L'ultima Intervista
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Chi scrive è il giornalista Gian Gaetano Cabella, ex
direttore del "Popolo di Alessandria", giornale che nel 1944 si pubblicò
anche a Milano in una edizione destinata alla Lombardia.
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Nell'aprile del 1945 il Cabella, non appena seppe che
Mussolini, proveniente da Villa Feltrinelli sul Garda, era arrivato a
Milano, chiese e ottenne un'udienza dal Capo della Repubblica
Sociale.
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Lasciamo al Cabella il compito di narrare egli stesso
le varie fasi dell'intervista. Cominciò come una delle tante
conversazioni che Mussolini aveva non di rado con questo o con quel
direttore di giornale.
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Ma ben presto l'intervista assunse una portata
eccezionale: sia perché fu l'ultima che Mussolini concesse, sia perchè
egli stesso volle rivederla, completarla, correggerla, annotarla, nella
sua redazione definitiva.
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- Fu il ministro Zerbino che il 19 aprile mi
comunicò l'invito. Mussolini mi avrebbe ricevuto all'indomani, in
Prefettura. Feci subito rilegare i numeri del giornale: tutta la
edizione milanese dal settembre 1944 fino all'ultimo numero, uscito con
la data del 21 aprile 1945. Volevo offrire al Duce l'intera collezione,
insieme coi prospetti e i grafici della tiratura, del "Popolo", che, da
18 mila copie stampate e 16 vendute nel primo anno di vita, era ora
asceso a 270 mila copie tirate e vendute, senza contare i numeri
speciali, che avevano ottenuto un successo anche maggiore. Le richieste,
negli ultimi tempi, superavano la tiratura.
- Molti camerati mi consegnarono scritti e
messaggi da presentare al Duce. Divisi queste carte in tre gruppi: 1)
quelle che gli avrei dato in ogni caso; 2) quelle meno importanti; 3)
quelle che avrei consegnato solamente se il colloquio si fosse svolto in
modo particolarmente favorevole.
- Preparai anche una breve relazione delle lunghe
trattative che avevo condotto con elementi partigiani, i quali, in un
primo tempo, mi avevano scritto invitandomi a prendere contatto con
alcuni loro rappresentanti. Avevo accettato senz'altro questo
abboccamento che avvenne il 7 febbraio a Rondissone, vicino a Torino:
incontro interessante sotto molti rapporti e che permise utili intese
nell'interesse superiore del Paese.
- Alle 14.30 del 20 aprile ero in Prefettura.
Nella prima sala d'aspetto passeggiavano e discorrevano ufficiali e
gerarchi. Il Prefetto, capo della Segreteria particolare, attraversava
spesso la sala che divideva lo studio di Mussolini dal suo ufficio. Nel
secondo salone c'erano il colonnello Colombo, comandante della "Muti"
con il vice comandante e altri.
- Alle 15 giunsero il comandante Borghese
accompagnato da alcuni ufficiali, e il Capo di Stato Maggiore della GNR.
Il ministro Fernando Mezzasoma parlava con un gruppo di giornalisti, fra
i quali ricordo Daquanno, Amicucci, Guglielmotti. Si unì al gruppo, poco
dopo, anche Vittorio Mussolini.
- Un'apparente serenità regnava fra quelle persone
e, specialmente nella prima sala, c'era il più discreto silenzio. Un
ufficiale delle SS germaniche passeggiava fumando. Il servizio di
guardia era limitato al portone d'ingresso del Palazzo del Governo e a
due sentinelle armate (una SS tedesca e un milite della Guardia) alla
postierla della scaletta che dal cortile conduceva all'appartamento
occupato dal Duce e dai membri del governo.
- Alle 15.20 giunse il Questore, che parlò col
Prefetto Bassi. Poco dopo uscì dallo studio del Duce il personaggio che
vi stava già da venti minuti; ma non ricordo chi fosse. Forse
Pellegrini. Entrò un usciere, che chiuse la porta dietro di sé; ma non
tanto velocemente da impedirmi di scorgere Mussolini seduto dietro una
piccola scrivania. Nel frattempo, mi aveva raggiunto il mio redattore
capo, già direttore di "Leonessa", settimanale della Federazione
bresciana: il sottotenente dei bersaglieri Galileo Lucarini Simonetti.
- Finalmente, la porta del Duce si aprì. L'usciere
disse forte il mio nome. Mi precipitai dentro. Deposti i pacchi sopra
una sedia alla mia destra, salutai sull'attenti. Mussolini mi accolse
con un sorriso. Si alzò e mi venne vicino. Subito osservai che Mussolini
stava benissimo in salute, contrariamente alle voci che correvano. Stava
infinitamente meglio dell'ultima volta che l'avevo visto. Fu nel
dicembre del 1944, in occasione del suo discorso al Lirico. Le volte
precedenti che mi aveva ricevuto - nel febbraio, nel marzo e nell'agosto
del '44 - non mi era mai apparso così florido come ora. Il colorito
appariva sano e abbronzato; gli occhi vivaci, svelti i suoi movimenti.
Era anche leggermente ingrassato. Per lo meno, era scomparsa quella
magrezza, che mi aveva tanto colpito nel febbraio dell'anno avanti e che
dava al suo volto un aspetto scarno, quasi emaciato. Quel ricordo,
dinanzi ad un uomo ora tanto diverso, si dileguò immediatamente dalla
mia memoria.
- Egli indossava una divisa grigio-verde senza
decorazioni, né gradi. Lasciò i grossi occhiali sul tavolo, sopra un
foglio pieno di appunti a matita azzurra. Notai che il tavolo era
piccolo: molti fascicoli erano stati collocati sopra un tavolino vicino.
