Benito Mussolini In fatto di "dottrina del fascismo", Mussolini pretendeva che
essa costituisse una novità, una terza via tra liberalismo e socialismo. In
realtà, benché per la penna di Gentile il Duce affidasse in proposito
all’Enciclopedia Italiana un
testo canonico, nel quale si leggeva tra l’altro che "il fascismo è
totalitario", un’esaltazione della guerra e la condanna delle "ideologie
democratiche", la "dottrina del fascismo" rimase sempre qualcosa di nebuloso,
soggetta a ogni possibile interpretazione e a ogni adattamento, salvo la decisa
ripulsa del liberalismo, del socialismo e della democrazia. Del resto lo stesso
Mussolini aveva sempre dichiarato che il fascismo era soprattutto un metodo, una
tecnica per la conquista del potere, azione piuttosto che teoria, uno strumento
sufficientemente duttile ed elastico per potersi adattare alle diverse
situazioni via via che si presentavano. E poiché il movimento fascista era molto
composito, e ciò era nell’interesse di Mussolini per poter raccogliere la
maggiore quantità possibile di adesioni e consensi, egli non aveva remore o
esitazioni nel pronunciarsi di volta in volta nei modi più diversi e perfino
opposti. Nei suoi scritti e discorsi si trova tutto e il contrario di tutto. Un
punto, però, era in lui fermo: la convinzione, più volte ripetuta, che gli
italiani non avessero né bisogno né in fondo neppure desiderio di libertà,
poiché ciò che stava loro a cuore erano valori più concreti e tangibili, come il
lavoro. "La folla" disse una volta "non ha bisogno di conoscere. Deve credere. E
deve piegarsi a essere forgiata." Ne derivava anche il suo tipo di oratoria,
nella quale si può dire che in un certo senso era un maestro: un’oratoria fatta
non per convincere con argomentazioni, ma per suscitare entusiasmo e fede, con
affermazioni apodittiche e domande retoriche rivolte alle folle, cui egli
chiedeva risposte corali dalla piazza. Vale la pena di osservare che ciò che
Mussolini disse in varie occasioni negli anni attorno al 1930 circa il carattere
degli italiani (un popolo "dal troppo facile ottimismo, dalla negligenza che
segue talvolta una troppo rapida ed eccessiva diligenza", portato a "credere che
tutto sia compiuto mentre non è ancora incominciato") si applicava perfettamente
proprio al suo stesso carattere. Una volta al potere, Mussolini si adoperò
per realizzare "tutto nello Stato", intendendo che lo Stato coincidesse col
governo, mettendo sotto controllo ogni struttura pubblica e ogni manifestazione
della vita nazionale. Tuttavia il totalitarismo fascista non fu mai assoluto, non
raggiunse mai la "perfezione" del sistema staliniano e di quello hitleriano.
Fu un totalitarismo approssimativo, che lasciava aperti diversi varchi, non foss’altro
che per il fatto che in Italia c’era una monarchia (anche se essa non fece
quasi nulla per contrastare o almeno frenare il regime) e soprattutto c’era
la Chiesa cattolica, con le quali Mussolini tendeva ad avere buoni rapporti,
ma che obiettivamente limitavano le sue possibilità di fare tutto quello che voleva,
e col passare degli anni egli divenne sempre più insofferente ditali
limitazioni. Certo, la costituzione italiana
lo Statuto carloalbertino del 1848, che nella sua applicazione aveva subito in
tre quarti di secolo una notevole evoluzione in senso
parlamentare fu travolta e sconfessata dal sistema istituzionale
instaurato da Mussolini con la soppressione dei partiti, la creazione del Gran
Consiglio, la fine di libere elezioni, più tardi la sostituzione della Camera
dei deputati con la Camera dei Fasci e delle Corporazioni, l’istituzione della
Milizia e del Tribunale Speciale, e così via. Vittorio Emanuele III, che nell’ottobre 1922 aveva
legittimato e sanzionato lo strappo costituzionale rifiutando la firma al
decreto di stato d’assedio per resistere all’assalto armato dello squadrismo,
non oppose alcuna sostanziale resistenza a tutte le novità istituzionali in
senso dittatoriale che gli vennero via via proposte da Mussolini, il quale
almeno per molti anni conservò con il re buoni rapporti, anche se non
proprio amichevoli. Mussolini si illuse di riuscire a modificare
il carattere degli italiani: Giornalista nato, nel che stava la sua forza ma anche la sua
debolezza, perché tendeva a valutare i fatti politici, anche in politica estera,
in quanto più o meno suscettibili di essere clamorosamente intitolati, Mussolini
pose particolare attenzione e impegno nel raggiungere il più completo controllo
della stampa. Ai suoi personali ordini c’era il Popolo d’Italia,
diretto dal fratello Arnaldo (fino alla morte nel 1931), ma anche tutti gli
altri quotidiani compresi il Corriere della Sera e la Stampa furono fascistizzati. Giorno per giorno il
Duce seguiva le pagine dei giornali, le cui direzioni e redazioni furono
continuamente "imboccate" sul modo di presentare le notizie, di commentarle,
oppure di ignorarle. Famose divennero, in proposito le "veline" inviate dalla
presidenza del Consiglio ò dal ministero della Stampa e Propaganda, poi divenuto
della Cultura Popolare, per impartire tali disposizioni. Contemporaneamente l’unico partito rimasto
in vita, quello fascista, il cui segretario era nominato con decreto regio a
sottolineare che l’organismo era divenuto di Stato, perdeva gradualmente ogni
autonomia, malgrado le estreme resistenze opposte da Augusto Turati dal 1926,
finché il 9 ottobre 1930 fu sostituito con Giurati sotto accuse infamanti di
omosessualità, di tossicodipendenza e di squilibrio mentale, e inviato al
confino nell’isola di Rodi.
La
"Dottrina del Fascismo"
farne un popolo disciplinato, compatto,
bellicoso. Perfino fisicamente l’italiano doveva cambiare. Questa illusione era
comune al fascismo, allo stalinismo e al nazionalsocialismo, ma si rivelò del
tutto illusoria, e per gli italiani ancor più che per i sovietici e i
tedeschi.