Astrologia in terra classica

 

L'astrologia fu un dono dell'Oriente alla cultura ellenica; nonostante ciò i Greci dell'età proto-ellenica non si limitarono ad assimilare le credenze orientali, ma apportarono ad esse significative innovazioni. Anche le due religioni, quindi, non presero spunto dall'osservazione degli stessi fenomeni; infatti quella greca non accettava, ad esempio, il culto del sole e della luna, che considerava barbariche, inoltre attribuiva agli dei una forma definitiva semi-umana indipendentemente dagli oggetti naturali che un tempo potevano aver contribuito alla loro genesi; gli dei, infatti, secondo la concezione religiosa del Greci, non vivevano e morivano nella e con la natura; Zeus non era il cielo luminoso, benché potesse derivarne il nome; era il dio supremo che esprimeva in una enorme varietà di forme la propria personalità e potenza divina. Anche nell'osservazione del cielo stellato non vi era, da parte dei Greci, alcuna connotazione religiosa, sebbene nessuno potesse non intravedere nel luccichio delle stelle qualcosa di divino, ma queste vie non portavano di per sé al culto degli astri.

La filosofia ionica del VI secolo, pur avendo tratto molte nozioni astronomiche dall'Oriente, non accettò la loro applicazione all'interpretazione dell'avvenire di popoli ed individui. I Greci dell'età classica e lo stesso Pericle tendevano a privare del loro orrore fenomeni impressionanti come le eclissi che, agli occhi di molti, apparivano come messaggi che la natura dava con lo scopo di illuminare gli esseri su futuri eventi di grande importanza.

I Greci interpretavano i fenomeni celesti solo come un aspetto collaterale delle manifestazioni di favore o sfavore dei Potenti; essi non elaborarono una tecnica per interpretare, in base a questi, il futuro, e di una credenza nel destino fissato nel firmamento non v'è traccia presso di loro.

La stessa immunità della vita greca, nell'era primitiva e classica, dall'influenza dell'astrologia orientale, si nota, tutto sommato, in altri settori: tragedie, oratori, commediografi, storici non ne parlano.

I Greci, ed in particolare i loro filosofi, pur accogliendo la credenza orientale dei giorni fausti ed infausti del mese, la giustificarono richiamandosi ai giorni di nascita degli dei olimpici piuttosto che al cammino della luna. Solo dopo la fondazione della scuola pitagorica si introdusse in Grecia il concetto di legge naturale, per cui i Greci incominciarono ad associare la ricerca delle immutabili leggi del movimento nel cosmo con la mistica scienza dell' astrologia. C'era in quei pensatori un senso profondo di timore reverenziale per la sublime bellezza e l'ordine immutabile del cosmo, per la regolarità assoluta con cui, governato da precise relazioni matematiche, si compie, tra celesti armonie, il moto del firmamento e dei pianeti.

Con la fondazione di questa scuola si procedette parallelamente su due fronti: sia sul piano delle conoscenze astronomiche riferite alla configurazione del cosmo, sia su quello di un nuovo interesse per l'astrologia caldea.

Vari filosofi col tempo posero le basi sulle quali si sarebbe sviluppata la mistica scienza dell'astrologia, così, a poco a poco, maturarono i tempi per l'accettazione della religione astrale e delle credenze astrologiche orientali che avrebbero celebrato nel periodo dell' Ellenismo il loro trionfo in Grecia.

Nella prima metà del periodo ellenistico l'elemento greco irruppe vittoriosamente nell'Oriente.

Successivamente però le titaniche forze primordiali dell'Asia si ribellarono con vigore agli invasori greci: l'aristocrazia greca subì in misura crescente l'influsso delle antiche religioni e abitudini di vita orientali. Ebbe così inizio la fatale evoluzione che avrebbe finito per distruggere il carattere peculiare della "grecità"; questa gradatamente si allontanò dal logos, la conoscenza scientifica, per abbracciare la gnosis, la conoscenza mediante la visione, l'estasi, la rivelazione. Infatti in Posidonio, filosofo stoico, all'inizio del I sec. a.C., l'astrologia è al vertice della contemporanea scienza greca.