Alcuni giacevano perfino in terra, presso la finestra. M'è rimasta
l'impressione visiva che sulla scrivania, in un vaso di cristallo, ci
fosse una rosa rossa; ma non potrei garantire l'esattezza di questo
particolare. Sopra una sedia, scorsi tre borse porta documenti: due in
cuoio grasso, una di pelle giallo scura.
- Mussolini mi posò la destra sulla spalla e mi
chiese: "Cosa mi portate di bello?". Queste le prime parole, che già mi
aveva dette quattordici mesi prima, benché con altro tono: un tono più
lento, con voce più bassa e stanca.
- Non seppi rispondere lì per lì. Come al solito,
e come succedeva a molti davanti a lui, mi sentii alquanto disorientato
e dopo una breve esitazione risposi che ero felice di vederlo, e che gli
portavo la raccolta del giornale. Mi batté la mano sulla spalla.
Fissandomi, mi disse: "Vi elogio per quanto avete fatto per il
consolidamento della Repubblica Sociale. Pavolini mi ha riferito del
vostro discorso a Torino per il 23 marzo e del successo che avete
ottenuto. Non vi sapevo anche oratore".
- Gli offersi la raccolta del giornate e gli
mostrai i grafici della diffusione, della vendita, delle lettere
ricevute. Gli consegnai diversi scritti di fascisti, di combattenti, di
giovanissimi. Mi fu largo di elogi, specialmente per i tre numeri
speciali, ricchi di illustrazioni, dedicati a "Stellassa" (Umberto di
Savoia), a "Pupullo" (Badoglio) e a "Bazzetta" (Vittorio Emanuele III).
- Sfogliò la raccolta, soffermandosi su alcuni
numeri. Rise.
- "I tre numeri illustrati per "Bazzetta", "
Pupullo" e "Stellassa" sono fatti veramente bene. Mi hanno divertito.
Che tiratura hanno avuto?".
- " Duecentosettantamila copie vendute. Per
mancanza di carta non ho potuto far fronte alle trecentottantamila
richieste...".
- "Avrete la carta che vi occorre...". Prese la
matita e, stando in piedi, tracciò qualche nota su un foglio di appunti.
Allora mi feci animo e gli esposi il caso disgraziato di due camerati
bolognesi. Il suo volto si rattristò.
- "Farò aver loro diecimila lire. Va bene?". Volle
sapere i nomi e gli indirizzi. Li scrisse egli stesso, negli appunti.
Poi mi chiese: " Desiderate qualche cosa da me?". Dopo un momento di
perplessità risposi: "Il mio premio l'ho già avuto, è stato l'elogio che
avete voluto farmi. Oso troppo se vi chiedo una dedica?". Gli mostrai
una grande fotografia. La fissò un attimo, scosse il capo.
Evidentemente, non era troppo soddisfatto dell'immagine. Poi tornò al
tavolo, si sedette, prese la penna e scrisse: "A Gian Gaetano Cabella,
pilota de Il Popolo di Alessandria, con animo della vecchia guardia. B.
Mussolini, 20 aprile XXIII".
- Posò la penna. Volle vedere i grafici. La
tiratura del giornale era descritta da un diagramma. Vi era tracciata
una linea ascendente, con leggere contrazioni, qua e là.
- "A che cosa attribuite queste diminuzioni di
vendita?".
- "Credo che occorra ogni tanto, specie dopo
numeri di grande rilievo esteriore, fare uscire qualche numero pallido,
senza forti titoli".
- Esposi, poi, brevemente i criteri che seguivo e
che mi parevano giusti, quindi soggiunsi: "Mi siete stato maestro.
Conservo la raccolta de "l'Avanti!" e quella del "Popolo d'Italia"...".
- Mussolini scosse la testa, stette un attimo
pensoso e osservò: "Si nasce giornalisti come si nasce compositori o
tecnici. Creare il giornale è come conoscere la gioia della maternità.
Il criterio di non monotizzare è giusto. Non si può dare un concerto con
soli tromboni e grancasse. Il pubblico, dopo i primi istanti di
sbalordimento, finirebbe con l'abituarvisi. Vedo che siete anche un
abile amministratore. Siete genovese...".
- Si soffermò sul grafico che riguardava la
corrispondenza ricevuta dal pubblico, lettori e lettrici e osservò:
"Molte lettere anonime, vedo".
- "Ricevo al giornale circa un dieci per cento di
anonime. Però quando le vicende dell'Asse vanno meglio, le lettere
anonime diminuiscono". Gli dissi anche che in Alessandria avevo
appiccicato le più divertenti ad una parete.
- Mussolini sorrise: "Ho visto le fotografie della
vostra redazione".
- "Nel mese di marzo - precisai - su 2785 lettere
ricevute, 360 sono state anonime".
- "Oltre 2400 lettere non anonime in un mese: sono
moltissime. Fate rispondere?".
- Gli dissi che rispondevo personalmente a tutti e
nella rubrica "Il Direttore risponde" e, in gran parte direttamente.
- "Ho constatato che, così facendo, si ottiene una
grande pubblicità. Chi riceve, specie in un piccolo centro, una lettera
personale del direttore, la fa vedere a più persone. Automaticamente
diventa un fedele propagandista". Mussolini prese il pacchetto delle
lettere che gli avevo portato insieme con altre cose. Gli feci osservare
che avevo diviso le missive in tre gruppi. Volle tenerle tutte.
- "Se avrò tempo, le leggerò stasera".
- Intanto aprì tre lettere che avevo messo più in
vista: una di una signora che abitava presso Torino; un'altra di un
giovane volontario, Puni, di Torino; la terza di una personalità ligure.
- "Ringrazierete la signora e il ragazzo.
Lasciatemi l'altra: farò rispondere direttamente. Avete qualche cosa
ancora da dirmi?".
