Benito Mussolini
Il
Costruttore
Mussolini impugnò sovente il piccone. Non in senso metaforico,
come Francesco Cossiga, ma concretamente, per dare avvio a opere pubbliche. I
picconi dei quali egli si serviva erano a volte conservati come cimeli, e nelle
cronache recenti s’è parlato d’uno di essi, quello usato nel 1923 per l’inizio
dei lavori dell’autostrada Milano-Laghi. Prima che la sua immagine guerriera
predominasse, il Duce presentò sé stesso agli italiani soprattutto come
costruttore o ardere o coltivatore. In questi scampoli di lavoro manuale metteva
l’impegno, la foga, quasi la rabbia dell’umile che, assurto ai fastigi del
potere, ritrova, nella fatica del mietere o dello scavare, l’orgoglio delle sue
radici. Trebbiava a torso nudo, combattente della "battaglia del grano"’,
attorniato da "vèliti del grano" (questa la definizione pomposa appiccicata ai
contadini) o, secondo un’altra trovata della terminologia fascista, da "rurali"
che "quando la Patria chiama sanno per la Patria morire e non chiedono nemmeno
perché. Obbediscono semplicemente e compiono il loro dovere". Una volta, volendo
rivolgere un discorsetto agli altri trebbiatori che l’attorniavano, ma tra i
quali erano intrufolati gerarchi e poliziotti, disse con il suo asciutto
sarcasmo: "I veri contadini facciano un passo avanti".
Lui aveva rifatto l’Italia: nelle sue strutture, oltre che,
s’illudeva, nella tempra degli uomini. Quattrocento nuovi ponti, incluso quello
lungo quattro chilometri che congiungeva Venezia alla terraferma,
seimilaquattrocentotrentasei chilometri di nuove strade, grandi acquedotti. "I
viaggiatori da Roma a Siracusa [da Duce! Duce!
di Richard Collier] impiegavano ora quindici ore di treno anziché trenta.
Dalla Calabria alla frontiera svizzera seicento centralini stendevano una fitta
rete telefonica sul Paese. Aveva conquistato gli Oceani con grandi navi di linea: nel
1933 il Rex doveva cogliere un ambito primato sull’Atlantico con la sua traversata di soli quattro giorni e mezzo." E poi l’opera
maggiore, la bonifica dell’agro pontino, vasta e insalubre distesa che tanti
prima di lui avevano invano tentato di rendere produttiva. Nelle giornate che
dedicava alla celebrazione di questi fasti operosi il Duce era instancabile. 116
aprile 1932 "andò nelle paludi pontine, sali, con ingegneri e giornalisti, sulla
terrazza di una vecchia casa di campagna e indicò col dito il luogo dove
Littoria doveva sorgere [...]. Mentre
passava sulla sua automobile per la strada in costruzione, brillarono a
centinaia le mine che sradicavano le sterpaglie della selva. I trattori lo
attendevano. Li passò in rassegna e diede il via a centinaia di essi che
fischiavano il loro saluto. 1118 dicembre 1933 disse: "Annuncio che tra un anno
sarà inaugurata la nuova provincia di Littoria"". (Gaspare Giudice).
Sappiamo quanto vi fosse
di retorico e vacuo nei rituali che accompagnavano queste realizzazioni. Ma la
gente comune sentiva che, nonostante le sue collusioni passate e presenti con
gli agrari e gli industriali, e nonostante i suoi cedimenti ai loro interessi,
Mussolini era uno del popolo più di quanto lo fossero mai stati i politici di
quella che il fascismo aveva bollato come Italietta. In fin dei conti fu lui che
ridusse la giornata lavorativa degli italiani a Otto ore, che instaurò la mezza
giornata di vacanza del sabato "il sabato fascista", che introdusse quote
obbligatorie d’assicurazione per i vecchi, i disoccupati e gli inabili al
lavoro. Il cinico istrione s’intrecciava, nelle ostentazioni di fatica
proletaria, al romagnolo ribelle e povero che aveva sofferto la fame, e che non
concepì mai, durante tutta la sua esistenza, la ricchezza. I suoi sogni la
battaglia del grano, il posto al sole, la lotta tra i Paesi dai cinque pasti,
decadenti e smidollati, e i Paesi giovani, ricchi soltanto di braccia erano
sogni da povero, rivestiti d’enfasi.