Marat Safin



La prima volta che vidi giocare Marat Safin (qui sopra ritratto durante i vittoriosi Us Open 2000) fu al Roland Garros del '98. Il russo, appena diciottenne (è nato a Mosca il 27 gennaio 1980), sconfisse Andre Agassi ed il campione in carica Gustavo Kuerten, prima di cedere negli ottavi all'idolo di casa Cedric Pioline in cinque sets. Alto più di un metro e novanta, robusto, potente con il servizio e nei colpi di rimbalzo, era il prototipo del tennista moderno. Perse il match con Pioline per inesperienza, visto che il francese, pur meno esplosivo, riuscì a trascinare il pubblico, facendo perdere le staffe a Safin, che non trovò più la misura dei colpi.

Da allora, per un paio d'anni, Marat ha alternato buoni incontri a prestazioni sconcertanti: è rimasto famoso il suo match con Vincenzo Santopadre al primo turno di San Marino '98, in cui cominciò a sparacchiare fuori con nonchalance tutti i colpi, riuscendo a raccattare appena due games di fronte all'allibito tennista romano (in quell'occasione, rischiò di essere multato dall'Atp per scarso impegno). Fino alla primavera del 2000, il suo miglior risultato era la finale raggiunta a Parigi Bercy '99, sconfitto da Agassi.

A quel punto, qualcosa è scattato in lui: considerato da gran parte della critica un potenziale numero uno, Marat stava, tutto sommato, deludendo le attese. Grazie ad un lavoro impostato soprattutto sulla tenuta mentale, ha iniziato a risalire la classifica a grandi passi, partendo dalle vittorie sulla terra rossa di Barcellona e Maiorca e dalla successiva finale nell'Open di Amburgo (battuto 7-6 al quinto da Kuerten, un match che peserà alla fine nell'economia della sua stagione in un modo allora inimmaginabile). Ha avuto una seconda parte d'estate straordinaria, culminata nel successo a Flushing Meadow, dove, in finale, ha dato tre sets a zero a Pete Sampras, da lui battuto già, poche settimane prima, agli Open del Canada. Per un periodo è stato quasi ingiocabile: le sue bordate da fondocampo risultavano spesso imprendibili ed il morale alle stelle faceva il resto. Il primo titolo dello Slam è stato la logica conseguenza di quel particolare momento di grazia.

Safin si è così presentato al Masters di fine anno da numero 1 della Champions Race, fresco del successo nell'indoor di Bercy (cinque sets in finale su Philippoussis). A Lisbona, gli sarebbe bastato qualificarsi per la finale per essere matematicamente certo della leadership nella classifica conclusiva, che gli era contesa da Gustavo Kuerten. Si è però presentato all'ultimo torneo della stagione in non eccezionali condizioni di forma. Malgrado una sconfitta con Sampras nel girone, è riuscito a qualificarsi per la semifinale, ma qui ha ceduto nettamente ad Agassi. E' stato proprio Kuerten ad aggiudicarsi il torneo, soffiandogli il primato all'ultimo incontro dell'ultimo torneo dell'anno.

L'amarezza dev'essere stata cocente, visto che Safin ha avuto una stagione 2001 non certo all'altezza della precedente, concludendo l'anno addirittura al di fuori dei top ten, all'11° posto. Si è un po' salvato nelle prove dello Slam (quarti a Wimbledon, semifinale a Flushing Meadow), ma, nel complesso, si può parlare di lui come di una delle grandi delusioni dell'anno.

Safin è ancora decisamente immaturo, tatticamente rimane tutt'altro che un fenomeno, ma le sue imponenti doti fisiche ed atletiche, unite ad una buona tecnica di base, fanno pensare che il successo agli Us Open 2000 non rimarrà un exploit isolato. Il 2002 sarà, per lui, un'annata importante: il ritorno nei top ten (come minimo) dovrebbe essere fuori discussione, ma certo Marat non può accontentarsi di questo.

09-12-2001 (F.F.)


Il 2002, dicevo, sarebbe stata un'annata importante per Marat Safin: il russo è, in effetti, risalito dall'undicesima alla terza posizione mondiale, ma ha convinto sporadicamente e solo un buon finale ne ha rivalutato la stagione. Safin è giunto, alla vigilia dell'ultimo torneo Atp in programma (Masters Cup a parte), il Masters Series di Parigi Bercy, senza aver conquistato neanche un titolo in tutto l'anno. Sul sintetico del palazzetto francese, all'improvviso, ha preso a dominare, come solo lui sa fare nelle giornate di grazia, colmando la lacuna delle vittorie dopo aver travolto, in finale, il numero 1 del mondo Hewitt. Poi, alla Masters Cup di Shanghai, si è riaddormentato, perdendo tutti e tre i suoi incontri di round robin, persino con il terraiolo spagnolo Albert Costa. E' stato, nuovamente, irresistibile, a tratti, nella finale di Coppa Davis, ancora a Parigi Bercy, ma stavolta su un campo in terra. Qui ha vinto i suoi singolari con Mathieu e Grosjean e, malgrado una pessima prova nel doppio (dove gli manca il senso della posizione), ha contribuito a consegnare alla Russia la prima Davis della sua storia.

