I PRIMI VENT’ANNI: DALLA SICILIA ALLE OSTERIE DI MILANO |
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Salvatore Di Stefano, mio padre. era siciliano e faceva il carabiniere: lasciò l' Arma quando ebbe 26 anni per sposare mia madre che era di Siracusa e faceva la sarta. lo nacqui. primo e ultimo figlio loro, nella casa paterna a Motta Sant’Anastasia. a pochi chilometri da Catania, domenica 24 luglio 1921, con i rintocchi delle campane di mezzogiorno. So che papà e mamma aprirono. a Siracusa, un negozio dove si vendeva di tutto e che fu battezzato La piccola Rinascente, ma gli affari erano grami e, nella primavera del ‘27. ci arrampicammo su per lo Stivale fino a Milano. Ci stabilimmo in via Meda. a Porta Ticinese. Mio padre era un uomo tutto d’un pezzo. non un «dritto»: apri una calzoleria e continuò a non guadagnare un soldo, come a Siracusa. Fu mia madre invece che, con grande energia e molte rinunce, apri una scuola di taglio e cucito e un negozio di confezioni proprio sotto casa, riuscendo così a tenere in piedi la baracca familiare. Io crebbi tra la marmaglia di Porta Ticinese: un po’ Trastevere, un po’ Chicago. A scuola, alle elementari, e più tardi all’istituto Carlo Cattaneo, ero distratto e svogliato: me la cavavo con l’improvvisazione. A tredici anni mi convinsi di avere la grande vocazione ed entrai nel seminario di Sant’ Arialdo. Fui ammesso a stento, il rettore monsignor Dotta mi accolse dicendo: «lo ti prendo ma con quegli occhi qui non ci resti a lungo». Aveva ragione: lasciai il seminario per le occhiate assassine di una ragazza del casamento di Porta Ticinese, una bnìnetta di diciannove anni che conobbi durante le vacanze. Per lei abbandonai il seminario, imitando, senza saperlo, De Grieux nel terzo atto della Manon di Massenet. Studiai privatamente, ma all’esame per il diploma delle magistrali fui bocciato anche in italiano. Mia madre si disperò per la bocciatura; io per ripicca e per puntiglio mi buttai a cercare un impiego. ma invano. Non avevo un soldo in tasca e nessuno mi voleva. In casa c’era appena di che vivere, grazie al lavoro di mamma. Intanto ci eravamo trasferiti in via Madema, proprio davanti alla chiesa del Caravaggio. Qui conobbi Danilo Fois, studente in legge, con qualche. anno più di me e un’ immensa passione per la lirica. Fu praticamente lui che mi «scoprì» come tenore durante una partita di scopone, quando esultai con un acuto per l’inattesa vittoria. Danilo mi guardò depose le carte e disse: “Tu hai la voce tu devi studiare”. Da quel giorno divenne il mio angelo custode, mi pagò le prime lezioni, mi condusse alla Scala in loggione ad ascoltare per ore e ore, musica che non capivo. Ero grezzo come il petrolio . Cominciai a frequentare le «osterie della lirica», quei locali popolari di via Tadino, via Aurispa. via Mulino delle Armi dove si poteva alzarsi da tavola e andare accanto al piano forte per farsi sentire. Una volta chiesi al maestro Del Prete, che mi accompagnava. che cosa pensasse di me. “Con quella voce, ragazzo mio” mi rispose, «potresti al massimo Ja’ eI cadregait». In milanese cadregaht è l’aggiustatore ambulante di sedie. In seguito Dattilo Fois mi iscrisse al primo concorso nazionale di canto nella categoria «voci grezze»: andai a Firenze e vinsi. Accanto a me. in un’altra categoria, c’era Clara Petrella. con la quale saremmo stati, successivamente. compagni di scena. Nelle trattorie, di cui ho parlato, mi feci degli amici che mi presentarono al maestro Tocchio e mi pagarono le lezioni, cinquanta ire al mese. Poi ebbi un’audizione col celebre direttore d’orchestra Gino Marinuzzi che mi dedicò una fotografia con queste parole: «I più cordiali auguri di lieto avvenire». Un’altra audizione la ebbi con il baritono Montesanto che decise di occuparsi dei miei studi. Ma finiva ormai il 1940, era scoppiata la guerra, io avevo compiuto diciannove anni. Il 6 Gennaio 1941 fui chiamato in fanteria e mandato ad Alessandria. Aggrappandomi a qualche raccomandazione come Tarzan alle liane mi feci trasferire a Milano, ma il colonnello mi chiamò e fece una sfuriata: “Tutti vicino a casa loro”, gridò, «uno perché suona, l’altro perché canta. E in guerra chi ci va?». Ma dovette tenermi con sé, il reggimento parti poi per la Grecia e io ebbi l’ordine di ritornare ad Alessandria, al 37 fanteria, assegnato al battaglione mortai. _________________________________ (Continua) Scampato a morte sicura, Giuseppe Di Stefano debutta nell’avanspettacolo a Milano
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I genitori di Giuseppe Di Stefano - Salvatore di Motta Sant'Anastasia e la Mamma Di Siracusa |
Il cantante è nato a Motta Sant’Anastasìa, Catania, il 24 luglio 1921. |
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Tratto da un'intervista fatta per La Domenica Del Corriere del 1980 Home page