Pompei: Cenni storici Fondata dagli Osci nell' VIII secolo a.C. fu dominata dai Greci, dagli Etruschi e dai Sanniti fino a che, nell'8O a.C., divenne, definitivamente e dopo aspre lotte, colonia romana. La vita a Pompei trascorreva tranquilla, senza avvenimenti degni di rilievo a parte l'episodio della chiusura dell'Anfiteatro per dieci anni legato ad una punizione del Senato romano a causa di una violenta rissa fra Pompeiani e Nocerini durante uno spettacolo di giochi gladiatori nel 59 d.C. Nel 62 d.C. un violento terremoto colpì la città, dopo del quale iniziarono le opere di ricostruzione fino a che il 24 agosto del 79 d.C. avvenne, se non la più grande senz'altro la più famosa catastrofe naturale che abbia colpito il mondo occidentale. Nelle prime ore del pomeriggio la cima del Vesuvio si spaccò con uno spaventoso boato, mentre una nera nuvola, a guisa di pino, si innalzava dal vulcano, rovesciando a terra cenere e lapilli. Mentre Ercolano , la città vicina accomunata nella stessa tragica sorte, fu sommersa abbastanza velocemente da fango, lava e acqua torrentizia, Pompei ebbe una fine diversa. letali vapori solforosi penetrarono nella città per ogni dove, soffocando tutti coloro che cercavano di ripararsi dentro le case, nascondendosi nei vani più riparati, coprendosi inutilmente il volto con i mantelli e con le vesti. Chi cercava di uscire allo scoperto era ben presto colpito dai lapilli e dai massi di pomice che cadevano sempre più fitti. Dopo tre giorni il sole tornò ad illuminare una desolata landa di terra che copriva per ben sei o sette metri quella che era stata la prosperosa città di Pompei. Fra le innumerevoli vittime <;:lei disastro, è da ricordare il naturalista Plinio il Vecchio, ammiraglio della flotta a Miseno. Come iniziò l'eruzione il' vecchio scienziato volle avvicinarsi al luogo del cataclisma, per portare aiuto ai fuggiaschi e per poter osservare più da vicino il fenomeno. Sbarcato con enormi difficoltà a Stabia, morì anch'egli per le esalazioni solforose. Sarebbero dovuti trascorrere ben 1700 anni perchè altri uomini riportassero alla luce quegli uomini che alla luce e alla vita erano stati così violentemente straooati. La scoperta di Pompei avvenne per caso fra il 1594 e il 1600, durante i lavori di bonifica nella valle del Sarno, quando l'architetto Domenico Fontana scavò un cunicolo nei campi dove si trovava l'Anfiteatro e si imbattè in alcune iscrizioni, senza però sospettare della città che si stendeva sotto i suoi piedi. La prima vera esplorazione, condotta con spirito scientifico, fu nel 1748 sotto il regno di Carlo di Borbone, dopo che già erano iniziati gli scavi ad Ercolano. Scavi più sistematici furono quelli condotti nel 1860 sotto la direzione di Giuseppe Fiorelli, a cui si deve l'espediente di colare il gesso liquido nei vuoti rimasti sullo strato di cenere, ottenendo così le impronte di coloro che trovarono improvvisamente la morte durante l'eruzione. Ci è stato così permesso di conoscere, di vedere tutto l'orrore di questa tragedia e di renderei conto della sua rapidità. La città è piena di altri ricordi: lapidi, iscrizioni, graffiti sui muri. Tutta la vita quotidiana di Pompei, la propaganda elettorale, il conto affrettato di un oste, il messaggio d'amore di un innamorato, il tifo per un gladiatore, noi la possiamo trovare sopra un muro di pietra o sopra un pezzo di marmo. Questa città ha un che di magico e di misterioso. Il suo essere tornata alla vita, il suo mostrarsi a noi come è morta, fermata improvvisamente in un attimo qualsiasi della sua giornata, è questo l'aspetto che ce la rende non solo più bella, ma senza dubbio più umana e toccante. LA CASA DEL FAUNO A POMPEI A differenza da più di un secolo e mezzo dall'apertura del primo cantiere di lavoro,ancora non si è giunti alla conclusione dell' attività di scavo nella sontuosa abitazione a doppio atrio e doppio peristilio detta del FAUNO per il ritrovamento della statuetta bronzea rinvenuta fra le rovine dell'atrio tuscanico (non colonnato). Fin dai primi sterri dell'edificio, la consapevolezza di trovarsi di fronte ad una delle più rilevanti abitazioni della città vesuviana si manifestò non solo negli accenni dei primi relatori, ma anche nella ricerca di un appellativo moderno consono alla maestosità di quanto si andava a mettere in luce, così la dimora venne variamente denominata come "CASA DI GOETHE" in ricordo della visita compiuta nel 1831 dal figlio del grande poeta tedesco. L'intera scoperta dell'area occupata dalla casa sembra essere avvenuto tra il 1 Ottobre del 1830 e il 30 Giugno del 1831, quando vengono messi in luce tutti gli ambienti della dimora decorati con i bellissimi mosaici in vermiculatum presto trasferiti a Napoli e si dà notizia del rinvenimento di due iscrizioni in osco,una di carattere pubblico. Alcune scarse comunicazioni di scoperte effettuate nella