- "Ho due collaboratori, un fascista e un vecchio
socialista fiorentino...".
- Mussolini mi disse subito i nomi di entrambi e
aggiunse: "Fate loro i miei elogi. Dite loro che leggo gli articoli che
scrivono, con interesse".
- Ebbi l'impressione che l'udienza fosse per
finire. Mussolini aveva riaperta la raccolta del giornale e, in ultimo,
aveva trovato le copie del giornale "Il Monarchico", che avevo stampato
alla macchia facendo finta fosse l'organo di un gruppo monarchico "C.
Cavour" di Torino, e una copia del "Grido di Spartaco", che avevo
stampato clandestinamente. Mussolini rise, ed esclamò: "Mi sono
piaciuti. Anche per questo lavoro vi elogio".
- Allora mi feci animo: "Duce, permettete che vi
rivolga qualche domanda?".
- Mussolini si alzò. Mi venne vicino. Guardandomi
negli occhi, con un accento e un'espressione che non dimenticherò mai,
mi chiese d'improvviso:
- "Intervista o testamento?".
- ***
- A quella domanda inaspettata io rimasi
esterrefatto. Non seppi cosa rispondere. Non sfuggì la mia emozione a
Mussolini, che cercò di dissipare la mia confusione con un sorriso
bonario. "Sedetevi qui. Ecco una penna e della carta. Sono disposto a
rispondere alle domande che mi farete".
- In preda ad una grande agitazione , mi sedetti
alla sua sinistra. La sua mano era vicina alla mia. Molte idee mi si
affollavano nella mente, ma tutte imprecise. Finalmente formulai una
domanda assai generica: "Qual è il vostro pensiero, quali sono i vostri
ordini, in questa situazione?". Invece di "ordini" dissi "disposizioni";
ma siccome nel testo dell’intervista, che il giorno dopo Mussolini
rivide, corresse e siglò, sta scritto "ordini", lasciò l’espressione
ch’egli stesso approvò. Debbo aggiungere che, quantunque io abbia preso
nota con la maggiore attenzione possibile di quanto Mussolini mi andava
dicendo, non ho potuto, nelle giornate che seguirono il colloquio,
riferirlo con esattezza minuta, rigorosa.
- Solo a distanza di tempo, oggi, ricordo bene;
con assoluta precisione. Perciò posso completare ciò che non mi fu
possibile allora. Ecco il perché di queste note, delle note che
seguiranno.
- Alla mia domanda, Mussolini, a sua volta
domandò:
- "Voi cosa fareste?".
- Debbo aver accennato un gesto istintivo di
sorpresa. Mussolini mi toccò il braccio, e sorrise di nuovo: "Non vi
stupite. Faccio questa domanda a tutti. Desidero sentire il vostro
parere".
- "Duce, non sarebbe bello formare un quadrato
attorno a voi e al gagliardetto dei Fasci e aspettare, con le armi in
pugno, i nemici? Siamo in tanti, fedeli, armati...".
- "Certo, sarebbe la fine più desiderabile... ma
non è possibile fare sempre ciò che si vuole. Ho in corso delle
trattative. Il Cardinale Schuster fa da intermediario. Non sarà versata
una goccia di sangue".
- Veramente disse: "Ho l’assicurazione che non
sarà versata una goccia di sangue".
- "Un trapasso di poteri. Per il governo, il
passaggio fino in Valtellina, dove Onori sta preparando gli
alloggiamenti. Andremo anche noi in montagna per un po’ di tempo" .
- Osai interromperlo: "Vi fidate, Duce, del
Cardinale?".
- Mussolini alzò gli occhi e fece un gesto vago
con le mani.
- "E’ viscido. Ma non posso dubitare della parola
di un Ministro di Dio. E’ la sola strada che debbo prendere. Per me è,
comunque, finita. Non ho più il diritto di esigere sacrifici dagli
italiani".
- "Ma noi vogliamo seguire la vostra sorte...".
- "Dovete ubbidire. La vita dell’Italia non
termina in questa settimana o in questo mese.
- L’Italia si risolleverà. E questione di anni, di
decenni, forse. Ma risorgerà, e sarà di nuovo grande, come l’avevo
voluta io".
- Dopo una brevissima pausa, continuò:
- "Allora sarete ancora utili per il Paese.
Trasmetterete ai figli e ai nipoti la verità della nostra idea, quella
verità che è stata falsata, svisata, camuffata da troppi cattivi, da
troppi malvagi, da troppi venduti e anche da qualche piccola aliquota di
illusi".
- Forse Mussolini non disse: "troppi". Ho
l’impressione che dicesse solo: "malvagi e venduti". Quando rilesse le
righe che seguono, le segnò a lato; e fece un gesto con la testa come
per farmi comprendere che l’espressione non gli era troppo piaciuta.
Tuttavia non la cancellò.
- La sua voce aveva i toni metallici che tante
volte avevo udito nei suoi discorsi. Poi, con fare più pacato, continuò:
- "Dicono che ho errato, che dovevo conoscere
meglio gli uomini, che ho perduta la testa, che non dovevo dichiarare la
guerra alla Francia e all’Inghilterra. Dicono che mi sarei dovuto
ritirare nel 1938. Dicono che non dovevo fare questo, e che non dovevo
fare quello. Oggi è facile profetizzare il passato".
- "Ho una documentazione che la storia dovrà
compulsare per decidere. Voglio solo dire che, a fine maggio e ai primi
di giugno del 1940 se critiche venivano fatte erano per gridare allo
scandalo di una neutralità definita ridicola, impolitica, sorprendente.
La Germania aveva vinto. Noi non solo non avremmo avuto alcun compenso;
ma saremmo stati certamente, in un periodo di tempo più o meno lontano,
invasi e schiacciati".
