Benito Mussolini
La riunione del Gran
Consiglio
Il 9-10 luglio 1943 gli Alleati (inglesi, americani e
canadesi) sbarcarono in Sicilia, incontrando — salvo che a Catania — scarsa
resistenza. Mussolini aveva predetto che, se si fosse verificato lo sbarco, le
truppe anglo-americane sarebbero state annientate "sulla linea del bagnasciuga"
(termine che aveva tutt’altro significato di quello che Mussolini gli
attribuiva).
Mentre Hitler faceva preparare i piani per una eventuale
occupazione dell’Italia, all’interno si studiava la possibilità di defenestrare
legalmente il Duce, adoperando a tale scopo il Gran Consiglio. Non più riunito
dal 1939, questo supremo organo costituzionale del fascismo poteva riassumere le
sue funzioni e procedere quanto meno a una riduzione dei poteri del dittatore.Il
16 luglio 1943 un gruppo di gerarchi guidato da Farinacci e da Scorza sottopose
la proposta di riunire il Gran Consiglio allo stesso Mussolini, che l’accettò,
mentre il re finalmente si muoveva nella stessa direzione.
Pochi giorni dopo, il 19 luglio, Mussolini e Hitler
s’incontrarono a Feltre: al solito il Fùhrer parlò lui soltanto per un paio
d’ore, accusando l’altro per le deficienze dello sforzo bellico italiano.
Mussolini, tacendo, diede l’impressione di accettare tali accuse. In pari tempo,
però, Hitler dipinse una prospettiva ottimistica sulle sorti del conflitto.
Episodio caratteristico: durante una pausa della riunione il generale Ambrosio e
il sottosegretario agli Esteri Bastianini tentarono di far intendere a Mussolini
che egli aveva il dovere di convincere l’interlocutore che l’Italia non era più
in grado di combattere; Mussolini si disse d’accordo, promise che l’avrebbe
fatto, ma, tornato a colloquio con il Fuhrer, non se la sentì e rimase
nuovamente in silenzio. Di fronte alle contestazioni di Ambrosio e di altri del
seguito per il suo rinnovato silenzio, Mussolini reagì trincerandosi dietro la
difesa del regime, che in caso di sganciamento sarebbe stato distrutto: era il
destino del partito e del regime fascista, non quello dell’Italia, che nel suo
animo si poneva in primo piano.
Durante il colloquio con Hitler, Mussolini fu informato che in
quel momento si stava effettuando il bombardamento di Roma da parte degli aerei
alleati: un bombardamento che fece vittime e danni nel quartiere popolare di San
Lorenzo e accelerò la crisi finale del regime. La convocazione del Gran
Consiglio presenta alcuni problemi, o meglio alcuni interrogativi. Perché
Mussolini l’accettò? Come mai essa fu chiesta, in una riunione di gerarchi
presso Mussolini il 16luglio, sia da Bottai che da Farinacci, che erano su
posizioni opposte, il primo antitedesco, il secondo filotedesco? Si possono
azzardare alcune risposte. Al primo quesito, ipotizzando che Mussolini, ormai
stanco e sfiduciato, non avesse più la forza di opporsi a una richiesta che gli
veniva, appunto, da fazioni opposte del regime, ma sperasse anche di poter
assumere un alleggerimento delle sue responsabilità, senza peraltro cadere dal
piedistallo; e poi non temeva troppo da uomini che non avevano mai osato
contrastarlo. Quanto alla coincidenza tra i due gruppi contrapposti, essa si
spiega probabilmente col fatto che il malcontento si era ormai diffuso in tutte
le alte sfere del partito, senza più distinzione di posizioni specifiche circa
la posizione da assumere nei confronti della Germania. Fatto sta che alla
vigilia della riunione del Gran Consiglio fissata per il 24 luglio, Grandi,
Bottai, Ciano e altri alti gerarchi ebbero intensi colloqui e misero a punto un
ordine del giorno, limato e reso definitivo il pomeriggio del 24luglio. Tal
ordine del giorno chiedeva "l’immediato ripristino di tutte le funzioni statali,
attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al governo, al parlamento, alle
Corporazioni, i compiti e le responsabilità delle nostre leggi statutarie
costituzionali"; chiedeva anche che il re fosse invitato ad "assumere, con
l’effettivo comando delle forze armate di terra, di mare e dell’aria, secondo
l’articolo 5 dello Statuto del
regno, quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a lui
attribuiscono".
