Benito Mussolini Dopo il colloquio decisivo avuto con Vittorio Emanuele
III il 6 settembre 1924, Mussolini iniziò una
resistenza passiva nei confronti dell’opposizione, che la Corona contribuiva a
rendere inoperante, sperando che l’iniziativa promessa venisse dal Quirinale.
Dopo numerose dichiarazioni di sprezzo per la libertà e per l’opposizione, dopo
che Mussolini ebbe compiuto tra ottobre e novembre un giro propagandistico, con
numerosi discorsi, nell’Italia settentrionale, dopo che il voto del
5 dicembre al Senato ebbe dato un
risultato per lui positivo, anche se non così favorevole come in precedenza (vi
furono 54 voti contrari e 35 astenuti), e dopo che il 31 dicembre un
gruppo di consoli della Milizia, in un drammatico colloquio,
posero a Mussolini l’aut-aut, o egli abbandonava la politica incerta e
possibilista o lo avrebbero sconfessato, il segno
che la tempesta era ormai superata Mussolini lo diede col discorso del 3
gennaio 1925 alla Camera, al quale egli fu spinto anche dalla diffusione del
memoriale con cui Cesare Rossi, uno dei suoi più intimi collaboratori, lo accusava
di essere il responsabile dei peggiori crimini del fascismo. Con
quel discorso, giustamente considerato come tale da segnare una svolta saliente
nella storia del fascismo e dell’Italia, Mussolini annunciò le misure restrittive
che infatti il governo si accinse subito a prendere e che, susseguitesi nel corso del
1925 e del 1926, e chiamate "leggi fascistissime", mutarono
definitivamente la struttura costituzionale e parlamentare dello Stato italiàno e
attuarono in pieno la dittatura del fascismo e sempre di
più entro di essa venne realizzandosi la dittatura personale di Mussolini. Un altro attentato Mussolini subì il 7
aprile 1926 a opera di una squilibrata zitella inglese, Violet Gibson; e il
giorno dopo partì, come precedentemente stabilito, per la Tripolitania, per
affermare il programma coloniale del fascismo. Altro attentato il settembre
1926, quando contro la sua automobile l’anarchico Gino Lucetti lanciò, nel
piazzale di Porta Pia a Roma, una bomba a mano. Lucetti sarà poi condannato a
trent’anni di reclusione. Ricordiamo ancora, sia pure con un salto di parecchi
anni, i due episodi legati ai nomi di Michele Schirru e di Angelo Sbardellotto.
Il primo, un anarchico sardo rientrato in Italia da New York, nel 1931 fu
arrestato e dichiarò che aveva avuto l’intenzione di attentare alla vita del
Duce: fu condannato a morte e fucilato. Il secondo, arrestato l’anno dopo mentre
si aggirava in piazza Venezia, fece la stessa ammissione, e fu anch’egli
fucilato. In seguito all’attentato assai misterioso
che venne attribuito al giovinetto Anteo Zamboni, linciato sul posto a Bologna
il 31 ottobre 1926, Mussolini sciolse tutti i partiti — a eccezione,
naturalmente, di quello fascista —, soppresse i giornali antifascisti, istituì
la pena del confino, introdusse la pena di morte, creò il Tribunale Speciale per
la Difesa dello Stato e la polizia segreta (OVRA), proclamò la decadenza di 120
deputati d’opposizione accusati di aver disertato i lavori parlamentari (come se
si trattasse di reato punibile!), compresi però i comunisti che a Montecitorio
erano rientrati tentando di far sentire la loro voce di opposizione. Tutti
questi provvedimenti, che tra l’altro aumentavano i poteri dell’esecutivo sul
legislativo, passarono in novembre alla Camera e al Senato senza che fosse
consentita la minima discussione. Durissime condanne furono comminate agli
oppositori (da 20 a 23 anni di carcere a Gramsci, Terracini, Scoccimarro, ma