- Mussolini mi disse di far risaltare che le frasi
da lui sottolineate riguardavano i discorsi della gente. Egli stesso
sottolineò con segno più forte l’espressione: "La Germania aveva vinto",
con tutto ciò che segue.
- "E cosa fa Mussolini? Quello si è rammollito.
Un’occasione d’oro così, non si sarebbe mai più ripresentata". Così
dicevano tutti e specialmente coloro che adesso gridano che si doveva
rimanere neutrali e che solo la mia megalomania e la mia libidine di
potere, e la mia debolezza nei confronti di Hitler aveva portato alla
guerra.
- "La verità è una: non ebbi pressioni da Hitler.
Hitler aveva già vinta la partita continentale. Non aveva bisogno di
noi. Ma non si poteva rimanere neutrali se volevamo mantenere quella
posizione di parità con la Germania che fino allora avevamo avuto. I
patti con Hitler erano chiarissimi. Ho avuto ed ho per lui la massima
stima. Bisogna distinguere fra Hitler ed alcuni suoi uomini più in
vista...".
- A queste considerazioni Mussolini ne aggiunse
varie altre. Questa d esempio:
- "Ho parlato sempre col Führer della sistemazione
dell’Europa e dell’Africa. Non abbiamo mai avuto divergenze di idee. Già
all’epoca delle trattative per lo sgombero dell’Alto Adige, controprova
indiscutibile delle sue oneste e solidali intenzioni, il Führer dimostrò
buon volere e comprensione".
- La sistemazione dell’Europa avrebbe dovuto
attuarsi in questo modo:
- "L’Europa divisa in due grandi zone di
influenza: nord e nord-est influenza germanica, sud, sud-est e sud-ovest
influenza italiana. Cento e più anni di lavoro per la sistemazione di
questo piano gigantesco. Comunque, cento anni di pace e di benessere.
Non dovevo forse vedere con speranza e con amore una soluzione di questo
genere e di questa portata?
- "In cento anni di educazione fascista e di
benessere materiale il Popolo italiano avrebbe avuto la possibilità di
ottenere una forza di numero e di spirito tale da controbilanciare
efficacemente quella oggi preponderante della Germania.
- "Una forza di trecento milioni di europei, di
veri europei, perché mi rifiuto di definire gli agglomerati balcanici e
quelli di certe zone della Russia anche nelle stesse vicinanze della
Vistola; una forza materiale e spirituale da manovrare verso l’eventuale
nemico di Asia o di America.
- "Solo la vittoria dell’Asse ci avrebbe dato
diritto di pretendere la nostra parte dei beni del mondo, di quei beni,
che sono in mano a pochi ingordi e che sono la causa di tutti i mali, di
tutte le sofferenze e di tutte le guerre.
- "La vittoria delle Potenze cosiddette alleate
non darà al mondo che una pace effimera e illusoria.
- "Per questo voi, miei fedeli, dovete
sopravvivere e mantenere nel cuore la fede. Il Mondo, me scomparso, avrà
bisogno ancora dell’Idea che è stata e sarà la più audace, la più
originale e la più mediterranea ed europea delle idee.
- "Non ho bluffato quando affermai che l’Idea
Fascista sarà l’Idea del secolo XX. Non ha assolutamente importanza una
eclissi anche di un lustro, anche di un decennio. Sono gli avvenimenti
in parte, in parte gli uomini con le loro debolezze, che oggi provocano
questa eclissi. Indietro non si può tornare. La Storia mi darà ragione".
- A questo punto Mussolini tacque. Scosse alcune
volte la testa come per scacciare un pensiero molesto. Quando, due
giorni dopo, gli portai il dattiloscritto di queste dichiarazioni, fece
in più punti, specie là ove mi aveva parlato di una forza di trecento
milioni di europei, di "veri europei", alcuni segni di distacco: segni
di lapis. Mi disse che avevo dimenticato molte cose importanti. Oggi le
ricordo benissimo tutte.
- Mussolini parlò della sua presa di posizione nel
1933-’34 fino ai colloqui di Stresa (aprile ’35). Affermò che la sua
azione non era stata interamente compresa e tanto meno seguita né
dall’Inghilterra né dalla Francia. E soggiunse: "Siamo stati i soli ad
opporci ai primi conati espansionistici della Germania. Mandai le
divisioni al Brennero; ma nessun gabinetto europeo mi appoggiò. Impedire
alla Germania di rompere l’equilibrio continentale ma nello stesso tempo
provvedere alla revisione dei trattati; arrivare ad un aggiustamento
generale delle frontiere fatto in modo da soddisfare la Germania nei
punti giusti delle sue rivendicazioni, e cominciare col restituirle le
colonie; ecco quello che avrebbe impedito la guerra. Una caldaia non
scoppia se si fa funzionare a tempo una valvola. Ma se invece la si
chiude ermeticamente, esplode. Mussolini voleva la pace e questo gli fu
impedito".
- Dopo qualche istante di silenzio ardii
chiedergli:
- "Avete detto che l’eventuale vittoria dei nostri
nemici non potrà dare una pace duratura. Essi nella loro propaganda
affermano... "
- "Indubbiamente abilissima propaganda, la loro.
Sono riusciti a convincere tutti. Io stesso a volte...".
- Mussolini sottolineò la frase: "Io stesso, a
volte..." e sorrise. Posò il lapis sul tavolo e sollevò due o tre volte
le mani fino all’altezza delle tempie. Poi, parlando lentamente e
staccando le sillabe, aggiunse:
- "Qualunque cosa detta da loro è la verità. Mi
sono chiesto la ragione di questa specie di ubriacatura collettiva.
Sapete che cosa ho concluso?".
