Benito Mussolini Negli anni ‘30 Mussolini aveva fatto una serie di
discorsi violentemente bellicisti, scagliandosi contro le democrazie e la
Società delle Nazioni, ma delegando a Grandi, ministro degli Esteri, il compito
di far invece apparire l’Italia fascista come un paese moderato e pacifista. Fu
nel pieno della crisi dei rapporti tra l’Italia fascista e la Germania nazista
provocata dal putsch di Hitler contro Dollfuss e mentre Mussolini formava
il "fronte di Stresa" in funzione antitedesca che egli decise la guerra contro
l’Etiopia. Essa non aveva alcuna motivazione razionale: nonostante le
affermazioni dei propagandisti del regime, che ne vantarono i grandi giacimenti
di metalli preziosi e le possibilità di colonizzazione, l’Etiopia era un immenso
territorio povero e arretrato, che, come poi l’esperienza dimostrò, sarebbe
costato all’Italia, scarsa di capitali, sacrifici ben maggiori dei possibili
vantaggi. Ma per Mussolini si trattava di coronare il suo astratto sogno
imperiale. La preparazione militare dell’impresa fu attuata,
in un primo tempo, con l’invio di forze che si rivelarono assai inferiori a
quelle necessarie per la conquista integrale dell’Etiopia, alla quale, forse,
Mussolini non aveva dapprima pensato; alla fine si dovette portare il
contingente italiano a oltre mezzo milione di uomini. Le direttive impartite da
Mussolini ai generali dichiaravano esplicitamente che si doveva anche fare uso
di gas asfissianti. La preparazione diplomatica vide, nel gennaio
1935, la firma di un trattato con la Francia, che fu una sorta di commedia degli
inganni, a causa della diversa interpretazione che le due parti diedero poi di
quanto in quel trattato si era stabilito. Intanto il governo italiano tendeva a
rassicurare gli altri paesi d’Europa con dichiarazioni di pacifismo, soprattutto
in direzione dell’Inghilterra, che era la dominatrice del Mediterraneo, ma di
cui l’ambasciatore Grandi, per adulare Mussolini, dava un ritratto falso, come
di una nazione tutta piegata all’ammirazione del Duce, il quale a Stresa aveva
manovrato in modo che non si parlasse dell’Etiopia, senza peraltro che ciò
bastasse a evitare l’ostilità britannica a un’impresa militare italiana in
Africa. Ma di fronte ai pericoli provenienti dagli altri
paesi d’Europa, Mussolini si esaltava all’idea di muovere in guerra contro
tutti, senza tenere conto degli avvertimenti che pur gli venivano dagli ambienti
militari interessati. Era proprio la guerra che egli voleva, disprezzando ogni
possibilità di soluzioni concordate e pacifiche del contenzioso (del resto
artificialmente montato) con l’Etiopia. Cosicché, non contento dei piani contro
l’Etiopia, egli diede disposizioni perché se ne allestissero anche contro le
colonie africane della Gran Bretagna, mentre la stampa italiana cominciava
perfino a parlare di possibili attacchi contro Suez, Gibilterra e Malta. Al Duce
piaceva molto l’idea di muoversi contro la Società delle Nazioni. Dopo aver provocato una serie di incidenti di
frontiera, il 2 ottobre 1935, dal balcone di Palazzo Venezia, Mussolini annunciò
che la guerra contro l’Etiopia era incominciata ("Abbiamo pazientato
quarant’anni! Ora basta!"), sebbene fosse stata evitata la dichiarazione di
guerra. Le operazioni ebbero inizio il giorno dopo. L’aggressione all’Etiopia fu presentata come una guerra
di difesa. La Società delle Nazioni non si lasciò ingannare da queste
pretese e dichiarò che l’Italia aveva violato il patto, e 52 Stati decretarono
le sanzioni economiche contro il nostro paese. Tuttavia la loro applicazione,
per lo più così poco netta da lasciare ampi squarci nella rete (nessun embargo
fu imposto ai prodotti petroliferi, che erano quelli essenziali), non provocò
grandi danni per lo sforzo bellico italiano, e costituì invece un grande
vantaggio per Mussolini, il quale se ne servi per infiammare la reazione degli
italiani contro le "inique sanzioni". Il comando dell’impresa era stato affidato
al vecchio generale De Bono, sotto la diretta autorità di Mussolini,
senza la mediazione dello Stato Maggiore. A
combattere nell’aeronautica Mussolini inviò in Africa orientale il genero
Galeazzo Ciano e il figlio Bruno, che aveva allora soltanto diciassette anni,
oltre a vari ministri e gerarchi: essi si divertirono come poi scrissero a
bombardare dai loro apparecchi le popolazioni civili inermi. De Bono si rivelò
ben presto impari al suo compito e nel novembre 1935 venne sostituito, con il
