LA LUNA NELLA STORIA
Nella
tradizione mitologica greco-romana la Luna, grazie alla mutevolezza del suo
aspetto che la rende unica fra tutti gli astri, è stata associata non ad una
sola, bensì a tre distinte divinità, legate ciascuna a tre sue diverse
"manifestazioni": la Luna piena, la Luna nuova e la Luna crescente.
Metafora rispettivamente di vita, di morte e di rinascita, da tempo immemorabile
queste tre figure lunari hanno rappresentato il ciclo della vita: è in tal modo
che il simbolismo lunare ha potuto coinvolgere fenomeni apparentemente così
eterogenei come la nascita, la morte, la fecondità, la femminilità, il
divenire, l'immortalità. Il primo volto, la Luna nella sua scintillante
pienezza, è simbolo di vita: per la mitologia greco-ellenistica esso assume il
nome di Selene.
Il
secondo aspetto, quello della Luna nuova, della Luna in congiunzione con il
Sole, è incarnato da Ecate, l'unica divinità a condividere con Zeus, re degli
dei, il privilegio di poter estendere il proprio potere sia sul cielo, sia sulla
terra, sia sul mare. Ecate era considerata la Luna nera, simbolo di morte, ma
anche di punto in cui tutto rifluisce per poter prepararsi a rinascere. Essa era
inoltre una divinità legata anche al mondo del soprannaturale, degli spiriti e
degli incantesimi: per questa ragione le erano sacri i crocevia, luoghi che la
tradizione popolare considerava teatro di sortilegi per antonomasia, dove si
innalzavano statue con le sue sembianze (poiché si riteneva che Ecate
conoscesse il passato, il presente e il futuro, era raffigurata con tre volti o
talvolta con tre corpi). È forse per questa sua connessione con il mondo della
magia che Ecate finì per essere associata al mondo degli inferi, assumendo i
connotati negativi di divinità maligna che in origine non aveva.
La terza
manifestazione, infine, la falce di Luna che riappare dopo il novilunio, è
simbolo di rinascita, di resurrezione, e assume il nome di Artemide, sorella di
Apollo.
TEOCRITO
Nasce a Siracusa, che nel quinto secolo era la città più importante della Sicilia dal punto di vista culturale: era nata la retorica con Corace e Tisia , era nata la commedia dorica di Epicarpo; dopo Epicarmo, rappresentavano nell’area siracusana i loro mimi Sofrone e Senarco. Teocrito si forma in questo ambiente, ponendo molta attenzione ai fatti quotidiani.
Della sua produzione poetica ci è giunto un Corpus contenente 30 carmi e una ventina di epigrammi. I 30 carmi del Corpus furono noti agli antichi col nome di "idilli". Con questo nome si intendeva un piccolo componimento senza alcun riferimento alla valenza pastorale ad agreste che il termine ha modernamente assunto. Un blocco omogeneo è rappresentato da 10 carmi bucolici: la fama di Teocrito è soprattutto legata a questi componimenti e l’autore è considerato il creatore di un vero genere letterario che verrà poi ripreso da Virgilio con le Eclogae. Caratteristica ricorrente di questi idilli è la loro struttura dialogica. Componente importante è la campagna che Teocrito esaltò ed apprezzò. Molta attenzione aveva per le stagioni, in particolare per quel periodo dell’anno tra l’estate e l’autunno( opora), cioè quando vi è abbondanza di frutti; molta attenzione anche per le ore del giorno, in particolar modo per il mezzogiorno dominato dall’arsura, quando gli uomini si distendono vicino ai ruscelli per rinfrescarsi.
Altri suoi importanti componimenti sono i “mimi urbani”, caratterizzati dai tratti più vivacemente realistici delle descrizioni e dall’ambientazione non rurale. Il mimo e la poesia bucolica hanno, comunque, caratteristiche affini per la modesta estrazione sociale dei personaggi e per la quotidianita' delle situazioni. Teocrito non usa la koine' (una lingua unificata su base prevalentemente attica con elementi ionici ed infiltrazioni di parlate straniere), che l'eta' ellenistica adotto' per superare il particolarismo dialettale ed avere un'unica lingua in tutto il mondo ellenistico; nelle sue opere prevale il dialetto dorico, ma sono presenti anche l'eolico e lo ionico.
Il metro da lui piu' usato e' l'esametro di stampo epico, ma usa anche metri lirici. I carmi riconducibili al genere letterario del mimo sono tre.
Tra i più importanti ricordiamo le “Incantatrici”.
Il mimo si apre su una scena di magia: Simeta,
abbandonata da un bellimbusto a cui si era donata, nel cuore della notte, sotto
lo splendore della luna, prepara un intruglio che dovrà ricondurre a lei lo
spregiudicato. Quando il filtro è pronto lo dà all’ancella che si reca ad
ungere la soglia di casa del traditore. Rimasta sola la giovane ricorda alla
luna la storia del suo innamoramento, il sacrificio per lui della sua verginità
ed ora l’abbandono. Un ritornello “ascolta, potente Selene, da dove è nato
il mio amore”, crea un sottofondo di cantilena alle parole della donna. Ma
nella notte silenziosa la luna volge serena il suo cocchio verso l’oceano:
l’universo ignora il dolore umano. Simeta accetta questa indifferenza e rimarrà
sola come prima a sopportare la sua pena.