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Recensione del testo "L'architettura dell'intelligenza" di Derrick de Kerckhove [Ddek].

Email:paolo.diociaiuti@inwind.it

 

Certezze e fiducia nella Transmodernità:

L’idea di fondo, attorno alla quale Ddek^ elabora molti dei ragionamenti contenuti in questo testo, credo possa essere individuata nella certezza del fatto che stiamo entrando in una nuova ERA, in una nuova fase epocale dell’umanità. Un altro forte elemento ricorrente in Ddek è la fiducia nelle possibilità che si offrono in questo passaggio critico, nel fatto che la crisi possa essere risolta nella costruzione di nuovi valori e di condizioni di vita migliori per parti sempre più ampie dell’umanità.

Il nome dell’era nella quale stiamo entrando è TRANSMODERNITA’ , o come suggeriscono altri autori, SURMODERNITA’. Essa è caratterizzata in primo luogo da evidenti cambiamenti dei nostri rapporti con la tecnologia, che passa da semplice strumento a “modificatore” dell’ambiente in cui viviamo, dei modi in cui entriamo in relazione e addirittura del significato stesso da assegnare ad alcuni termini, primo fra tutti quello di SPAZIO. Ddek si incarica di mostrarci come queste trasformazioni “accelerate” si vadano producendo in maniera crescente e come parallelamente alcuni concetti che sembravano “immobili” nel loro significato, come appunto spazio, risultino invece profondamente modificati. Come conseguenza di questi rivolgimenti di significati e di forme, la vita degli individui in età transmoderna si svolgerà  sempre più su livelli differenti, non solo su quello “reale” delle cose, ma anche su livelli “virtuali” come il Cyberspazio. Come fa osservare Ddek, questi piani “virtuali” su cui ci muoviamo con crescente abilità non sono meno importanti del piano delle cose “reali” perchè l’attività che vi svolgiamo è pur sempre parte integrante della nostra vita e l’impiego di elementi del “virtuale” nel “reale” può contribuire in maniera significativa al modo in cui  “realmente” viviamo. A conferma della concretezza del “virtuale” in più punti del testo Ddek sottolinea, non a caso, la vicinanza di ciò che è virtuale a ciò che è mentale. Credo che nessuno possa sostenere la non concretezza del mentale (se non altro per l’evidenza dei risultati dell’attività mentale) e quindi lo stesso vale per una concretezza del “virtuale”. Come scrive Roy Ascott “dovremo progressivamente vivere in due mondi, quello reale e quello virtuale e in molte realtà, ad un tempo culturali e spirituali”.

Molteplicità dello spazio:

L’era della transmodernità propone all’attenzione dei progettisti un “oggetto” dell’architettura profondamente modificato rispetto alle epoche precedenti. Lo spazio che siamo chiamati a manipolare e a vivere non è più quello tradizionale, almeno non è più solo quello. Come scrive Margaret  Wertheim, nella citazione posta in apertura da Ddek, “noi  stiamo assistendo alla nascita di un nuovo dominio, di un nuovo spazio che prima semplicemente non esisteva”. Questo nuovo concetto di spazio, come nuovo “oggetto” dell’architettura, è caratterizzato dal fatto di essere molteplice. Per Ddek noi viviamo in e con tre principali ambienti spaziali: mente, mondo e network. Esistono tre tipi di spazio, in qualche maniera coestensivi: spazio mentale, spazio reale e spazio virtuale, il Cyberspazio. Mentre i primi due tipi di spazio, il mentale e il reale, sono da sempre “materiali” di architettura, il Cyberspazio è l’elemento nuovo caratterizzante la nuova era. L’autore dedica molte parti del testo alla illustrazione dei caratteri e, soprattutto, delle interrelazioni tra i tre tipi di spazio. Innanzi tutto non dobbiamo dubitare del fatto che il Cyberspazio, cioè lo spazio virtuale, sia un vero e proprio spazio. Infatti, anche nel caso dello spazio virtuale ricorrono quelle condizioni necessarie a qualificare gli spazi: possibilità di interazione, possibilità di vivibilità/occupabilità, capacità di costruire comunità, opportunità di gestione del tempo e dello spazio. Se qualche dubbio sussiste a proposito della possibilità di “occupare” il Cyberspazio, Ddek provvede a sgombrare ogni dubbio in proposito: anche il Cyberspazio è occupabile perché vi proiettiamo in maniera più o meno consapevole la nostra presenza. Nello stesso passaggio del testo, Ddek stabilisce subito con chiarezza la “vicinanza” tra spazio mentale e spazio virtuale. “E’ la virtualità, non la spazialità [nel senso della materialità] del Cyberspazio, che lo rende simile allo spazio mentale”, anche lo spazio mentale è virtuale e sia il mentale che il Cyberspazio sono completamente differenti dallo spazio reale. Ciò non toglie che dal rapporto continuo e dialettico tra gli spazi virtuali e quello reale possano scaturire esiti positivi, anzi è proprio la ricerca di questo tipo di interazione la chiave di volta della nuova architettura, la Cybertettura o architettura dalla connettività.

