Il piano rialzato

 All’interno del locale l’aria era densa di fumo, una coperta opaca gettata sui tavoli lucidi e rotondi, sulle sedie di ferro, sul bancone scuro dietro al quale indugiava il barista, in attesa. Qualcuno leggeva il giornale in un angolo, altri parlavano a bassa voce del più e del meno, altri ancora restavano soli, in silenzio, guardando fuori dalla vetrata del caffè la gente che passava; gente cupa, dal volto duro per lo più, piena di pensieri assillanti e grigi come il cielo che incombeva loro sul capo. Non era facile camminare con una faccia linda e florida, in novembre, per le strade della città che induriva il proprio cuore per non soffrir troppo delle delusioni; non era un mestiere facile, quello di vivere, specialmente lì, e per quanto potesse parere assurdo sembrava proprio che quanto più si scavava a fondo nella vita, quanto più si studiava e si leggevano i giornali e si scrutavano fugacemente i volti degli altri alla ricerca di qualche risposta, tanto più doloroso diventava il mestiere di vivere, o se non proprio doloroso almeno difficile. Eppure si continuava a cercare lo stesso, chissà perché.

Al piano terreno del caffè c’erano i soliti clienti, quelli che si trovano un po’ ovunque nei locali del centro città non troppo pretenziosi, e su tutti loro si attorcigliava pigro il fumo delle sigarette, disegnando nell’aria ricami irregolari che salivano, come gocce in un mare al contrario, fino a disperdersi nella bruma contro il soffitto. Al piano terreno si beveva il caffè, si leggeva il giornale e si discuteva, come in mille altri posti uguali nella città. Ma il locale aveva una cosa che gli altri non avevano: un piano rialzato.

«Non mi piace questa storia», esclamò un giovane dall’aspetto curato, chiuso in una giacca grigia a doppio petto e con una penna in mano. Davanti a lui, posati sul tavolino, stavano un plico di fogli stampati e una lettera.

«Ti riferisci al tuo articolo sulla rapina alla banca o a quello che ti ho raccontato?», gli domandò con ostentata perplessità la giovane donna che gli sedeva di fronte.

«Parlo di tuo padre, Serena. Non mi piace».

«Ma tu non devi sposare lui, devi sposare me».

«E il matrimonio che cosa c’entra?», chiese l’altro, infastidito; «mi riferivo a questa lettera», e le sventolò davanti il foglio di carta che era sul tavolo.

L’altra si strinse nelle spalle, senza rispondere nulla.

«Mi hai fatto leggere quello che ti ha scritto perché volevi sapere che cosa ne pensassi. E adesso non puoi far finta di non essere interessata alla mia opinione, solo perché non è quello che volevi sentirti dire. Non mi piace che tuo padre ti chieda di passare cinque giorni a casa sua, e non è per il fatto che avresti dovuto passare con me quelle ferie. Soltanto è che mi sembra strano che così, all’improvviso, si ricordi di avere una figlia in questa parte del mondo e le chieda di andarlo a trovare, senza dare alcuna spiegazione. Se proprio voleva rivederti, poteva venire lui. Tanto non ha nulla da fare nella vita».

La giovane era rimasta ad ascoltarlo in silenzio, con le braccia incrociate e la schiena appoggiata alla sedia, senza battere ciglio. Era quasi divertita dalla foga che il suo fidanzato usava nel tentativo di convincerla a non rivedere suo padre, e se non fosse stato per il fatto che si sentiva un poco offesa, in un qualche piccolo cantuccio dentro di lei, si sarebbe messa a ridere. Forse a lui non sarebbe neppure dispiaciuto troppo; era così bella quando rideva.

«E secondo te per quale strano e criminoso motivo un padre vorrebbe rivedere sua figlia?», gli domandò quando l’altro ebbe finito di parlare, senza poter evitare una punta di astio nella voce.

«Forse ha bisogno di soldi», azzardò l’altro, con poca convinzione.

A questo punto la ragazza non poté più trattenersi e rise, deliziata da tanta assurdità.