casa negli anni successivi, purtroppo non accompagnate dall' indicazione esatta del luogo di rinvenimento, testimoniano come lo scavo dell'edificio fosse tutt'altro che concluso nel Giugno del 1832. Nel 1841 venne ritrovato un secondo frammento dell'iscrizione pubblica osca, grazie al quale si potè disporre del testo completo dell' epigrafe osca. L'EDIFICIO La scelta del luogo in cui venne edificata la grande abitazione ellenistica non sembra essere stata causale: la vasta e regolare insula 12 della Regio VI,limitata a Nord e a Sud dalle più importanti vie,Mercurio e della Fortuna,si trova infatti nell'immediata vicinanza dell'antico centro cittadino dominato fin dall'età arcaica dal Tempio di Apollo e quasi di fronte ad un'area occupata da un edificio pubblico per banchetti. Intorno ai primi decenni del II secolo a.C. l'insula della Casa del Fauno inizia ad assumere l'aspetto che manterrà fino all'epoca dell'eruzione:un'abitazione che occupa l'intero isolato e per essere più precisi 3150 metri quadrati. Su Via della Fortuna si apriva su una grande facciata realizzata in opera quadrata e interrotta dall' apertura di alcune botteghe, un vestibolo inquadrato da due semipilastri di tufo dai ricchi capitelli a sofà e sormontato da un architrave a dentelli.Superate le fauces,al fianco delle quali si trovavano due grandi stanze funzionanti probabilmente come cubicoli (stanze da letto ),si entrava in un grande atrio tuscanico che presentava sul lato di fondo il tablino fiancheggiato da due grandi triclini (stanze da pranzo) e su ciascuno dei vani lunghi una serie di tre vani e l'ala.La simmetria dei vani laterali era interrotta in corrispondenza della terza stanza del lato orientale, che, leggermente più grande delle altre dello stesso lato, era provvista di un'apertura anche sul lato di fondo che costituiva l'unico punto di comunicazione tra l'atrio tuscanico e il più piccolo atrio tetrastilo sostenuto da colonne corinzie in tufo e aveva una funzione di servizio. La scoperta di un muro trasversale di collegamento fra le due stanze poste ai lati delle fauces dell' atrio tetrastilo ha dimostrato che all'epoca della costruzione della casa non venne previsto per il quartiere di servizio un ingresso autonomo dalla strada, mentre è molto probabile che presso l'angolo Nord-occidentale non esistesse ancora lo stretto androm attraverso il quale era possibile entrare direttamente nella vasta zona residenziale situata alle spalle dell'atrio tuscanico.Sul peristilio di ordine misto, scandito da ventotto colonne dorico-ioniche al di sopra della quale si impostava una trabeazione dorica, si aprivano più ambienti funzionanti come triclini. Gli scavi condotti al di sotto del peristilio maggiore hanno rivelato che nel primo impianto della Casa del Fauno tutta l'intera area settentrionale dell'insula era occupata da un gigantesco hortus collegato alle altre parti della casa da un lungo corridoio di servizio. La prima sistemazione architettonica della Casa del Fauno non durò a lungo: intorno alla fine del II secolo a.C. e nel corso dei primi decenni del periodo successivo, l'abitazione fu oggetto di una serie di lavori di ristrutturazione che ne accrebbero a tal punto la sontuosità d'impianto e la ricchezza decorativa da non rendere più necessario in seguito alcun intervento che non fosse di carattere puramente conservativo. Tutti gli ambienti furono provviste di nuove soglie in travertino, mentre sul lato settentrionale del peristilio la stanza centrale fu trasformata in esedra monumentale. Ma i lavori si concentrarono soprattutto nel settore occupato dal grande giardino. Questo fu inquadrato da un gigantesco peristilio composto da quarantatre colonne doriche che erano costituite da spessi strati di tegole fratte, e il suo lato di fondo fu allora occupato da nicchie e da piccoli ambienti di profondità crescente. Di particolare interesse è la stanza centrale dotata di un ampio ingresso inquadrato da due semipilastri in laterizio e occupata interamente da un podio in opera quasi reticolata di fattura piuttosto rozza. Riguardo alla funzione assolta dall'ambiente sono possibili due spiegazioni a seconda del valore che si vuole attribuire al podio: questo può aver funzionato come basamento sul quale esporre statue; oppure come un piccolo palcoscenico per rappresentazioni teatrali private. La sapiente elaborazione del più prestigioso modello abitativo ellenistico testimoniata nella Casa del Fauno, dove per la prima volta e in maniera pressoché definitiva sono individuati gli spazi a disposizione dei clientes ( l'atrio tuscanico), degli amici (i due peristili), e della famiglia (atrio tetrastilo ed ambienti ad esso connessi), rappresenterà a sua volta un modello di riferimento per l'articolazione della dimora aristocratica della tarda età sannitica. _ 39 /' UN PERCORSO PER IMMAGINI VESTIBOLO E FAUCES