contentino della nomina a maresciallo, dal maresciallo Badoglio, al quale fu
comandato di adoperare i metodi terroristici più drastici anche contro la
popolazione civile, non escluso l’uso dei gas tossici. Ma del suo successo Mussolini (che fu insignito dal re della
Gran Croce dell’Ordine militare di Savoia) divenne doppiamente prigioniero perché da allora in poi ebbe da provvedere a un "impero" che,
invece di fornire un aiuto all’economia nazionale, ne costituì un continuo
depauperamento (mentre se ne arricchivano privatamente parecchi imprenditori e
speculatori); e perché, messosi in urto frontale con l’Inghilterra e con la
Società delle Nazioni, dovette forzatamente accettare le profferte di amicizia
di Hitler, che costituirono un vero cavallo di Troia. In parte egli ebbe la
percezione dell’impasse in cui, da questo punto di vista, si era
cacciato. A un ex ministro francese ebbe a dichiarare che, venutagli meno la
sicurezza della Francia e dell’Inghilterra, non gli rimaneva che indirizzarsi a
Hitler, aggiungendo: "Io valuto perfettamente ciò che succederà se io m’intendo
con Hitler. Innanzi tutto sarà l’Anschluss a breve scadenza. Poi, con
l’Anschluss, sarà la Cecoslovacchia, la Polonia, le colonie tedesche,
ecc. Per dire tutto, è la guerra inevitabilmente". Perciò appare paradossale che, mentre una delle cause della
catastrofe europea va ricercata nell’impresa d’Etiopia, Mussolini abbia ottenuto
per essa le più ampie solidarietà che gli fosse mai riuscito di raccogliere. Fu
questo, tra l’altro, il periodo delle migliori relazioni con il Vaticano, il
quale, dopo le riserve espresse in un primissimo momento, si schierò dalla parte
dello Stato cattolico che conduceva una "crociata" per la redenzione di un paese
copto come l’Etiopia. Anche presso la massa del popolo italiano, alla quale non
potevano non sfuggire i termini reali del problema dell’equilibrio
internazionale, i rapidi e vistosi successi militari in Africa, che l’oratoria
del Duce seppe abilmente valorizzare, sfruttando anche il mito della
"riapparizione dell’impero sui colli fatali di Roma", come disse nel trionfale
discorso del 9 maggio 1936 da Palazzo Venezia, determinarono e segnarono il
punto più alto nella parabola della fortuna politica di Mussolini e del consenso
che poté assicurarsi. e le sue conseguenze Questo successo fu però gravido di conseguenze non soltanto sul
piano internazionale, ove provocò un capovolgimento delle alleanze che il
Convegno di Stresa era riuscito faticosamente a realizzare, ma anche per quel
che concerne la persona stessa di Mussolini. Infatti, dopo il trionfo ottenuto
nella campagna d’Etiopia, da lui personalmente voluta più di ogni altro suo
collaboratore e in qualche caso contro altre forze istituzionali (sebbene di
fatto tutti, a cominciare da Badoglio, fossero stati pronti a prestare
disciplinatamente i loro servigi), Mussolini finì col convincersi che il suo
fiuto era infallibile, finì col perdere completamente il senso delle proporzioni
e della misura, si persuase di essere dotato di una particolare genialità
strategica, militare e politica, e accentuò ulteriormente la sua solitaria
dittatura personale anche se alle sue
pose gladiatorie faceva poi riscontro incertezza e abulia, accentuata dalle
peggiorate condizioni fisiche. Invece di ritenersi soddisfatto della vittoria
riportata, concentrarsi su come riparare all’enorme salasso di mezzi che la
guerra d’Etiopia era costata all’Italia e provvedere ad allentare la morsa
concedendo agli italiani almeno qualche briciola di libertà, Mussolini indurì
ulteriormente la pressione sul paese, irrigidì e accentuò la repressione del
dissenso e cominciò subito a pensare a nuove imprese belliche. A Ottavio Dinale,
suo vecchio collaboratore al Popolo d’Italia, disse: La conquista dell’Etiopia non è un punto d’arrivo, è un primo
passo che resterebbe senza senso se io non avessi la netta visione degli altri
passi che dovrò per forza fare e far fare. Come osservò il diplomatico Roberto Cantalupo, ormai Mussolini,
anche nei colloqui con una sola persona, parlava come se stesse rivolgendosi a
una grande folla. Tutti avvertivano che egli si isolava dal mondo circostante
ancor più di prima. Sono numerose le testimonianze in tal senso di uomini del
regime, che più avevano ammirato Mussolini ma che ora cominciavano a vederne i
limiti e i difetti. E naturalmente cresceva in tutti quelli che gli erano vicini
la tendenza a starsene con la bocca cucita per non incorrere nella collera del