«Gianluca, non potevi trovare una scusa peggiore», gli disse poi, quando si fu ripresa; «sarebbe più probabile se mi volesse intestare un conto in banca. Mio padre non ha problemi di soldi, non li ha mai avuti e non li avrà mai. Nella sua carriera ha messo da parte tanto denaro da vivere nel lusso per duecento anni, e se anche, per uno strano motivo, ne avesse bisogno, gli basterebbe telefonare alla direzione di un qualunque quotidiano per annunciare che ha deciso di concedere un’intervista, e lo coprirebbero d’oro. Anche il tuo grande giornale», e diede enfasi all’aggettivo, come per canzonarlo, «non resisterebbe a una simile attrattiva».

Nessuna risposta, per qualche tempo. Il giovane aveva abbassato gli occhi per evitare lo sguardo indagatore di lei e stava giocando nervosamente con l’angolo di uno dei fogli appoggiati sul tavolo. Non si era lasciato convincere dalla difesa appassionata della sua futura moglie, ed era più che mai convinto che non ci fosse nulla di buono in quella faccenda. Un uomo come suo padre, che per vent’anni non si fa quasi mai vivo se non con un regalo ad ogni Natale e compleanno, e che poi invece, all’improvviso, decide di voler assolutamente vedere la figlia, e la invita quasi senza preavviso, per lettera, a passare qualche giorno nella sua villa in Costa Azzurra... Non era gelosia la sua, proprio no, semmai un tentativo forse un po’ eccessivo di proteggerla. Perché ci teneva davvero a lei, e non per nulla le aveva chiesto di sposarlo, e mille e mille volte, quando ogni cosa sembrava andare storta nel lavoro e in tutto il resto, pensava a come sarebbe stata la loro vita insieme, i bambini e le vacanze e anche la vecchiaia, uno accanto all’altra. In quel momento, più delle infinite parole che andava cercando per convincerla, ci sarebbe stato bisogno di dirle tutto questo, e altri pensieri ancora, e allora lei avrebbe capito, lo avrebbe ringraziato ed amato forse ancora un po’ di più; ma le parole non venivano, come non erano venute altre cento volte che avrebbe voluto dirle le stesse cose. Amara sorte per un giornalista brillante e dalla penna felice, non saper esprimere quelle quattro frasi che avrebbero potuto migliorare la sua vita, che pure non era una delle peggiori fra quelle che camminavano per le strade della sua città.

«Allora io vado», esclamò la giovane dopo qualche tempo.

«Non vuoi proprio ripensarci?», fu tutto ciò che lui riuscì a dirle, mentre la guardava alzarsi e prendere il cappotto. Quanto era bella, con la vita sottile e i capelli chiari che le scendevano sulle spalle; quanto era caparbia. Passandogli accanto la giovane gli sorrise e si chinò a baciarlo.

«Non preoccuparti, Gianluca».

E un attimo dopo non c’era già più, scesa al piano di sotto e poi nella via e poi ancora più lontano, su una strada dove lui non poteva seguirla. Bella e caparbia proprio come suo padre, non poté fare a meno di pensare con una punta di fastidio. Nessuno le aveva mai fatto cambiare opinione, ed era stato da sciocco pensare che lui ci sarebbe riuscito. Ma non gli piaceva l’idea di dover forse un giorno competere con quel padre enigmatico che per quarant’anni aveva stregato migliaia di donne e di uomini con il suo sorriso, il suo talento e il suo denaro; sapeva che era difficile uscire vincitori da un simile confronto.

Dopo un’occhiata all’orologio, decise che era ora di tornare in redazione. Doveva ancora rivedere l’articolo, e di certo non avrebbe fatto carriera a furia di ritardi e imprecisioni. Si alzò, prese il cappotto e raccolse le carte dal tavolo. L’angolo di un foglio era macchiato di caffè. Solo allora si accorse che Serena aveva dimenticato lì la lettera di suo padre. Per un attimo si chiese se non fosse meglio passare da lei quella sera per riportargliela, ma poi si disse che questo avrebbe generato soltanto una nuova discussione, e lui era stanco di discutere. L’avrebbe tenuta lui in fondo ad un cassetto, per cercare di scordarla, e si sarebbe rifugiato nei suoi sogni consolanti di bambini sorridenti su un prato verde, e di vacanze al mare. Cinque giorni sarebbero passati in fretta, si disse per cercare di tirarsi su il morale; e in cinque giorni nessuno sarebbe stato in grado di fare grandi danni, neppure il padre di lei.

Pagò il conto e uscì.

Solo allora si accorse che aveva incominciato a nevicare.