La seduta del Gran Consiglio ebbe inizio alle ore 17 di sabato
24 luglio 1943. Parlò per primo Mussolini, il quale disse di aver convocato il
Gran Consiglio non per discutere della situazione in Italia, ma solo per
informarlo sugli avvenimenti in Sicilia e prendere una decisione militare. Parlò
due ore, facendo la storia degli avvenimenti militari, gettò la colpa delle
sconfitte su tutti, meno che su se stesso. Ma dichiarò anche di essere in
possesso di "importanti segreti di carattere militare, che al Fùhrer e a me non
fanno dubitare un solo momento della vittoria. E prossimo il giorno nel quale i
nostri nemici saranno inesorabilmente schiacciati. Io ho in mano la chiave per
risolvere la guerra. Ma non vi dirò quale". Presero poi la parola De Bono, che
difese l’esercito italiano, Farinacci, che accusò i capi militari, Bottai, che
impostò la questione fondamentale "pace o guerra?", Grandi che
per più di un’ora fece l'esposizione più ampia e più severa nei confronti di
Mussolini. "Il popolo italiano, disse tra l’altro fù tradito da Mussolini il
giorno in cui l'Italia ha cominciato a germanizzarsi"; "Quest'
uomo, aggiunse con espressione che
nessuno avrebbe mai osato adoperare prima,
ci ha ingolfati in una guerra che è contro l’onore, gli interessi e i sentimenti del
popolo italiano"; e terminò con questa impressionante apostrofe: "Voi credete
ancora di avere la devozione del popolo italiano? La perdeste il giorno che
consegnaste l’Italia alla Germania. Vi credete un soldato: lasciatevi dire che
l’Italia fu rovinata il giorno che vi metteste i galloni di maresciallo. Vi sono
centinaia di migliaia di madri che dicono: "Mussolini ha assassinato mio
figlio"". Il Duce era sbalordito. Ciano, che parlò dopo Grandi, fece la storia
diplomatica dell’alleanza con la Germania (che egli aveva tanto patrocinato),
sostenendo che i traditori non erano gli italiani nei confronti dei tedeschi, ma
i tedeschi nei confronti degli italiani. Infine Farinacci difese i tedeschi e
propose un suo ordine del giorno tendente ad affidare a loro l’alto comando
militare. De Marsico e Federzoni presero la parola per appoggiare l’ordine del
giorno Grandi.
Respinta per l’indignata opposizione di Grandi la richiesta di Mussolini
di aggiornare la seduta al giorno successivo, e dopo una pausa di mezz’ora
durante la quale il Duce cercò con Scorza di allestire una qualche linea
difensiva, alla ripresa della riunione Mussolini iniziò dicendo: "Vi ho lasciato
parlare liberamente questa notte; avrei potuto interrompervi e farvi arrestare".
Ma disse anche che non avrebbe lasciato il posto di comando: "Il re e il popolo,
affermò, sono con me". Scorza propose un altro ordine del giorno, concordato con
Mussolini, per la resistenza a oltranza; Farinacci ribadì il suo punto di vista.
Ma Grandi, appoggiato da Federzoni e da Bottai, insistette perché la sua mozione
venisse posta in votazione per prima. Così fù fatto alle 3 antimeridiane del 25
luglio. L’ordine del giorno Grandi ebbe 19 "sì", 7 "no" e un astenuto. Mussolini
tolse la seduta.
Che cosa indusse Mussolini a tenere per tutta la seduta del
Gran Consiglio un atteggiamento nel complesso passivo? Due ne furono
probabilmente gli elementi determinanti; l’illusione iniziale che fosse in causa
la sola restituzione al re della delega dei poteri militari, e la fiducia che
egli nutriva nell’amicizia di Vittorio Emanuele III.
Soltanto dopo che in tanti si erano espressi in modo così severo nei suoi
confronti e con l’esito della votazione sull’ordine del giorno Grandi, il Duce
dovette rendersi conto, ma ancora fino a
un certo punto, come dimostrò il giorno dopo nel colloquio con il
sovrano, che le cose erano andate molto
al di là del previsto, tanto e vero che, chiudendo la seduta, esclamò: "Voi
avete provocato la crisi del regime".