Benito
Mussolini
Lo Statista
A Benito Mussolini non
mancarono per decenni, insieme a doverosi e scontati osanna italiani, anche
autorevoli riconoscimenti esteri delle sue qualità di statista. Gliene vennero
in particolar modo dalla democratica e superciliosa Inghilterra: dove molti
uomini eminenti, o considerati tali, ritenevano in definitiva che i rituali del
sistema parlamentare si addicessero al loro Paese, ma che per la rozza e umile
Italia fosse più appropriato un regime autoritario, capace di scongiurare la
minaccia comunista.
Quand’era ministro degli Esteri di Londra,
Austen Chamberlain classico conservatore dalle nostalgie vittoriane
strinse con il Duce rapporti cordiali, quasi amichevoli. Winston Churchill gli fece visita a Palazzo Chigi
nel 1927. Poiché fumava il sigaro, mentre si apprestava a entrare nell’ufficio
del Capo del governo, una guardia lo invitò a buttano, e Churchill lo fece. Ma
allorché, varcata la soglia, vide che Mussolini non si alzava nemmeno per
andargli incontro, trasse dal portasigarette un altro Avana e lo accese,
lentamente, con cura, prima di avvicinarsi alla scrivania. Forse impressionato
da questo gesto d’alterigia, il Duce smise il suo cipiglio, e fu accattivante.
Dopo il colloquio Churchill disse ai giornalisti che "se fossi italiano, sarei
con voi di cuore, dal principio alla fine della lotta vittoriosa contro gli
appetiti bestiali e le passioni del leninismo". E il 18febbraio 1933, alla
Queen’s Hall, lo stesso Churchill dichiarò con enfasi: "Il genio romano
impersonato in Mussolini, il più grande legislatore vivente...".
Mussolini vide Hitler per la prima volta di persona, nel giugno del 1934 a Venezia
e lo definì una "scimmietta chiacchierona", ma anche un invasato assetato
di sangue. Non gli piacque nemmeno
un po’. Al contrario, Hitler disse che "uomini come Mussolini nascono una volta
ogni mille anni, e la Germania può essere lieta che egli sia italiano e non
Francese". Se voleva, Mussolini poteva riuscire simpatico. Gli abiti da
cerimonia non gli si addicevano, mettevano in risalto la sua impacciata
grossolanità, soprattutto se raffrontata alla disinvoltura di mediocri racés come Eden o Ramsey Mac Donald. Eppure riusciva a vincere, grazie a una
notevole capacità di adattamento psicologico e ambientale, i complessi del
povero ("io non sono ricco, sono un povero che ha dei soldi" disse una volta di
sé stesso Garda Marquez): e all’occorrenza sapeva opporre la rudezza popolana
all’educato snobismo dei suoi interlocutori.
Fù molto più a suo agio nelle uniformi. Era in uniforme
anche al convegno di Monaco (fine settembre del 1938), il suo maggiore e meno
duraturo trionfo di statista. Vi ebbe il ruolo del mediatore: sia pure un
mediatore che nella sua proposta compromissoria dava soddisfazione quasi
integrale agli appetiti tedeschi sulla Cecoslovacchia. Vi fece anche figura di
poliglotta: perché parlava e capiva discretamente il francese, e se la cavava
(meno bene di quanto confessasse) in tedesco, mentre Hitler, Chamberlain e
Daladier non praticavano altra lingua all’infuori di quella materna.
Il Mussolini artefice della "pace per il
nostro tempo" durò poco, lo sappiamo: abbacinato dalle vittorie naziste si buttò
nel conflitto, incenerendovi il fascismo. Se caratteristica dello statista è
l’avere strategie razionali e costanti, Mussolini non lo fu, lo fu
invece nel suo stile di forsennato, invasato e spietato profeta Hitler. Nei
suoi momenti migliori Mussolini fu un politico di rimarchevole intuito, un
pragmatico spregiudicato, un abile negoziatore. Nei momenti peggiori fu un
giocatore d’azzardo, che alla roulette della storia perse sé stesso, e il suo
Paese.