La parte del marciapiede posta di fronte al vestibolo dell'atrio tuscanico presenta un . pennello in lavate sta, dalla trama molto simile a quella presente nel pavimento dell' atrio principale, che serviva a segnalare, l'ingresso principale della casa: lo "zerbino" presenta la particolarità di recare una scritta di benvenuto in tessere di calcare colorato redatta utilizzando oltretutto non la lingua e la grafia osca ma quelle latina (have). E' possibile proporre almeno due soluzioni per spiegare il motivo che spinse il proprietario a rivolgere il saluto agli ospiti in una lingua diversa da quella in uso dalla Pompei dell' epoca: la prima è che la gens proprietaria della casa si sarebbe trasferita a Pompei da qualche centro latino dell'interno per esercitare l'attività della mercatura.. Questa interpretazione sembra però essere in dissonanza con la documentazione offerta dai graffiti e dalla iscrizioni osche rinvenute nella dimora.La seconda spiegazione possibile è che l'iscrizione del marciapiede testimoni il desiderio del proprietario di proporsi come perfettamente integrato in quella fitta rete di rapporti economici, politici e sociali che aveva al suo centro Roma, mostrando ai suoi cittadini come le sue conoscenze si estendessero ormai così lontano dalla piccola città campana da aver bisogno di accogliere ospiti e conoscenti con un saluto espresso in una sorta di lingua internazionale nota a tutti. Le fauces rappresentavano una prima introduzione nella maestosità dell'atrio: le loro pareti di I Stile erano infatti decorate nella parte superiore da due tempietti in tufo ricoperti di stucco colorato e dorato, che poggiavano su una cornice a dentelli sostenute da quattro mensole a forma di sfingi alate e leoni. ATRI O TUSCANICO Il pavimento era in semplice lavate sta e le pareti in I Stile che inquadravano gli ingressi alle stanze da letto e di soggiorno presentavano una disposizione a alternata dei colori degli orto stati e delle bugne e lo zoccolo era ravvisato da un ricercato motivo a corridietro rosso su sfondo verde. CUBICOLO DESTRO DELL'ATRIO Vi appariva un'altra raffigurazione di satiro. La presenza di una banchina per l'alloggiamento di due letti e la ricca decorazione musiva e parietale- quest'ultima completamente rifatta in un esuberante II Stile- ne fanno la stanza da letto più lussuosa dell'intera dimora perciò certamente utilizzata dalla coppia maritale. Lo spazio compreso tra la soglia dell' ambiente e la banchina per i letti era interamente occupato da uno scendiletto in vermiculatum, nel quale era riprodotto l' accoppiamento tra un Satiro e una Menade. ALA DESTRA DELL'ATRIO Al centro del pavimento si trovava un emblema in vermiculatum delimitato da un ricco bordo in OPUS SECTILE . La rappresentazione figurata è organizzata su due registri separati da una striscia bianca: in alto compare un gatto che ha appena azzannato un gallinaccio le cui gambe sono legate da un cordoncino, mentre nella parte bassa sono raffigurate due anatre nilotiche che stringono nel becco dei fiori di loto e quindi sotto di loro una natura morta comprendente uccelli, pesci e una conchiglia. La composizione, in realtà, è nell'insieme unitaria: la scena del gatto non rappresenta nella realtà un momento di caccia, ma un furto, poiché l'uccello azzannato ha le zampe ben strette da un lungo legaccio: si è dunque proposta la visione di una lunga dispensa. TRICLINO A SINISTRA DEL TABLINO Il pavimento della stanza da banchetto era decorato da tappeto centrale in vermiculatum delimitato da un ricco bordo a motivi vegetali nel quale, era rappresentata una vivace scena di vita marina ambientata all'interno di una baia dalla scogliera alta e frastagliata. Un dipinto di carattere scientifico illustrante la vita delle specie marine in prossimità delle popolose coste dell 'Egitto. TABLINO Il pavimento della sala, leggermente sopraelevato, comprendeva una lunga soglia a meandro assonometrico policromo in vermiculatum ,un bordo in tassellato bianco e un ampio tappeto centrale con decorazioni a cubi prospettici in sectile, nel quale vennero impiegati rombi di palombino, calcare giallo e lavagna. TRICLINO A DESTRA DEL TABLINO Il , inquadrato da una ricchissima cornice con ghirlande di vite alternate a maschere tragiche e comiche, raffigura uno strano felino dal manto tigrato, la criniera arruffata ed il collo adorno di grappoli di vite che avanza su un suolo accidentato calpestando un lungo tirso ed è cavalcato da un fanciullo alato in atto di bere da un grande recipiente trasparente. La particolarità iconografica di questo mosaico consiste nel fatto che questo fanciullo è il risultato di una contaminazione fra Eros- di cui possiede la caratteristica di essere alato - e Dioniso - identificato grazie al tirso e alle lunghe branche orientali trionfante. che costituisce la documentazione figurativa del dio