Mescolare gli spazi e raddoppiare il reale :

Non dobbiamo pensare ad una sostituzione del reale con il virtuale. Al contrario, bisogna cercare di combinare, mescolare i vari tipi di spazio. Con il principio della “materialità” Ddek sottolinea la assoluta necessità di ancorare il virtuale nel reale. Questo si rende necessario per vari motivi. Il gusto per il reale aumenta con la virtualizzazione. Inoltre, ed è il motivo principale, la combinazione di realtà virtuale con il reale porta ad una realtà “aumentata”, di livello superiore. L’estensione virtuale di strutture reali consente nuove forme di relazionalità e di comunità, per esempio indipendenti dalla distanza fisica degli interlocutori. Ancora: il Cyberspazio, per sua costituzione, è contenitore di memoria. Questa caratteristica lo rende adatto a restituire nel reale brani di memoria, di storia, altrimenti irrimediabilmente perduti. In maniera sintetica Ddek esprime queste idee sottoforma di formula: RA = R + RV. Dove RA è la realtà “aumentata”, R è il reale ed RV è lo spazio virtuale. Quindi l’impiego del virtuale nel reale porta ad un raddoppio, un rafforzamento del reale e mai ad una sua sostituzione.

L’architettura dell’intelligenza = Architettura connettiva:

Come conseguire questi risultati? Come si combinano i tre tipi di spazio? Insomma: quale architettura per l’epoca transmoderna? Come elaborare un concreto rinnovamento del progetto architettonico?

Scrive Ddek: “L’architettura dell’intelligenza è l’architettura della connettività, è l’architettura che mette insieme i tre principali ambienti spaziali in cui e con cui oggi viviamo: mente, mondo e network”. Come sintetizza bene Maria Luisa Palumbo in “Inhabiting Media”, sono tre le caratteristiche di questa nuova architettura connettiva che complessivamente emergono dal testo di Ddek. Il primo carattere consiste nel fatto che le strutture reali – materiali siano dotate di estensioni virtuali. Ciò corrisponde all’idea che l’architetto ha a disposizione nuovi materiali da costruzione che fanno parte del Cyberspazio, che sono “immateriali” ma possono produrre sostanziali modifiche nella realtà “materiale” se manipolate opportunamente. Il bit si trasforma in materia architettonica e l’estensione virtuale può produrre un innalzamento di livello dello spazio reale secondo la formula RA = R + RV.

Il secondo carattere della Cybertettura è quello di essere una architettura di interfaccia “dispositivo attivo di organizzazione di flussi di input – output”*. Qui il discorso si salda alla profonda riflessione di Ddek sulle superfici come luogo di integrazione tra reale e virtuale, sul concetto di “soglia”, sulla concettualizzazione degli schermi e sulle interazioni tra menti e schermi, sia al livello individuale che collettivo. Come scrive Ddek, “lo schermo è il punto di coincidenza fra lo spazio fisico dell’hardwere, lo spazio mentale della mente dell’utente e il Cyberspazio … Gli schermi di proiezione uniscono i tre ambienti spaziali di base, danno una nuova tendenza all’architettura”. La superficie, la pelle dell’architettura può assumere, quindi, la funzione di “schermo” inteso proprio come punto di intersezione tra i tre tipi di spazio. Toyo Ito definisce il rivestimento architettonico come membrana flessibile ed elastica, come epidermide, e le assegna il nome di “vestito mediale”.

Il terzo carattere dell’architettura connettiva, strettamente legato ai primi due, è quello di essere una architettura di interconnessioni, “sistema di interscambio [dinamico], connessione fra qui ed altrove, individuale e collettivo”*. Consentendo di stabilire relazioni a distanza, tra individui e oggetti fisicamente e temporalmente lontani, la Cybertettura può essere lo strumento per creare una nuova forma di relazionalità, un nuovo senso di comunità. Per Ddek l’architettura connettiva tende a strutturare connessioni, progettare forme e strutture di telepresenza e collaborazione nelle reti e fra i luoghi reali. In questo senso, come scrivono Dodge e Kitchin, “lo spazio nel Cyberspazio  è puramente relazionale, sia geometricamente che socialmente”.

La superficie architettonica fa da ponte verso il Cyberspazio e, contemporaneamente, verso lo spazio mentale degli individui. Come conseguenza, la ricerca architettonica si sposta decisamente in superficie. La superficie acquista la grande profondità degli schermi connessi, attraverso i quali penetriamo strati e strati di informazioni in una interazione costante con la nostra mente. “L’architettura come nuova infrastruttura, dispositivo tecnologico”* consente l’accesso al Cyberspazio e nello stesso tempo consente allo spazio virtuale un accesso in quello reale: diventa “dispositivo materiale di accesso all’immateriale”*.       

Forma e Informazione sono i materiali da costruzione dell’architettura della nuova era. Come nota M. Novak l’immaterialità della Informazione contamina ciò che in architettura è sempre stato considerato solido e cristallino e lo rende “liquido”.

 

^Ddek = Derrick de Kerckhove.

*Maria Luisa Palumbo, Inhabiting Media.

 

immagini di Progetti di Gianni Ranaulo: esempi di architettura connettiva.

                                                                                                                    

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