furono centinaia gli antifascisti che riempirono le carceri). Al processo, poi,
Zaniboni e il generale Capello furono condannati a 30 anni di carcere. In
compenso Mussolini amava far mostra di umanità intervenendo talvolta col
graziare oppositori condannati: manifestazioni anche queste di una concezione
che faceva coincidere lo Stato con la sua persona. Le investigazioni e la
repressione furono attuate soprattutto dagli uffici speciali di polizia che
costituirono l’OVRA, la cui sigla, sempre rimasta misteriosa, fu inventata
personalmente da Mussolini. Col novembre 1926 si può dire che si abbia
in Italia la fine di ogni vita politica e l’inizio del "regime". Comincia la
"fascistizzazione" di tutte le istituzioni e di tutti i settori dell’attività
nazionale: stampa, scuola, magistratura, diplomazia, esercito, organizzazioni
giovanili e professionali. La soppressione di libere elezioni completa
l’opera. Come uomo di governo, Mussolini si rivelò
fin dall’inizio un grande propagandista, grazie alla sua indubbia capacità
giornalistica, ma anche un grande mistificatore, generoso di promesse
mirabolanti, come quando annunciò che la questione meridionale sarebbe stata
risolta, e in Sicilia, dove arrivò a bordo di una corazzata, dichiarò che,
perfettamente informato di tutti i problemi dell’isola, avrebbe mutato la sua
povertà in ricchezza. Nessuno di questi e altri consimili impegni fu mantenuto,
anche se in Sicilia la mafia fu affrontata con nuovo vigore dal prefetto Mori,
che però venne rimosso dall’incarico e trasferito quando stava per giungere ai
vertici dell'organizzazione mafiosa.
Le "Leggi
Fascistissime"
Nel gennaio 1925 fu
approvata alla Camera e al Senato la nuova legge elettorale basata sul ritorno
al sistema uninominale. Nel febbraio Mussolini fù costretto dagli estremisti a
nominare segretario del partito fascista Roberto Farinacci, che ne era il capo
(rimase poi in carica fino al 30 marzo 1926). Fù completamente soffocata la
libertà di stampa, dapprima con i sequestri, poi, come diremo, con misure più
radicali. Intanto la violenza contro gli oppositori si scatenava ancora una
volta in modo selvaggio: Amendola, principale capo dell’opposizione dopo la
morte di Matteotti, fù nuovamente aggredito, il 20 luglio 1925, da una squadra
guidata da Carlo Scorza, futuro segretario del partito, e morì nell’aprile
successivo in Francia; la famiglia Rosselli subì tre "azioni punitive"; Filippo
Turati e Gaetano Salvemini furono forzati a seguire in esilio Sturzo e
Nitti.
Dell’aggressione a Piero Gobetti si è già
detto. Il 4 ottobre 1925 si ripeté a Firenze una strage di antifascisti come
quella del 18 dicembre 1922 a Torino (la "notte di San Bartolomeo"). Anche
alla Camera dei deputati, del resto chiusa per
lunghi periodi agli oppositori i fascisti, non
permettevano praticamente più di prendere la parola. Mussolini si esprimeva
contro "il parlamentarismo parolaio", che, diceva, gli faceva solo perdere
tempo.
Approfittando dell’attentato progettato dal deputato Tito
Zaniboni, denunciato in anticipo da una spia (4 novembre 1925), Mussolini fece
occupare le logge massoniche, sciolse il Partito Socialista Unitario e ne
soppresse l’organo La Giustizia,
s’impadronì del Corriere della Sera e della Stampa, sciolse centinaia di associazioni, decretò il
licenziamento di migliaia di impiegati statali, tolse la cittadinanza agli esuli
politici, varò la legge sulle attribuzioni del primo ministro e capo del Governo
(non più presidente del Consiglio), potenziò la figura del prefetto e abolì
l’elettività dei sindaci.