Io venia pien d'angoscia a rimirarti (Longanesi 1990 e Marsilio 1998)
Il testo del risvolto di copertina:
Recanati, 1813. In un austero palazzo nobiliare un ragazzo forse troppo curioso, Orazio Carlo, prende a tenere un diario, nel quale descrive le azioni e riporta le conversazioni del fratello maggiore di un solo anno, Tardegardo Giacomo. Quali i motivi di tanto trepido interesse e di tanta puntigliosa attenzione? Sono l'atteggiamento insolito e il comportamento misterioso del giovane Tardegardo, che si diletta di poesia, ha tranquille abitudini da erudito ma, al tempo stesso, è come roso da un'irrequietezza sconvolgente. Ed ecco alternarsi, nelle pagine del diario, l'affettuosa rivisitazione della vita e dell'opera di un giovane che potrebbe anche diventare un grande poeta e gli elementi di un romanzo giallo, con tanto di persone scomparse, di oggetti spariti, di delitti efferati, di strane simbologie. Al centro del mistero è un mito ricorrente in varie culture, quel delirio che induce l'uomo a imitare il comportamento dell'animale predatore o addirittura a trasformarsi in esso. Un mito che affascina il giovane Tardegardo e al quale egli si applica con habitus scientifico, ma anche un mito che lo coinvolge - non foss'altro per la sua devozione alla Luna - forse troppo da vicino. Il rischio si annida nelle silenziose sale del palazzo avito, la quiete recanatese è turbata da mostruosi eventi, riaffiorano persino antiche vicende di sangue dalla genealogia di famiglia. Riuscirà Orazio a sciogliere l'enigma? Riuscirà Tardegardo - che i posteri chiameranno semplicemente Giacomo - a conciliare tensioni dell'arte e pulsioni della vita? Un romanzo che, per l'attenzione con cui riprende i modi e le forme della prosa italiana del primo Ottocento, è un "falso" in piena regola, un godibilissimo esercizio di fantaletteratura ma soprattutto una felice fusione fra vita e stile.