Benito Mussolini
La guerra in Grecia

Il 27 ottobre 1940 Ciano firmava a Berlino, con Ribbentrop e l’ambasciatore giapponese, il Patto tripartito, che abbozzava la spartizione del mondo fra le tre potenze. Seguì, il 4 ottobre, un lungo colloquio al Brennero tra il Duce e il Fùhrer.

Ora Mussolini riprese il progetto di attaccare nei Balcani, incoraggiato da Ciano, ansioso di estendere il suo potere sulla Grecia: il tutto sempre all’insaputa dei Capi di Stato Maggiore affinché la gloria delle future attese vittorie potesse essere attribuita soltanto al Duce e a suo genero. Il proposito di attaccare e occupare la Grecia fu rafforzato in Mussolini dall’invasione tedesca di parte della Romania, dopo che il caloroso appello di Hitler alla Gran Bretagna in un discorso al Reichstag il 19 luglio 1940 era caduto nel vuoto e l’Inghilterra, al contrario, ribadiva in vari modi la sua determinazione a lottare. Mussolini non tenne conto della raccomandazione del Fùhrer di abbandonare i progetti contro la Jugoslavia e la Grecia per concentrare ogni sforzo contro la Gran Bretagna. Ma la battaglia d’Inghilterra volgeva a favore di quest’ultima e vane risultarono le insistenze italiane e tedesche su Franco perché la Spagna si unisse in guerra all’Asse.

Il maresciallo Graziani apprese dell’attacco iniziato contro la Grecia da un notiziario ascoltato alla radio. La faciloneria e il dilettantismo con cui fu preparata l’offensiva contro la Grecia ebbero dell’incredibile: non si tenne conto della reale ricettività dei porti adriatici in cui sarebbero dovute sbarcare le truppe italiane, né delle difficoltà create dall’imminente stagione delle piogge, né erano disponibili carte topografiche di quell’aspra regione montagnosa, né i soldati erano dotati di uniformi pesanti, adatte a quelle temperature. Ancora una volta, come già al tempo dell’invasione e dell’annessione dell’Albania, ma quella volta con successo e questa volta no, fu fatto affidamento sull’opera di corruzione del nemico, per la quale erano state profuse ingenti somme. Poiché nessun motivo valido poteva giustificare l’attacco italiano alla Grecia, vennero organizzati incidenti di frontiera tra l’Albania e la Grecia in modo da poter sostenere che l’Italia era minacciata da un attacco greco e dovevà perciò difendersi.

Il regista dell’operazione fu Galeazzo Ciano, il quale era troppo vanesio e chiacchierone per tenere per sé la data dell’attacco, fissata al 28 ottobre 1940, all’insaputa dei tedeschi: quella data fu conosciuta in anticipo dai greci, perdendosi così il fattore della sorpresa, e anche, con una settimana di anticipo, dai tedeschi. Hitler si affrettò a calare in Italia, ma giunse, anche se di pochissimo, troppo tardi: l’avventura italiana in Grecia era cominciata. Il Fùhrer giunse in Italia accompagnato dal Capo di Stato Maggiore della Wehrmacht maresciallo Keitel, ma Mussolini non volle accanto a sé, per le conversazioni militari, il proprio Capo di Stato Maggiore Badoglio, che non fu neppure informato di quell’incontro. Risulta che, al di là dei suoi sforzi per non ferire la suscettibilità di Mussolini, Hitler era furioso per quella iniziativa italiana, che, in caso d’insuccesso, avrebbe danneggiato l’Asse agli occhi degli Stati neutrali e dato agli aerei inglesi una base in territorio greco per i bombardamenti dei campi petroliferi di Ploesti. Un mese dopo, il 18 novembre, con frase poi divenuta tristemente famosa, il Duce dichiarò: "Spezzeremo le reni alla Grecia". Ma l’insuccesso paventato da Hitler si awerò a usura. Nel giro di una settimana i greci respinsero le truppe italiane in territorio albanese e nei successivi tre mesi esse si trovarono a dover combattere, tra la neve e il fango, una disperata guerra difensiva. Per di più, l’11 novembre alcune tra le maggiori corazzate italiane furono messe fuori combattimento da un attacco aereo inglese nel porto di Taranto. Il giorno prima, cioè il 10 novembre, Mussolini, in una riunione a Palazzo Venezia con Badoglio e i capi delle tre armi, disse, dopo i primi insuccessi sul fronte greco-albanese, che bisognava "disorganizzare la vita civile della Grecia, seminando il panico dovunque. Quindi voi dovete scegliere, chilometro quadrato per chilometro quadrato, la Grecia da bombardare". E ancora: "Tutti i centri urbani superiori ai 10.000 abitanti devono essere distrutti e rasi al suolo". Nei suoi Diari Goebbels commentava con aperto disprezzo l’"umiliazione" e l’"ignominia" di cui si coprivano gli italiani e definiva l’impresa in Grecia "una spaventosa orgia di dilettantismo", rincarando ancora la dose con la frase: "L’Italia sta diventando il nostro tallone d’Achille". Di fronte al bruciante scacco in Grecia, il maresciallo Badoglio trovò il coraggio di dire la verità sulle condizioni dell’esercito italiano, sull’impreparazione dell’impresa, sul dilettantismo di chi s’intestardiva a voler tutto dirigere e comandare. Il 14 dicembre 1940 fu allora dimesso dalla carica di Capo di Stato Maggiore Generale e sostituito dal generale Ugo Cavallero, che assunse anche il comando in Albania. In Grecia (o per meglio dire in Albania, poiché le truppe italiane, partite per conquistare la Grecia, si erano dovute ritirare in territorio albanese) il generale Ubaldo Soddu considerava la situazione così disperata da consigliare di chiedere ai greci un armistizio. Ma Mussolini non cedette, ordinò che i soldati morissero sul campo piuttosto che cedere un altro metro di terreno. Dovette però riconoscere, lo si apprende dal Diario di Ciano, che "gli italiani del 1914 erano migliori di questi di oggi. Non è un bel risultato per il regime, ma è così". Così egli scaricava le sue responsabilità su altri, e magan su tutto il popolo italiano. E si sfogava minacciando una "terza ondata".

