opere. Nel Teatro, la presenza
della forma primaria è portata al suo culmine espressivo tanto da assumere il valore di simbolo per tutta una città. Ma è
nell'articolazione sui fronti stradali della Facoltà di architettura che la creatività di Gardella emerge in una nuova direzione.
Abbandonata
la dialettica volume-tessiture della prima fase, tralasciata la disarticolazione brutalista per masse degli anni Sessanta, il professore
di composizione scopre che il volume ha in se stesso la potenza di risolvere l'esigenza di vibrazione luminosa cui egli da sempre aspira.
Senza i fienaroli del Dispensario, senza le balconate delle Zattere, senza la vela di Alessandria, qui la fabbrica si articola in profonde
sagomature che -a metà portici e a metà contrafforti- accolgono le finestrature incassate. Il muro fa volume e sagoma, massa e
tessitura, chiaro e scuro, luce e ombra di un tempio moderno. Gardella opera la sintesi di una ricerca espressiva che oltrepassa il mezzo
secolo e segna, per se stesso e per noi, una tappa da cui ripartire.
Antonino Saggio
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[24nov2000] |