Lo stesso accadde per le concezioni religiose per le quali le antiche divinità greche significavano ormai ben poco: ciò spiega il trionfo da un lato di Tyche, la dea della fortuna, dall'umore capriccioso, dall'altro il culto di Ananke, il destino inesorabilmente e spietatamente fissato dall'eternità che, concepito in termini astrologici, fa ricadere su ogni mortale il peso di tutto l'universo.

La prima conoscenza letteraria dell'astrologia caldea si deve alle storie Babilonesi di Berosso (composte verso il 280 a.C.), sacerdote di Bel a Babel, al quale si attribuisce la fondazione di una scuola astrologica sull'isola di Cos. Egli fu il primo ad informare più esattamente i Greci sulle leggende mesopotamiche degli dei e della creazione del mondo e sulla loro astrologia e astromantica.

Ma fu un'opera di provenienza egiziana ad esercitare un'influenza di una portata decisiva.

Non sono rimaste tracce riconoscibili di un'astrologia egizia nell'epoca del Regno Antico, benché il terreno fosse stato preparato dal culto del sole, e sembra che l'astrologia babilonese abbia fatto irruzione nella cultura egiziana non prima dei tempi del dominio greco, imponendosi da allora all'orgogliosa casta sacerdotale di quel popolo ultra conservatore. Il testo fondamentale di questa astrologia neo-egiziana, che consta sostanzialmente di due opere scritte in greco da due presunti autori egiziani (un re, Nechepso, e un sacerdote, Petosiris) ha senza dubbio raccolto, insieme al patrimonio babilonese e paleo-egizio, elementi della scienza greca.

Questo testo, risalente ad almeno 150 anni prima di Cristo (dà come non ancora distrutta Corinto), soppiantò tutti i più antichi libri ellenici, pur basandosi su di essi, e divenne la vera e propria Bibbia degli astrologi.

L' esponente della Nuova Accademia, Carneade, e i successivi critici della credenza nell'influsso delle stelle e nell'onnipotenza del destino, acuirono la loro dialettica quando apparve il libro di Nechepso-Petosiris; essi tendevano a non considerare in assoluto inviolabili i decreti del destino e a lasciare almeno un margine di azione al libero arbitrio. Inizialmente sembrò che Carneade avesse partita vinta nella critica all'astrologia ma, a lungo andare, non fu così perché con Posidonio di Apamea in Siria, che successe al greco Panezio nella direzione della scuola stoica, l'influsso orientale riprese vigore.

Si deve in gran parte a Posidonio se i Greci conobbero più a fondo l'astrologia orientale e se la resistenza ad essa a poco a poco si affievolì.

 A Roma, malgrado che Cicerone, Orazio e Properzio si fossero beffati della vanagloriosa sapienza degli astrologi che il volgo amava consultare nel Circo Massimo, tutte le scuole filosofiche, tranne quella degli Epicurei, erano ormai più o meno imbevute di astrologia. Nei secoli dell' era imperiale, il culto degli astri penetrò nella religione tradizionale grazie alla tolleranza del politeismo classico. Il più splendido edificio antico che ancor oggi vanti Roma, il Pantheon di Agrippa e di Adriano, con la sua cupola e i suoi rosoni a forma di stella, con i rapporti stabiliti dalla sua cupola e l'occhio solare da cui irrompe la luce, è il simbolo grandioso del cosmo e della sua unità che tutto abbraccia e che obbedisce a infrangibili leggi.

Anche la scienza subì l'influenza dell'astrologia: medicina, botanica, chimica, mineralogia, tutte le scienze della natura ne furono più o meno imbevute e tali rimasero fino al tardo Rinascimento.

