Benito Mussolini
Verso la Fine


Il 14 giugno 1944, dopo una dura battaglia a Cassino, nella quale andò distrutto il celebre monastero, e dopo che per nove mesi i cittadini romani avevano patito, con le retate, le deportazioni, la caccia agli ebrei, la strage delle Fosse Ardeatine, anche la fame, gli Alleati liberarono Roma, donde i tedeschi si ritirarono senza ingaggiare battaglia, cosa che Mussolini deplorò, anche perché voleva vendicarsi dei romani per le manifestazioni antifasciste del 25 luglio e sperava che, se battaglia ci fosse stata, essi ne sarebbero stati, numerosi, le vittime.
Il giorno dopo gli Alleati sbarcavano in Normandia.
In agosto i tedeschi persero anche Firenze, duramente provata dalle distruzioni, e il fronte si stabilizzò lungo la "linea gotica", dove la guerra avrebbe ristagnato fino alla primavera del 1945. Intanto la guerriglia partigiana e antipartigiana, alla quale ultima partecipavano attivamente, con i tedeschi, i vari reparti fascisti (in modo particolare le famigerate Brigate Nere), si faceva sempre più aspra, con scontri aperti tra le parti opposte, rastrellamenti tedeschi e fascisti, stragi di popolazioni inermi, compresi vecchi, donne e bambini, in varie località italiane (basti ricordare Marzabotto e Sant’Anna di Stazzena). Mussolini approvava le rappresaglie.

C’è stato chi ha sostenuto che forse la Repubblica di Salò costituì un diaframma tra i tedeschi e gli italiani nelle zone occupate dai primi, diaframma che sarebbe valso ad attenuare la loro crudele ferocia. Ma questa tesi è smentita dai fatti: i "repubblichini", come con significativa deformazione linguistica venivano chiamati gli aderenti al fascismo di Salò, collaborarono con i tedeschi nella lotta antipartigiana, nelle terribili repressioni, nelle rappresaglie e nelle stragi; e in qualche caso andarono perfino al di là degli stessi tedeschi. Del resto la cosiddetta Repubblica Sociale Italiana contava ben poco: la somma e la sostanza dei poteri erano in Italia nelle mani dei comandi tedeschi. Ai "camerati" italiani essi affidavano il compito più odioso, quello delle funzioni poliziesche di basso rilievo e l’attiva partecipazione alla lotta contro il movimento partigiano. Ma se la Repubblica di Salò contava poco, entro di essa Mussolini contava pochissimo. Chi comandava, semmai, era Pavolini, e Mussolini era sempre più succubo del partito. La sua non era nemmeno più una figura decorativa, poiché egli non si faceva più vedere se non molto raramente, sempre rinchiuso nella sua villa a Gargnano.

La sua famiglia non gli era più d’aiuto. La moglie Rachele gli faceva terribili scenate di gelosia per la sua ormai notoria relazione con CIaretta Petacci. La figlia Edda, ostilissima; il figlio maggiore, Vittorio, pur aderendo calorosamente alla Repubblica di Salò, s’interessava soprattutto di cinema, l’altro figlio, Romano, di jazz. Lui, il Duce, era diventato più dimesso, aveva abbandonato le pose di un tempo, si apriva di più con i pochi interlocutori, coi quali si mostrava più affabile. Sembrava rendersi conto di quanto lo avesse danneggiato l’adulazione da cui era stato circondato, del resto da lui, in passato, sempre incoraggiata. Politicamente, anche se in modo del tutto astratto, tornò al programma socialista della gioventù: ma esso rimase velleitario e confinato nei suoi pensieri. Difficile dire quanto fosse reale il suo ritorno alla fede cattolica, ma siamo inclini a pensare che, nelle condizioni di disperazione in cui si trovava, fosse sincero nell’invocare Dio.


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