Per il resto il 2002 di Safin non è stato all'altezza delle sue possibilità. Qualche exploit isolato e tante delusioni, a partire da quella, clamorosa, a gennaio nell'Open d'Australia, dove, dopo aver eliminato, fra gli altri, Sampras e Haas, ha perso inopinatamente in finale con l'outsider svedese Thomas Johansson. Alcune discrete prove nei Masters Series (finale ad Amburgo, quarti a Miami, Montecarlo e Toronto), oltre alla semifinale al Roland Garros, lo hanno portato alle spalle solo di Hewitt ed Agassi nel ranking di fine anno, ma i suoi limiti sono ancora distanti. Il moscovita è considerato, ormai unanimemente, il giocatore con le maggiori potenzialità attualmente sul circuito, ma il cervello non è all'altezza dei colpi e del fisico. Non si può avere tutto: certo, un Safin con l'attitudine mentale di Hewitt sarebbe imbattibile... Comunque, nel 2003, Marat potrebbe davvero consacrarsi (è in grado, se presente a se stesso, di vincere ovunque): in ogni caso, per ritenersi soddisfatto, dovrà fare meglio che nel 2002 ed aggiungere all'ormai datato Us Open 2000 almeno un altro titolo dello Slam.

29-12-2002 (F.F.)


La parte finale della stagione 2004 ha rilanciato prepotentemente Marat Safin, che ha vinto tre tornei, prima quello di Pechino, sul connazionale Mikhail Youzhny, e poi i due Masters Series al coperto di Madrid e Parigi Bercy, quest'ultimo conquistato per la terza volta in carriera. Marat ha poi raggiunto le semifinali alla Masters Cup di Houston, arrendendosi solo a Federer, ed ha terminato l'anno al quarto posto del ranking Atp. Certo, prima del successo in Cina erano trascorsi quasi due anni senza titoli (quello precedente era stato proprio Parigi Bercy 2002) ed un lasso di tempo così ampio senza vittorie non rende giustizia alle capacità di Marat, che, però, deve incolpare soprattutto se stesso del lungo digiuno.

Infatti, da sempre, il giocatore di Mosca alterna grandi prove a prestazioni sconcertanti, ma, negli ultimi anni, gli exploit sono stati sempre più isolati e sporadici, mentre senz’altro maggiori sono state le delusioni riservate ai suoi tifosi. Tanti gli incontri letteralmente gettati al vento, che hanno fatto così la fortuna di avversari nettamente inferiori tecnicamente ma più affidabili sul piano nervoso e tattico. E’ questo un atteggiamento comune a vari esponenti del tennis russo, in primis Kafelnikov, ma, ancor più del suo predecessore Yevgeny, Marat stava letteralmente scialacquando il suo talento. Una volta “arrivato”, Safin si era seduto, denotando una ben scarsa propensione ai sacrifici che comporta una vita da atleta. Famose sono rimaste le tre procaci ragazze che affollavano il suo box agli Open d’Australia 2002, quando arrivò in finale, ma, guarda caso, fu clamorosamente sconfitto dallo svedese Thomas Johansson. Da lì in poi fu coniato il termine “Safinettes” e a quelle originarie ne sono seguite non poche altre. Nulla di male in questo, se poi sul campo Marat non continuasse a dimostrare clamorosi vuoti di concentrazione, con un cervello non all’altezza dei colpi.

Nella seconda metà del 2000, Safin ebbe un periodo in cui fu quasi ingiocabile, culminato nel prepotente successo agli US Open in una finale senza storia con Pete Sampras, che, poco dopo, lo portò naturalmente al vertice del ranking Atp. All’epoca immaginare che quattro anni dopo quello sarebbe rimasto ancora il suo unico titolo nelle prove del Grande Slam era impensabile.
A parziale attenuante c'è l’infortunio rimediato nel 2003, cui ha fatto seguito una lunga convalescenza, che ne ha compromesso gran parte della stagione. Al rientro, Marat ha ben presto piazzato l’acuto, tornando in finale a Melbourne, dopo aver battuto Andy Roddick ed Andre Agassi. La sconfitta con Roger Federer era ampiamente accettabile, le premesse per un ritorno in grande stile c’erano tutte, ma Safin ha ricominciato con i suoi alti e, soprattutto, bassi, prima dell'ottimo finale di stagione, che ha riacceso le speranze dei suoi non pochi fans.

Il moscovita è stato lungamente considerato il giocatore con le maggiori potenzialità sul circuito. Ora è definitivamente esploso Federer, un campione al quale attualmente nessuno può avanzare il diritto di paragonarsi, ma Safin, per non restare con ulteriori rimpianti, dovrebbe essere lì, quanto meno a lottare da vicino insieme ai vari Roddick e Hewitt, cui è superiore sul piano del talento, cercando di arrivare ad impensierire Roger.

10-01-2005 (F.F.)


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