Quanto, non solo tra il popolo minuto, ma anche tra gli imperatori romani e la buona società fosse in voga l'astromantica ci è indicato da innumerevoli testimonianze.

Se gli imperatori si proclamavano ufficialmente ostili alla magia e non di rado perseguitavano gli astrologi esiliandoli, non potevano d'altra parte farne a meno.

A questo proposito Plinio il Vecchio nel 77 d. C. tratta nei suoi libri di storia naturale, dedicati all'imperatore Tito, dell'astrologia e della magia. Egli ne riconosce l'influenza su molte nazioni antiche e contemporanee ma la condanna, definendo i maghi o "ciurmatori" o "sciocchi" e la magia "cosa vana e insensata". Egli chiama in causa Nerone, fallimentare mago, e loda Tiberio per aver soppresso i maghi in Gallia.

In generale tutta la sua trattazione dell'argomento rivela confusione e incertezza e, nonostante il disprezzo per quelle dottrine, il suo stesso libro, pieno di elementi magici, loda secondo la tradizione le virtù delle erbe, delle pietre, degli animali, degli amuleti e così via.

Plinio probabilmente segue le direttive degli imperatori, ufficialmente contrari alla magia, ma le sue accuse non hanno obiettività.

Nerone, che lo scrittore presenta come uno scettico, era certamente ostile alla magia, considerandola pericolosa per il governo, ma di fatto sia lui che sua moglie Poppea consultavano astrologi e maghi.

L'imperatore pensava di premunirsi così contro eventuali cospirazioni e si faceva addirittura leggere nel cielo dall'astrologo Babilus nomi degli avversari politici che avrebbe poi fatto uccidere.

Tiberio, al quale Plinio attribuisce il merito di aver proibito la pratica della magia in Gallia e in Italia ( tanto che esiliò quattromila Romani in Sardegna, per averla praticata, e condannò a morte altri per essersi fatti predire le cariche a cui aspiravano), aveva tuttavia al suo seguito astrologi che gli predicevano gli avvenimenti politici, i piani dei rivali, e via dicendo, così come del resto Tito, Domiziano e Ottone a cui Tolomeo predisse la corona imperiale.

Eppure questi imperatori furono ufficialmente contrari alla magia e alla superstizione. D'altra parte non era a caso il detto: "Quod licet Iovi, non licet bovi", cioè " Quello che si conviene a Giove non è permesso al bove", che starebbe a significare che l'imperatore può consultare gli astrologi ma il popolo deve astenersene.

Vitellio bandì gli astrologi dall'Italia ma, come da loro gli fu predetto, se ne andò prima lui. Infatti gli successe Vespasiano che rinnovò la legge del bando, ma ne esentò il proprio astrologo.

Gli astrologi erano ben visti a corte quando predicevano onori o gloria, mentre quei pochi temerari che predicevano avversità, venivano puniti a volte anche con la morte, ma quei pochi, dice Giovenale, se riuscivano a scamparla, assumevano credito e venivano ricercati da tutti per dare consigli.

Non solo gli imperatori interrogavano astrologi, ma anche le donne di corte, come Livia, madre di Tiberio, alla quale un astrologo predisse un luminoso avvenire per il bambino che aveva ancora in grembo.

Ottaviano, dapprima scettico, si convertì all'astrologia quando Teogene, quasi contro il suo volere, gli predisse, inginocchiandosi umilmente, il suo glorioso futuro. Più tardi Augusto fece coniare medaglie rappresentanti le stelle fortunate sotto le quali era nato.

L'imperatore filosofo M. Aurelio chiese aiuto a un mago caldeo quando la moglie Faustina gli rivelò di essersi innamorata di un gladiatore e di non riuscire a reprimere il sentimento.

Il mago, agendo sul piano psicologico, gli consigliò di uccidere il gladiatore e di fare strofinare il sangue di lui ancora caldo sul corpo della moglie; naturalmente il consiglio ebbe effetto perché il rito ripugnante fece inorridire l'imperatrice al solo ricordo del suo antico amore.