- Alzò il capo e mi fissò. E proseguì: " Ho
concluso che ho sopravvalutato l’intelligenza delle masse. Nei dialoghi
che tante volte ho avuto con le moltitudini, avevo la convinzione che le
grida che seguivano le mie domande fossero segno di coscienza, di
comprensione, di evoluzione. Invece, era isterismo collettivo...".
- "Ma il colmo è che i nostri nemici hanno
ottenuto che i proletari, i poveri, i bisognosi di tutto, si
schierassero anima e corpo dalla parte dei plutocrati, degli affamatori,
del grande capitalismo".
- Mussolini ha segnato fortemente queste righe.
Sono convinto di non aver saputo riferire bene tutto il suo pensiero. Mi
disse:
- "Non avete detto tutto. Avete rimpicciolito la
mia idea. Ne riparleremo...".
- Invece, non ci fu più né tempo e né modo di
riparlarne. Pochi giorni dopo, fu Dongo, fu l’esecuzione, fu Piazzale
Loreto.
- ***
- La vittoria degli alleati riporterà indietro la
linea del fronte delle rivendicazioni sociali. La Russia? Il capitalismo
di stato russo (credo superfluo insistere sulla parola bolscevismo) è la
forma più spinta e meno socialista di un ibrido capitalismo, che si può
solamente sostenere in Russia, appoggiato all’ignoranza, al fatalismo e
alle storie di cosacchi, che hanno lasciato lo "knut" per il mitra.
- Questo capitalismo russo dovrà cozzare
fatalmente con il capitalismo anglosassone. Sarà allora che il Popolo
italiano avrà la possibilità di risollevarsi e di imporsi. L’uomo che
dovrà giocare la grande carta...".
- "Sarete voi, Duce...".
- "Sarà un giovane. Io non sarò più. Lasciate
passare questi anni di bufera. Un giovane sorgerà. Un puro. Un capo che
dovrà immancabilmente agitare le idee del fascismo. Collaborazione e non
lotta di classe; carta del Lavoro e socialismo; la proprietà sacra fino
a che non diventi un insulto alla miseria; cura e protezione dei
lavoratori, specialmente dei vecchi e degli invalidi; cura e protezione
della madre e dell’infanzia...".
- Mussolini volle sottolineare queste frasi
programmatiche.
- Mi disse più precisamente: "Onora il padre e la
madre". Depose il lapis col quale segnava le correzioni sul
dattiloscritto e si passò una mano sulla fronte. Poi, dopo un attimo di
silenzio soggiunse: "A volte si torna indietro nel tempo. E’ pur grande
la nostalgia del tepore sicuro del petto materno". E continuò:
assistenza fraterna ai bisognosi; moralità in tutti i campi; lotta
contro l’ignoranza e contro il servilismo verso i potenti;
potenziamento, se si sarà ancora in tempo, dell’autarchia, unica nostra
speranza fino al giorno utopistico della suddivisione fra tutti i popoli
delle materie prime che Iddio ha dato al mondo; esaltazione dello
spirito di orgoglio di essere italiano; educazione in profondità e non,
purtroppo, in superficie come è avvenuto per colpa degli avvenimenti e
non per deficienza ideologica.
- "Verrà il giovane puro che troverà i nostri
postulati del 1919 e i punti di Verona del 1943: freschi e audaci e
degni di essere seguiti. Il Popolo allora avrà aperto gli occhi e lui
stesso decreterà il trionfo di quelle idee. Idee che troppi interessati
non hanno voluto che comprendesse ed apprezzasse e che ha creduto
fossero state fatte contro di lui, contro i suoi interessi morali e
materiali...".
- Anche qui Mussolini trovò che non avevo detto
tutto quanto egli aveva espresso. Nella riga in cui si registravano le
sue parole a proposito della utopistica suddivisione delle materie prime
fra i popoli della Terra, corresse un errore madornale. Arrossii. Egli
se ne accorse e rise. Poi disse: "Quando vi si incolpa di avere
sbagliato, dite pure che Mussolini sbaglia dodici volte al giorno!".
Quindi proseguì: "Abbiamo avuto diciotto secoli di invasioni e di
miserie, e di denatalità e di servaggio, e di lotte intestine e di
ignoranza. Ma, più di tutto, di miseria e di denutrizione. Venti anni di
Fascismo e settanta di indipendenza non sono bastati per dare all’anima
di ogni italiano quella forza occorrente per superare la crisi e per
comprendere il vero. Le eccezioni, magnifiche e numerosissime non
contano".
- "Questa crisi, cominciata nel 1939, non è stata
superata dal popolo italiano. Risorgerà, ma la convalescenza sarà lunga
e triste e guai alle ricadute. Io sono come il grande clinico che non ha
saputo fare la cura... ".
- Qua corresse: "cura". (Io avevo scritto:
diagnosi). Ci pensò su un attimo, poi aggiunse: "la diagnosi era
giusta!". Mi guardò. Mi disse: "aggiungeremo qualche altra
considerazione...".
- "...esatta e che non ha più la fiducia dei
familiari dell’importante degente. Molti medici si affollano per la
successione. Molti di questi sono già conosciuti per inetti; altri non
hanno che improntitudine o gola di guadagno. Il nuovo dottore deve
ancora apparire. E quando sorgerà, dovrà riprendere le ricette mie.
Dovrà solo saperle applicare meglio".
- "Un accusatore dell’ammiraglio Persano, al quale
fu chiesto che colpa, secondo lui, aveva l’Ammiraglio: "quella di aver
perduto" rispose.
- "Così io. Ho qui delle tali prove di aver
cercato con tutte le mie forze di impedire la guerra che mi permettono
di essere perfettamente tranquillo e sereno sul giudizio dei posteri e
sulle conclusioni della Storia".