In quel gennaio 1941 Mussolini inviò al fronte numerosi ministri e gerarchi, tra i quali Ciano, Grandi, Bottai, Ricci, creando così una situazione ancora più caotica nella pubblica amministrazione.. 1119-21 gennaio 1941 il Duce s’incontrò con il Ftìhrer a Berchtesgaden, dove quest’ultimo annunciò l’invio di forze tedesche sia sul fronte greco che in Libia.

Il 2 marzo 1942, dopo aver concentrato in Albania ben seicentomila uomini, e nel momento in cui Cavallero gli assicurava che era maturata la possibilità di una offensiva vittoriosa, Mussolini si recò personalmente in Albania, dove rimase tre settimane, sempre nella speranza di essere lui il grande comandante supremo, il vincitore. Ma la prospettiva della vittoria si rivelò insussistente: l’offensiva per suo ordine scatenata il 9 marzo costò enormi perdite e cinque giorni dopo dovette essere sospesa. Alla fine il Duce dovette tornare a Roma con la coda tra le gambe, mascherando però il nuovo scacco con frasi roboanti quanto false sulla vittoria ormai ottenuta sull’esercito greco.

Alla fine di marzo 1941 la Marina italiana subì una sconfitta nelle acque della Grecia al largo di Capo Matapan, in cui gli inglesi adoperarono i più moderni e sofisticati congegni; e ancora una volta, malgrado le pesanti perdite subite dalle navi italiane, Mussolini tentò di far passare quella sconfitta per una vittoria.

A questo punto non fu più possibile rifiutare l’aiuto tedesco. Nell’aprile 1941 i tedeschi attaccarono in Grecia, e in due settimane ne liquidarono la resistenza. Ultima beffa per Mussolini, i greci si arresero ai tedeschi e non agli italiani, i quali, del resto, erano ancora fermi alla loro frontiera, sebbene il Duce affermasse che l’esercito greco era già in rotta, a opera degli italiani, quando l’attacco tedesco era cominciato. Il prestigio dell’Italia fascista e di Mussolini come suo capo politico e militare subì un colpo mortale, da cui non poté più riprendersi. L’armistizio fra italo-tedeschi e greci, firmato a Salonicco il 24 aprile 1941, pose fine alle ostilità.

Per non ferire ulteriormente l’orgoglio di Mussolini, i tedeschi lasciarono che l’amministrazione della Grecia occupata fosse affidata agli italiani. L’ordine di Mussolini fu di usare il pugno di ferro, ma ciò non fece che inasprire l’ostilità della popolazione greca, far insorgere una endemica resistenza e obbligare oltre cinquecentomila soldati a logorarsi in una guerriglia, in cui da parte italiana furono messe in atto misure di estrema crudeltà, preludio di quelle che i tedeschi avrebbero usato in futuro nell’Italia da essi occupata.


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