 

Erano solamente due giorni che Serena era partita per la Costa Azzurra, alla volta della villa di suo padre, e a Gianluca parevano invece due anni. Non poteva smettere di pensare a quella lettera, che aveva chiuso in fondo all’ultimo cassetto della scrivania per non vedersela intorno, e che tuttavia si sentiva dentro come un chiodo fisso, proprio in mezzo alla testa. Non gli era mai piaciuto quell’uomo, che pure non aveva mai incontrato di persona e aveva conosciuto solo dai giornali e dalla televisione, e poi, da quando stava con Serena, anche da qualche fotografia nell’album di famiglia. Era quasi geloso di quell’uomo carismatico, anche se faceva non poca fatica ad ammetterlo, e con lei non l’avrebbe mai confessato. Ma lei, lei lo sapeva; glielo leggeva in faccia, in fondo all’anima, come sapeva fare con ogni suo singolo pensiero di giornalista in ascesa e di giovane uomo perdutamente innamorato, che come tutti gli uomini non sapeva nascondere nulla di sé a una donna.

Come tutti gli uomini, pensò per l’ennesima volta Gianluca, con amarezza; come tutti, tranne suo padre.

Sapeva bene che era un pensiero irrazionale, che nulla lo giustificava, ma sentiva che forse la stava perdendo; che forse quell’uomo, così distante eppure sempre presente come una sensazione sottintesa in tutte le giornate di Serena, quell’uomo l’avrebbe allontanata da lui, in una maniera o in un’altra. Era un’idea sciocca, non c’era altro modo di definirla. Eppure non riusciva a levarsela dalla testa.

Quello che più lo spaventava era che non capiva. Non comprendeva la decisione e quasi l’allegria con cui la donna che amava aveva accettato di partire per raggiungere suo padre, sacrificando i suoi ultimi cinque giorni di ferie dell’anno, quando invece da mesi avevano deciso di trascorrerli insieme, a dicembre. Non era per le vacanze, certo, ma per quella scelta impulsiva, che Gianluca non si sapeva spiegare. I rapporti tra Serena e suo padre non erano mai stati facili; lui era rimasto per pochi anni a vivere con sua madre, poi le aveva lasciate tutte e due, con poche parole e ancora meno spiegazioni, per una nuova avventura. Oh, non che un uomo come lui non si potesse permettere una cosa simile; era già da tempo una celebrità, allora, e possedeva un patrimonio piuttosto ingente, e quasi ogni donna avrebbe voluto trascorrere anche solo una serata con lui, con l’uomo di mondo e di spettacolo più ricercato d’Europa. E lui lo sapeva, e approfittava sorridente di ogni occasione; le donne lo amavano, e lui non poteva fare a meno di amarle, tutte quante, proprio perché si sentiva così adorato; il suo era probabilmente un amore sincero, ma si esauriva nell’arco di poco tempo. Forse era questo che Serena non aveva mai voluto perdonargli, ancor più del fatto di averle lasciate con un appartamento e un buon assegno mensile: non saper resistere alla lusinga del proprio fascino.

Eppure qualche giorno prima, dopo anni di silenzio quasi totale, Serena si era arresa senza resistenze alla lettera del padre; la prima vera lettera che le avesse mai scritto, a parte i cartoncini di auguri. Gianluca l’aveva vista raggiante, con gli occhi lustri quando gli aveva mostrato la busta e gli aveva detto che il padre voleva passare qualche giorno con lei, in Costa Azzurra. Solo non doveva dirlo alla mamma. Ed era rimasto ancora più sconcertato da tutte le domande che lei non si era posta a proposito di quella richiesta, e che era toccato a lui fare, sentendosi quasi un aguzzino. Serena l’aveva ascoltato paziente, senza cancellare del tutto il suo sorriso, come si fa con un bambino. Poi, come al solito, aveva fatto di testa sua.

«E non mi ha ancora telefonato», concluse Gianluca, dopo aver raccontato ogni cosa a Pietro, l’amico d’infanzia, che aveva invitato a cena nel proprio appartamento per potersi sfogare con qualcuno. Dopo aver fatto insieme le scuole e aver trovato lavoro nello stesso giornale, per realizzare il sogno comune, potevano anche permettersi di sfruttarsi un po’ vicendevolmente, per cercare qualcuno da cui ricevere consiglio o anche solo compatimento. E di consigli Gianluca non credeva di poterne avere da nessuno, in quella occasione, perché l’unica cosa sensata era aspettare.