Duce. Nel suo Diario,
in data 29 luglio 1940, Bottai parla di "due Mussolini": uno geniale,
tutto fiuto, "intelligenza smisurata e intermittente", "astro che guida il
cammino"; l’altro "furbo, piccolo, meschino, con le minime gelosie e invidie
degli uomini comuni, pronto alla bugia, all’inganno, alla frode, dispensatore di
promesse non mantenute, sleale, infido, vile, senza parola, senza affetti,
incapace di fedeltà e d’amore, capacissimo di sbarazzarsi calcolatamente dei
suoi seguaci più fidi". Guido Leto, capo dell’OVRA, ha scritto: La tendenza di Mussolini a non prendere mai una decisione
propria e a imporla quando si trovava di fronte a tesi contrastanti si
aggravò sempre più col tempo, tanto che molti ritenevano che fosse causata un
po’ dalle sue condizioni di salute che non furono mai brillanti e che gli
toglievano l’energia per affrontare recriminazioni, proteste o altro. Notiamo che sulle condizioni di salute del Duce, che furono
sempre segrete, circolarono infinite voci, che avevano una base di verità, ma
anche molto di fantasioso odi inventato. Comunque, le sue crisi peggiori il Duce
le passò nel 1924 (dopo il delitto Matteotti) e nel 1942-43 (quando la guerra
volgeva al peggio). Sembra abbastanza plausibile che sui suoi guai fisici
sostanzialmente un’ulcera duodenale
s’innestarono fatti di carattere
psicosomatico. Dalla guerra d’Etiopia fino alla seconda guerra mondiale, per
ordine di Starace ma sotto la suprema regia di Mussolini, il conformismo dilagò
e divenne più imperante che mai e la censura ancora più opprimente di prima.
Dopo la conquista dell’Etiopia e la proclamazione dell’Impero, le riunioni e le
adunate a cui partecipava Mussolini venivano aperte da Starace, il quale
esclamava: "Salutate nel Duce il fondatore dell’Impero!". Nel giugno 1937 il
ministero della Stampa e Propaganda cambiò denominazione e divenne ministero
della Cultura Popolare, detto volgarmente Minculpop, che trasformò i
suggerimenti ai giornali in veri e propri ordini, la maggior parte dei quali
minutissimi e quanto mai ridicoli. Durante e subito dopo l’impresa d’Etiopia, non fu Hitler a fare
avances a Mussolini, ma questi
a.quello: avances accolte
dapprima con un certo distacco, ma poi sempre più accettate per quanto potevano
essere sfruttate. Hitler colse infatti il momento propizio per introdurre truppe
tedesche nella Renania smilitarizzata. Il primo aprile 1936 Mussolini ordinava
alla stampa italiana di assumere un tono nettamente filotedesco, mentre il capo
della polizia Arturo Bocchini firmava un patto segreto con il suo omologo
Himmler ed ebbero inizio conversazioni tra gli Stati Maggiori dei due
eserciti. Nel giugno 1936 Mussolini nominò ministro degli Esteri Galeazzo
Ciano, che era allora contrariamente a
come diverrà più tardi, del resto tra ripetute oscillazioni
fanaticamente filotedesco. A 37 anni il genero del
Duce diventava il secondo uomo del regime e, come ha scritto Grandi,
"l’effettivo padrone d’Italia". Segnaliamo anche, a questo punto, che data dal 1936 l’inizio
della relazione di Mussolini con Claretta Petacci, lei, allora, ventiseienne,
lui cinquantatreenne: fu, da una parte e dall’altra, una passione ardente,
l’unico vero amore nella vita del Duce. Dei favori che derivavano loro da quella
relazione approfittarono largamente i parenti di Claretta, personaggi ambigui se
non addirittura loschi: il padre Francesco, medico, il fratello Marcello,
affarista, la sorella Myriam, attricetta cinematografica, in arte Myriam di San
Servolo.
La guerra
d'Etiopia
La guerra prese concretamente il via al principio del 1936, con Badoglio
che con il grosso dell’esercito si muoveva da nord, mentre Graziani, dal marzo
1936, comandante del corpo coloniale della Somalia, avanzava a sud, contro forze
militari etiopiche clamorosamente inferiori, soprattutto come armamento e in
modo particolare per quanto riguarda l’aviazione, praticamente
inesistente dalla parte dell’imperatore I-Iailé Selassié. La conquista
dell’Etiopia realizzata facilmente il
5 maggio 1936 Badoglio occupò Addis Abeba ,
fu poi contrassegnata dalla politica terroristica, con vere
e proprie stragi, instaurata da Graziani, rimasto sul posto, dopo che ebbe
subito un attentato. Negli anni 1936-37 continuò aspra la repressione, per la
quale Mussolini autorizzò Graziani "a iniziare e condurre
sistematicamente una politica del terrore e dello sterminio contro i ribelli e
le popolazioni complici".