Settimio Severo, soldato impavido e molto ambizioso, rimasto vedovo, voleva sposare una donna che lo aiutasse a salire al trono. Così consultò astrologi caldei che gli indicarono una qualche ragazza siriaca.

Sposò la ragazza ma, ritenendo che tardasse ad avverarsi il suo desiderio, volle consultare un famoso astrologo siciliano. L' imperatore Commodo, quando venne a sapere ciò, volle condannare a morte Settimio, ma morì prima lui: il suo stesso oroscopo non era stato interpretato correttamente, poiché nessuno degli astrologi gli aveva predetto che sarebbe morto strangolato.

Gli imperatori non vedevano di buon occhio i maghi poiché sospettati di preparare filtri capaci di scoprire pericolosi segreti.

Anche i filosofi erano spesso mal visti dagli imperatori perché discutevano dell'Eterno e dell'Imperituro, trascurando di onorare il principe, anzi molte volte criticavano il governo e davano consigli inopportuni per l'imperatore in materia politica.

Inoltre si aveva paura che da lì a poco si sarebbero venerate divinità straniere con cerimonie a cui i libri sacri neanche accennavano.

Mecenate consigliò ad Augusto di punire chi praticava religioni straniere, non solo per rispetto agli dei, ma anche perché da quegli adepti potevano essere organizzate cospirazioni e associazioni segrete che avrebbero indebolito il governo.

Augusto segue il consiglio, ma in maniera meno drastica e violenta: fece ardere duemila libri dei maghi caldei, i quali già nel 130 a. C. erano stati cacciati da Roma, dove però riuscirono sempre a ritornare.

Le opinioni sulla magia da parte degli scrittori latini erano contrastanti: ci fu chi prese le distanze da essa come Plinio e Giovenale, chi invece, come Tacito e Seneca, ne prese le difese.

I contrastanti giudizi che incontriamo nel 1øsec. dell'era volgare e lo stesso contraddittorio atteggiamento degli imperatori, in generale ufficialmente ostile alle arti magiche ma di fatto non immuni dalla pratica di consultare astrologi e maghi, dimostrano che la magia e l'astrologia esercitavano comunque una forte influenza.

Tutti si occupavano della magia privata , ma nessuno giudicava prudente criticare il culto ufficiale , sebbene la religione codificata dallo stato non fosse altro che magia legalizzata. Infatti prima che Tiberio ne abolisse la legge, non si poteva prendere alcun provvedimento di stato senza consultare gli aruspici che interrogavano le viscere degli animali, e magiche erano tutte le arti divinatorie insegnate nelle scuole sacerdotali per predire il futuro mediante i responsi desunti dal volo o dal canto degli uccelli, dal lampo, dagli alberi. La religione romana era un antiquato culto della natura commisto di elementi degli antichi Etruschi e Greci e gli imperatori la difendevano con l'unico scopo di consolidare la propria autorità.

Il Cristianesimo nascente, in antitesi alla tolleranza delle religioni pagane, fu a priori e per principio intollerante di ogni altro culto e naturalmente della sua forma più recente e più tenace, la fede nell'onnipotenza delle divinità astrali e del loro re Elio.

I primi imperatori cristiani proseguirono le persecuzioni contro i maghi che quelli pagani avevano in seguito abbandonato e sotto Costanzo i devoti che ancora praticavano il vecchio culto, divenuto ora illegale, erano perseguitati come maghi e venivano martirizzati. Nell'impero romano d'Oriente i cittadini terrorizzati bruciavano i propri libri per timore di essere accusati di stregoneria, ma i sicari di Valente, con un sistema non nuovo in quei tempi e ripetutosi in seguito, nascondevano in casa delle persone sospette scritti magici che poi scoprivano, eliminando così sudditi infidi per l'imperatore, e arricchendo l'erario dello stato con i loro patrimoni.

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