«Ma tu hai provato a chiamarla?», domandò per tutta risposta Pietro, mentre apriva un’antina alla ricerca di una bottiglia.

«Certo che ho provato. Ma ha il cellulare staccato. Sai com’è fatta».

Già, Pietro sapeva perfettamente com’era fatta Serena; lei e Gianluca stavano insieme da cinque anni, e tutte le volte che qualcosa andava storto, oppure andava particolarmente bene, Pietro diventava il confessore dell’amico; lo aveva sentito parlare così tante volte di lei, e lui e la sua ragazza  erano usciti così tante volte con loro, che gli sembrava di conoscerla come la conosceva Gianluca. Beh, quasi.

«Allora l’unica cosa da fare è berci sopra», sentenziò, quando ebbe trovato il whisky e due bicchieri puliti. «E aspettare; tanto lo sai che tornerà tutto come prima».

«Sì», rispose Gianluca, arrendevole, mentre si lasciava versare il liquore senza protestare. Ma non era convinto.

«Domani sera forse è meglio fare qualche straordinario al giornale, che ne dici? Così mi tieni compagnia», propose Pietro con allegria. Si sedette di nuovo davanti all’amico e si chinò in avanti, per riuscire a guardarlo in viso; Gianluca fissava il whisky sul fondo del bicchiere e non sembrava averlo sentito.

«Così mi distrai un po’, vero?», disse infine, quando Pietro stava già per ripetere la proposta.

«Così lavori, e inizi a metterti da parte qualcosa in più per comprarti la casa. Maledizione, un po’ di allegria! Stai per sposarti, non per andare a un funerale!».

«Io spero di stare per sposarmi. Se quello non si inventa qualcosa».

Pietro sbuffò, riprese la bottiglia in mano e versò dell’altro liquore all’amico.

«Bevi; sei paranoico. L’unica cosa che mi resta da fare, per non rovinarmi la serata, è farti ubriacare». Rise. «Coraggio, amico. Se lei ti pianta, ti sposo io».

Gianluca sollevò finalmente gli occhi per guardarlo, e sorrise.

«Sei proprio scemo», disse, scuotendo la testa.

 

Quattro giorni dopo Gianluca era di nuovo seduto nel caffè, come una settimana prima, quando Serena gli aveva annunciato che stava per partire. A differenza dell’ultima volta era solo, in compagnia soltanto dell’articolo che avrebbe dovuto presentare in redazione per le cinque; mancavano solo poche correzioni e ce l’avrebbe fatta senza problemi. Erano soltanto le due.

Gli piaceva quel posto, il tavolino al piano rialzato da dove si poteva osservare la gente di sotto e sentirsi in compagnia, oppure si poteva tranquillamente ignorarli tutti, e immaginare di essere soli, lassù, dove non veniva quasi mai nessuno a sedersi, e dove arrivava solo ogni tanto, a tratti, l’odore delle sigarette accese da basso.

Adesso era più tranquillo, rispetto alla cena con Marco; adesso si poteva dire quasi calmo. La sera prima, tardi, era suonato il telefono e quando aveva risposto gli era arrivata addosso la voce dolce di Serena, che gli si era attorcigliata intorno e gli era entrata dentro come l’acqua del mare. Sentendo la prima parola che gli aveva detto, e solo allora, si era reso conto di quanto gli era mancata, in quei cinque giorni; e insieme aveva capito che tutto era rimasto come prima. Più o meno.

“Ci vediamo domani per pranzo, d’accordo?”, erano quasi le uniche parole che gli aveva detto, o comunque le uniche che lui avesse capito bene. Non aveva voluto aggiungere niente di più. “Sono appena arrivata, sono stanca. Ti racconto domani”.

Ma quel tanto gli era bastato, almeno per lasciarlo dormire. Il mattino dopo, però, non aveva potuto fare a meno di ripensare alla telefonata, e alla fine non si era sentito più tanto sicuro che tutto andasse bene. Certo, Serena gli era sembrata tranquilla, quasi felice, ma non poteva essere una maschera per nascondergli qualcosa? Aveva scacciato questi pensieri con fastidio, perché gli sapevano di paranoia, ma la mattinata era passata con un sottile filo di inquietudine che si attorcigliava ad ogni cosa che faceva, persino alle parole dell’articolo che stava scrivendo. E anche adesso la cosa non sembrava essere cambiata di molto.