- Nel dire "ho qui tali prove", indicò una grande
borsa di cuoio. Mi sembra, delle tre, fosse quella di pelle gialla. Poi
toccò una cassetta di legno.
- ***
- "Non so se Churchill è, come me, tranquillo e
sereno. Ricordatevi bene: abbiamo spaventato il mondo dei grandi
affaristi e dei grandi speculatori. Essi non hanno voluto che ci fosse
data la possibilità di vivere. Se le vicende di questa guerra fossero
state favorevoli all'Asse, io avrei proposto al Fuehrer, a vittoria
ottenuta, la socializzazione mondiale".
- Mussolini sorrise lievemente quando parlò della
sua serenità e tranquillità. Sorrise di nuovo quando fece cenno a
Churchill. Il sorriso si mutò in una smorfia di disprezzo allorché parlò
degli affaristi e degli speculatori.
- "La socializzazione mondiale, e cioè: frontiere
esclusivamente a carattere storico; abolizione di ogni dogana; libero
commercio fra paese e paese, regolato da una convenzione mondiale;
moneta unica e, conseguentemente, l'oro di tutto il mondo di proprietà
comune e così tutte le materie prime, suddivise secondo i bisogni dei
diversi paesi; abolizione reale e radicale di ogni armamento".
- "Colonie: quelle evolute erette a Stati
indipendenti; le altre, suddivise fra quei paesi più adatti per densità
di popolazione, o per altre ragioni, a colonizzare ed a civilizzare;
libertà di pensiero e di parola e di scritto regolate da limiti: la
morale, per prima cosa, ha i suoi diritti".
- Mussolini disse precisamente: "Libertà di
pensiero, di parola e di stampa? Sì, purché regolata e moderata da
limiti giusti, chiaramente stabiliti. Senza di che, si avrebbe anarchia
e licenza. E ricordatevi, sopra tutto la morale deve avere i suoi
diritti".
- "Ogni religione liberissima di propagandarsi:
siamo stati i primi, i soli, a ridare lustro e decoro e libertà e
autorità alla Chiesa cattolica. Assistiamo a questo straordinario
spettacolo: la stessa Chiesa alleata ai suoi più acerrimi nemici".
- Mussolini aveva dettato: "alla Chiesa". Poi
aggiunse: "cattolica". Quindi spiegò: "La Chiesa cattolica non vuole, a
Roma, un'altra forza. La Chiesa preferisce degli avversari deboli a
degli amici forti. Avere da combattere un avversario, che in fondo non
la possa spaventare e che le permetta di avere a disposizione degli
argomenti coi quali ravvivare la fede, è indubbiamente un vantaggio".
Strinse le mani assieme e proseguì: "Diplomazia abile, raffinata. Ma, a
volte, è un gran danno fare i superfurbi. Con la caduta del fascismo, la
Chiesa cattolica si ritroverebbe di fronte a nemici d'ogni genere:
vecchi e nuovi nemici. E avrebbe cooperato ad abbattere un suo vero,
sincero difensore".
- "Nel sud, nelle zone così dette liberate,
l'anticlericalismo ha ripreso in pieno il suo turpe lavoro. L'Asino è,
in confronto a pubblicazioni di questi ultimi tempi, un bollettino
parrocchiale".
- "Anche in questo campo, gli stessi uomini che
oggi non vogliono vedere, saranno unanimi a deprecare la loro pazzia o
la loro malafede. Se la vittoria avesse arriso a noi, questo programma
avrei offerto al mondo e ancora una volta, sarebbe stata Roma a dare la
luce all'Umanità".
- A questo punto Mussolini tacque. Si alzò e si
avvicinò alla finestra. Avevo cercato di fissare gli appunti nel modo il
più esatto possibile, tenendo dietro a mala pena alle sue parole, specie
quando la foga del discorso gli faceva affrettare la velocità
dell'espressione. Le cartelle erano oramai più di trenta. Finalmente
Mussolini si distaccò dalla finestra. Si rivolse di nuovo a me e
riprese: "Mi dissero che non avrei dovuto accettare, dopo l'armistizio
di Badoglio e la mia liberazione, il posto di Capo dello Stato e del
governo della Repubblica Sociale. Avrei dovuto ritirarmi in Svizzera, o
in uno Stato del sud America. Avevo avuto la lezione del 25 luglio. Non
bastava, forse? Era libidine di potere, la mia? Ora chiedo: avrei dovuto
davvero estraniarmi?".
- Nell'esemplare del dattiloscritto
dell'intervista che gli presentai all'indomani, Mussolini sottolineò
energicamente le frasi interrogative.
- "Ero fisicamente ammalato. Potevo chiedere, per
lo meno, un periodo di riposo. Avrei visto lo svolgersi degli
avvenimenti. Ma cosa sarebbe successo?".
- "I tedeschi erano nostri alleati. L'alleanza era
stata firmata e mille volte si era giurata reciproca fedeltà, nella
buona e nella cattiva a sorte. I tedeschi, qualunque errore possano aver
commesso erano, l'otto settembre, in pieno diritto di sentirsi e
calcolarsi traditi".
- "I "traditori" del 1914 erano gli stessi del
1943. Avevano il diritto di comportarsi da padroni assoluti. Avrebbero
senz'altro nominato un loro governo militare di occupazione. Cosa
sarebbe successo? Terra bruciata. Carestia, deportazioni in massa,
sequestri, moneta di occupazione, lavori obbligatori. La nostra
industria, i nostri valori artistici, industriali, privati, tutto
sarebbe stato bottino di guerra".