Guardò i resti del pranzo davanti a sé. Aveva fame, quando era arrivato al bar, e non era riuscito ad aspettarla; aveva ordinato un panino e un caffè. Ridicolmente questo lo faceva sentire in colpa. Avrebbero dovuto fare ogni cosa insieme, dal momento che stavano per sposarsi; anche mangiare. Anzi sarebbe stato perfetto se persino la fame fosse venuta insieme, per tutti e due, eppure non era stato così. Forse era questo il problema, si disse Gianluca guardando in basso, fuori dalla vetrata del bar; forse voleva entrare troppo nella vita di Serena, per essere presente in ogni momento, per fare in modo che tutto ciò che accadeva all’una accadesse anche all’altro, e viceversa. Ma probabilmente non era questo il modo di affrontare le cose.

La gente passava frettolosa in strada, stretta nei cappotti, non sembrava accorgersi che sulla città quel giorno brillava un bel sole limpido. Non pareva troppo propensa a guardare il sole, la gente. Eppure chi poteva dirlo? Anche lui, dal di fuori, non era molto diverso da loro, chiuso nel suo doppiopetto grigio, l’aspetto curato, la grinta di che vuole farsi strada nella vita. Ma c’era altro, che non si vedeva dal di fuori; c’era l’orgoglio di chi sta realizzando i propri sogni, la soddisfazione per un lavoro che non era solo denaro ma anche impegno, e passione, e soprattutto c’era quell’amore che riempiva ogni minuto, dando il proprio colore ad ogni altra cosa. Tutto questo non si vedeva di fuori, eppure era la parte più importante. Certo anche nelle persone che camminavano grigie e assenti per la strada doveva esserci qualcosa di simile; certamente la gente è migliore di quanto si crede di solito.

«A cosa pensi?», chiese una voce che lo fece sobbalzare; in piedi di fianco a lui stava Serena, bella e sorridente come non mai. Era talmente immerso nei suoi pensieri che non l’aveva nemmeno sentita arrivare.

«A te». Si affrettò a togliere il cappotto dalla sedia, per lasciarla sedere.

«Non mi chiedi niente?», domandò di nuovo lei, con lo stesso sorriso di prima, senza smettere di guardarlo. Pareva che ci fosse qualcosa che la divertiva, si disse Gianluca, chiedendosi contemporaneamente se quel qualcosa fosse lui.

«No, non ti chiedo niente. Aspetto che sia tu a raccontare», disse infine, sforzandosi di sembrare disinvolto. Ma era una frana in queste cose.

«Va bene», disse lei, una volta che si fu seduta.

«Non ordini niente per pranzo?».

«Già fatto prima di salire». Serena abbassò lo sguardo sulle proprie dita intrecciate, fissò l’anello di fidanzamento. «Ho chiamato Pietro ieri sera, dopo che ho parlato con te», disse piano, dopo qualche momento di silenzio.

Gianluca sentì l’inquietudine dei giorni precedenti risalire di nuovo dentro di sé, farsi più pungente.

«Che cosa volevi da lui?», domandò nel modo più disinvolto che gli fu possibile.

«Oh, niente. È che mi eri sembrato strano, al telefono. Così gli ho chiesto che cos’era successo». Serena lo fissò con attenzione; gli occhi le luccicavano dal divertimento. «Mi ha detto che eri preoccupato per me. Che eri malato».

«Malato?», chiese lui, senza capire.

«Sì, malato. Di gelosia! E che ha dovuto farti sbronzare un paio di sere, per essere sicuro che riuscissi a dormire. Sei proprio un bambino, Gianluca!».

Detto in un altro modo e in un’altra occasione, una frase del genere avrebbe potuto ferirlo, ma in questo caso lo fece sorridere.

In quel momento il cameriere salì la scala a chiocciola con il vassoio del pranzo e dovettero far posto sul tavolo, tra la borsa e i fogli dell’articolo per il giornale.

«Ma che cosa voleva tuo padre?», chiese dopo qualche minuto Gianluca, mentre Serena finiva di mangiare. Adesso che avevano riso insieme poteva permettersi quella domanda, che gli faceva ora meno paura.

«Non aveva invitato solo me», disse lei per tutta risposta. «Eravamo in sei».

«Sei?».

«Sì. Lui e sei donne. “Le sei donne della sua vita”, come ci ha chiamate. C’eravamo io, la mamma, sua sorella e tre altre, tre con cui ha vissuto dopo la mamma. È per questo che mi aveva chiesto di non dire niente a lei, perché voleva che fosse una sorpresa».

«Che bella sorpresa!», Gianluca non poté fare a meno di commentare, con tono sarcastico.

«Non è come può sembrare. Non è stato tanto male, dopo tutto. In effetti il primo impatto è stato abbastanza traumatico, ma poi… poi ci siamo trovate bene».

«E come mai una decisione simile?».

«Voleva che ci conoscessimo. Voleva vedere se ci saremmo piaciute; anzi ne era sicuro, dal momento che noi piacevamo a lui. Sai com’è fatto… non vede molto dramma in queste cose; vede solo il lato piacevole. In un primo momento mi sono detta: mamma scapperà di qui tra dieci minuti. Ma poi è rimasta, e sono rimasta anch’io. Sono persone simpatiche, dopo tutto. Non ha scelto affatto male mio padre». Serena a questo punto aveva finito il pranzo, e sollevò lo sguardo di nuovo verso Gianluca, sorridendo della sua espressione allibita.

«Mi stai prendendo in giro, vero?», le domandò, aggrottando la fronte; l’inquietudine aveva ripreso possesso della bocca del suo stomaco.

«Un pochino». Questa volta Serena risa apertamente, e posò la mano su quella di lui. «Diciamo che è una piccola punizione per aver dubitato del mio amore».

Gianluca espirò; la stretta di prima si era allentata.

«Sei perfida», disse scherzosamente. «Per un attimo ho pensato che tu stessi cercando di dirmi che volevi vivere come tuo padre. E che era quasi scaduto il mio turno».

«Che sciocco! Il tuo è l’unico turno!», e si sporse in avanti per baciarlo. «Però mio padre non è poi tanto male, come pensi tu. Sta invecchiando e penso che si senta un po’ solo, nonostante tutte le sue donne. Forse è soprattutto per questo che ci ha invitate, per rievocare i vecchi tempi».

Gianluca d’un tratto le sembrò distratto; Serena seguì il suo sguardo, rivolto in basso al piano terreno del caffè. Nel locale ormai quasi vuoto, stava il proprietario con le mani sui fianchi, a osservarli, e sorrideva.

«Farete tardi al lavoro!», esclamò quando vide che lo stavano guardando. I due risero; si era fatto tardi.

«Dovremmo invitare anche lui al matrimonio», commentò Serena, mentre si alzava in piedi e si infilava il cappotto. «Gli occupiamo il piano rialzato tutti i giorni all’ora di pranzo, e lui è tanto gentile da non far salire nessun altro, per lasciarci soli!».

«Hai ragione», ammise Gianluca, continuando a sorridere; «gli farebbe piacere venire al matrimonio. Se lo merita». L’inquietudine era scomparsa, sciolta dal sorriso della donna che amava e che, adesso lo sapeva, non se ne sarebbe mai andata. L’unica donna della sua vita, si disse, mentre le cedeva il passo in cima alla scala. Avere una sola donna era infinitamente meglio che averne sei.

Al piano terreno l’aria era intrisa dal fumo delle sigarette e sembrava meno amichevole. Attraverso la vetrina, vide che in strada la gente aveva la stessa andatura veloce e guardinga di sempre, nonostante il sole, nonostante l’allegria che Gianluca si sentiva dentro. Non per tutti era semplice il mestiere di vivere, si disse; neanche per lui lo era stato, fino a un attimo prima.

«Dovrei intitolarlo a voi, il piano rialzato!», esclamò con un sorriso il proprietario continuando a guardarli dal basso.

Già, il loro piano rialzato, si disse Gianluca, osservando la donna che amava. Era bellissima.

Si voltò ancora un attimo, a guardare il tavolino dove, fino a un attimo prima, erano rimasti seduti. Lassù l’aria era più pulita, si stava più tranquilli; le giornate sembravano migliori.

E in quel momento capì che era lei, Serena, il piano rialzato della sua vita.