- "Ho riflettuto molto. Ho deciso ubbidendo
all'amore che io ho per questa divina adorabile terra. Ho avuta
precisissima la convinzione di firmare la mia sentenza di morte. Non
avevo importanza più. Dovevo salvare il più possibile vite ed averi,
dovevo cercare ancora una volta di fare del bene al Popolo d'Italia E la
moneta di occupazione, i marchi di guerra, che già erano stati messi in
circolazione, sono stati per mia volontà ritirati. Ho gridato. Oggi
saremmo con miliardi di carta buona per bruciare".
- "Invece nel Sud, i governanti legali, hanno
accettato le monete di occupazione. La nostra lira nel regno del Sud non
ha praticamente più valore. La più tremenda delle inflazioni delizia
quelle regioni così dette liberate. Quando arrivammo nel Nord, in questo
Nord che la Repubblica Sociale ha governato malgrado bombardamenti,
interruzioni di strade, azioni di partigiani e di ribelli, malgrado la
mancanza di generi alimentari e di combustibili, in questo Nord dove il
pane costa ancora quanto costava diciotto mesi fa e dove si mangia alle
Mense del Popolo anche a otto lire, quando arriveranno a liberare il
Nord, porteranno, con altri mali, la inflazione. Il pane salirà a 100
lire il chilo e tutto sarà in proporzione...". Credo di aver qui reso
abbastanza bene il pensiero di Mussolini perché all'indomani, rileggendo
queste cartelle egli approvava con frequenti cenni del capo.
- "Mi sono imposto e ho avuto uomini che mi hanno
ubbidito. Non si è stampato che il minimo occorrente, di moneta. Ho però
autorizzato le banche ad emettere degli assegni circolari, questi tanto
criticati assegni. Non sono tesaurizzabili: ecco la loro importanza. La
lira-moneta automaticamente viene richiesta, acquista credito, le
rendite e i consolidati sono a 120, e dobbiamo frenare un ulteriore
aumento. Tutto questo, ho fatto". "Ho impedito che i macchinari
venissero trasportati in Baviera. Ho cercato di far tornare migliaia di
soldati deportati, di lavoratori rastrellati. Anche su questo punto,
occorre parlar chiaro: ho dei dati inoppugnabili".
- "Oltre trecentosessantamila lavoratori hanno
chiesto volontariamente di andar a lavorare in Germania, e hanno
mandato, in quattro anni, alcuni miliardi alle famiglie. Altri
trecentoventimila operai sono stati arruolati dalla Todt. ( Dalla
Germania sono tornati oltre quattrocentomila soldati ed ufficiali
prigionieri, o perché hanno optato per noi, o per mio personale
interessamento secondo i casi più dolorosi".
- "Ho impedito molte fucilazioni anche quando
erano giuste. Ho cercato, con tre decreti di amnistia e di perdono di
procrastinare il più possibile le azioni repressive che i Comandi
germanici esigevano per avere le spalle dei combattenti protette e
sicure. Ho distribuito a povera gente, senza informarmi delle idee dei
singoli, molti milioni. Ho cercato di salvare il salvabile. Fino ad oggi
l'ordine è stato mantenuto: ordine nel lavoro, ordine nei trasporti,
nelle città".
- "I ribelli ci sono. Sono molti; ma, salvo
qualche aliquota di illusi, la grande massa è composta di renitenti, di
disertori, di evasi dalle galere e dai penitenziari. Gli alleati sanno
perfettamente questo, ma sanno anche che queste formazioni sono
utilissime per i loro sforzi di guerra. Poi, a liberazione avvenuta,
succederà come in Grecia. Sul vostro giornale avete messa in giusta
evidenza la disperata trasmissione dei partigiani greci in lotta contro
i liberatori inglesi".
- Era stata captata una radiotrasmissione
clandestina di partigiani greci in lotta contro i britannici. Detti
risalto alla notizia, e feci distribuire alcune migliaia di copie del
giornale nelle zone partigiane. "Dovevo, di fronte ad una situazione che
vedevo tragicamente precisa, disertare il mio posto di responsabilità?
Leggete: sono i giornali del Sud. Mussolini prigioniero dei tedeschi.
Mussolini impazzito. Mussolini ammalato. Mussolini con la sua favorita.
Mussolini con la paralisi progressiva. Mussolini fuggito in Brasile".
Mussolini mi mostrava i ritagli. Ne leggeva i titoli ad alta voce. Ogni
volta, dopo aver scandito le sillabe di ogni titolo, sollevava gli occhi
per vedere la mia reazione. Poi strinse il pugno e lo batté con energia
sul tavolo.
- "Invece sono qui, al mio posto di lavoro, dove
mi troveranno i vincitori. Lavorerò anche in Valtellina. Cercherò che il
mondo sappia la verità assoluta e non smentibile di come si sono svolti
gli avvenimenti di questi cinque anni. La verità è una".
- "Ma c'è è ancora una speranza? Ci sono le armi
segrete?".
- "Ci sono. Se non fosse avvenuto l'attentato
contro Hitler nell'estate scorsa, si avrebbe avuto il tempo necessario
per la messa in azione di queste armi. Il tradimento anche in Germania
ha provocato la rovina, non di un partito, ma della patria".
- Più esattamente Mussolini disse: "Ci sono:
sarebbe ridicolo e imperdonabile bluffare".
- E quando pronunciò la parola "tradimento"
esclamai: "Ma noi vi siamo stati e vi saremo sempre fedeli". Egli,
allora, mi pose la mano sul braccio e mi disse con accento triste:
"Quanti giuramenti! Quante parole di fedeltà e di dedizione! Oggi solo
vedo chi era veramente fedele, chi era veramente fascista! Siete
voialtri, sempre gli stessi fedeli delle ore belle e delle ore gravi.
Facile era osannare nel 1938! Ho una tale documentazione di persone che
non sapevano più che fare per piacermi! E al primo apparire della
tempesta, prima si sono ritirati prudentemente per osservare lo
svolgersi degli avvenimenti. Poi si sono messi dalla parte avversaria.
Che tristezza. Ma che conforto, finalmente, poter vedere che vi sono i
puri, i veri, i sinceri. Tradire l'idea... tradire me... ma tradire la
Patria".
- Quindi, proseguendo a parlare delle armi segrete
tedesche, dichiarò: "Le famose bombe distruttrici sono per essere
approntate. Ho, ancora pochi giorni fa, avuto notizie precisissime.
Forse Hitler non vuole vibrare il colpo che nella assoluta certezza che
sia decisivo".
- "Pare che siano tre, queste bombe e di efficacia
sbalorditiva. La costruzione di ognuna è tremendamente complicata e
lunga. Anche il tradimento della Romania ha influito, in quanto la
mancanza della benzina è stata la più terribile delle cause della
perdita della supremazia aerea. Venti, trentamila apparecchi fermi o
distrutti al suolo. Mancanza di carburante. La più tremenda delle
tragedie".
- "Duce, pensate che inglesi e americani possano
vedere i russi arrivare nel cuore dell'Europa? Non sarà possibile una
presa di posizione...?".
- "I carri armati che penetrano nella Prussia
Orientale sono di marca americana".
- A questo punto Mussolini volle precisare che non
riteneva, oramai, più possibile sperare in un capovolgimento del fronte.
Disse anche: "Forse Hitler si illude". Poi aggiunse: "Eppure, si sarebbe
ancora in tempo, se ...". Alzò le sopracciglia, fece un ampio gesto con
le mani, come per farmi capire: "Tutto è possibile". Quindi riprese: "Il
compito degli alleati è di distruggere l'Asse. Poi...".
- "Poi?". "Ve l'ho detto. Scoppierà una terza
guerra mondiale. Democrazie capitalistiche contro bolscevismo
capitalistico. Solo la nostra vittoria avrebbe dato al mondo la pace con
la giustizia. Mi , hanno tanto rinfacciata la forma tirannica di
disciplina che imponevo agli italiani. Come la rimpiangeranno. E dovrà
tornare se gli italiani vorranno essere ancora un Popolo e non un
agglomerato di schiavi" .
- "E gli italiani la vorranno. La esigeranno.
Cacceranno a furor di popolo i falsi pastori, i piccoli malvagi uomini
asserviti agli interessi dello straniero. Porteranno fiori alle tombe
dei martiri, alle tombe dei caduti per un'idea che sarà la luce e la
speranza del mondo. Diranno, allora, senza piaggeria, e senza falsità:
Mussolini aveva ragione".
- Mussolini a questo punto prese le cartelle dove
avevo messo gli appunti.
- "Non farete un articolo. Riprendete da questi
appunti quello che vi ho detto. Dopodomani mattina mi porterete il
dattiloscritto. Se ne avrò tempo riprenderemo fra qualche giorno questo
lavoro".
- Dissi al Duce che in anticamera era il mio
redattore capo, già direttore di un settimanale di Brescia. Mussolini lo
fece chiamare. Rimanemmo ancora dieci minuti in udienza.
- Ho terminato stanotte, 21-22 aprile queste note,
che porterò domani al Duce. Per mancanza di carta, ho dovuto scrivere le
ultime quattro cartelle al rovescio delle prime quattro.
- Spero di aver interpretato il pensiero del Duce.
Viva Mussolini! Viva la Repubblica Sociale! Viva il Fascismo!
- Terminata la dettatura entrò il redattore capo
sottotenente Lucarini. Mussolini si intrattenne con noi ridendo e
scherzando per circa un quarto d'ora. Quando uscimmo nell'anticamera,
fummo circondati da gerarchi e camerati. Vittorio Mussolini volle vedere
la fotografia. Mezzasoma disse: "E' ben raro che egli scriva delle
dediche così".
- Dopo di che mi accinsi al lavoro. Lavorai tutta
la notte al giornale. Quel numero del 21 aprile, però, non uscì più. La
notte seguente misi in ordine gli appunti. Lavorai come potei. Tre
allarmi aerei; tre volte la luce si spense. La mattina del 22, alle 11,
tornai in Prefettura. Mussolini era fuori.
- Fece ritorno alle 12,40. Attraversò l'anticamera
con passo rapido. Rispose con aria stanca ai nostri saluti. Quando fu
sulla soglia della sua stanza da lavoro, si voltò e mi fece cenno di
attendere.
- Barracu, dopo una decina di minuti, mi
introdusse da lui. Stava mangiando. Avevano portato un "cabaret" con una
zuppiera. Sorbì alcune cucchiaiate di minestra. Mangiò un po' di
verdura, un pezzettino di lesso, due patate e una carota bollita. Poi
una mela. Bevve due dita di acqua minerale. Quindi si volse verso di me,
e mi disse: "Fatemi vedere il vostro lavoro". Scostò delle carte. Lesse
con attenzione, lentamente. Il suo volto aveva visibili tracce di
stanchezza. Alla distanza di sole quarantott'ore, sembrava molto
invecchiato. Corresse e tracciò molti segni, come risulta dal
dattiloscritto. Alla fine mi disse: "Va bene. Ci rivedremo forse in
questi giorni. Qualunque cosa accada, non fate vedere ad alcuno questo
scritto. Se dovesse accadere il crollo, per tre anni tenetelo nascosto.
Poi fate voi, secondo le vicende e secondo il vostro criterio. Ora
andate".
- Salutai senza poter dire una parola. Mi sorrise
e fece un gesto di arrivederci. Uscii dalla Prefettura con l'animo in
tumulto. Non dovevo più rivederlo.
- Milano, 22 aprile 1945
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