Certezze e fiducia nella Transmodernità:
L’idea
di fondo, attorno alla quale Ddek^ elabora molti dei ragionamenti
contenuti in questo testo, credo possa essere individuata nella
certezza del fatto che stiamo entrando in una nuova ERA, in una
nuova fase epocale dell’umanità. Un altro forte elemento ricorrente in
Ddek è la fiducia nelle possibilità che si offrono in questo
passaggio critico, nel fatto che la crisi possa essere risolta nella
costruzione di nuovi valori e di condizioni di vita migliori per parti
sempre più ampie dell’umanità.
Il nome
dell’era nella quale stiamo entrando è TRANSMODERNITA’ , o come
suggeriscono altri autori, SURMODERNITA’. Essa è caratterizzata in primo
luogo da evidenti cambiamenti dei nostri rapporti con la tecnologia, che
passa da semplice strumento a “modificatore” dell’ambiente in cui
viviamo, dei modi in cui entriamo in relazione e addirittura del
significato stesso da assegnare ad alcuni termini, primo fra tutti
quello di SPAZIO. Ddek si incarica di mostrarci come queste
trasformazioni “accelerate” si vadano producendo in maniera crescente e
come parallelamente alcuni concetti che sembravano “immobili” nel loro
significato, come appunto spazio, risultino invece profondamente
modificati. Come conseguenza di questi rivolgimenti di significati e di
forme, la vita degli individui in età transmoderna si svolgerà sempre
più su livelli differenti, non solo su quello “reale” delle cose, ma
anche su livelli “virtuali” come il Cyberspazio. Come fa osservare Ddek,
questi piani “virtuali” su cui ci muoviamo con crescente abilità non
sono meno importanti del piano delle cose “reali” perchè l’attività che
vi svolgiamo è pur sempre parte integrante della nostra vita e l’impiego
di elementi del “virtuale” nel “reale” può contribuire in maniera
significativa al modo in cui “realmente” viviamo. A conferma della
concretezza del “virtuale” in più punti del testo Ddek sottolinea, non a
caso, la vicinanza di ciò che è virtuale a ciò che è mentale. Credo che
nessuno possa sostenere la non concretezza del mentale (se non altro per
l’evidenza dei risultati dell’attività mentale) e quindi lo stesso vale
per una concretezza del “virtuale”.
Come scrive Roy
Ascott “dovremo progressivamente vivere in due mondi, quello reale e
quello virtuale e in molte realtà, ad un tempo culturali e spirituali”.
Molteplicità dello spazio:
L’era
della transmodernità propone all’attenzione dei progettisti un “oggetto”
dell’architettura profondamente modificato rispetto alle epoche
precedenti. Lo spazio che siamo chiamati a manipolare e a vivere non è
più quello tradizionale, almeno non è più solo quello. Come scrive
Margaret Wertheim, nella citazione posta in apertura da Ddek, “noi
stiamo assistendo alla nascita di un nuovo dominio, di un nuovo spazio
che prima semplicemente non esisteva”. Questo nuovo concetto di
spazio, come nuovo “oggetto” dell’architettura, è caratterizzato dal
fatto di essere molteplice. Per Ddek noi viviamo in e con tre
principali ambienti spaziali: mente, mondo e network. Esistono tre
tipi di spazio, in qualche maniera coestensivi: spazio mentale, spazio
reale e spazio virtuale, il Cyberspazio. Mentre i primi due tipi di
spazio, il mentale e il reale, sono da sempre “materiali” di
architettura, il Cyberspazio è l’elemento nuovo caratterizzante la nuova
era. L’autore dedica molte parti del testo alla illustrazione dei
caratteri e, soprattutto, delle interrelazioni tra i tre tipi di spazio.
Innanzi tutto non dobbiamo dubitare del fatto che il Cyberspazio, cioè
lo spazio virtuale, sia un vero e proprio spazio. Infatti, anche nel
caso dello spazio virtuale ricorrono quelle condizioni necessarie a
qualificare gli spazi: possibilità di interazione, possibilità di
vivibilità/occupabilità, capacità di costruire comunità, opportunità di
gestione del tempo e dello spazio. Se qualche dubbio sussiste a
proposito della possibilità di “occupare” il Cyberspazio, Ddek provvede
a sgombrare ogni dubbio in proposito: anche il Cyberspazio è occupabile
perché vi proiettiamo in maniera più o meno consapevole la nostra
presenza. Nello stesso passaggio del testo, Ddek stabilisce subito con
chiarezza la “vicinanza” tra spazio mentale e spazio virtuale. “E’ la
virtualità, non la spazialità [nel senso della materialità] del
Cyberspazio, che lo rende simile allo spazio mentale”, anche lo spazio
mentale è virtuale e sia il mentale che il Cyberspazio sono
completamente differenti dallo spazio reale. Ciò non toglie che dal
rapporto continuo e dialettico tra gli spazi virtuali e quello reale
possano scaturire esiti positivi, anzi è proprio la ricerca di questo
tipo di interazione la chiave di volta della nuova architettura, la
Cybertettura o architettura dalla connettività.
Mescolare gli spazi e raddoppiare il reale :
Non
dobbiamo pensare ad una sostituzione del reale con il virtuale. Al
contrario, bisogna cercare di combinare, mescolare i vari tipi di
spazio. Con il principio della “materialità” Ddek sottolinea la assoluta
necessità di ancorare il virtuale nel reale. Questo si rende necessario
per vari motivi. Il gusto per il reale aumenta con la virtualizzazione.
Inoltre, ed è il motivo principale, la combinazione di realtà virtuale
con il reale porta ad una realtà “aumentata”, di livello superiore.
L’estensione virtuale di strutture reali consente nuove forme di
relazionalità e di comunità, per esempio indipendenti dalla distanza
fisica degli interlocutori. Ancora: il Cyberspazio, per sua
costituzione, è contenitore di memoria. Questa caratteristica lo rende
adatto a restituire nel reale brani di memoria, di storia, altrimenti
irrimediabilmente perduti. In maniera sintetica Ddek esprime queste idee
sottoforma di formula: RA = R + RV. Dove RA è la realtà
“aumentata”, R è il reale ed RV è lo spazio virtuale. Quindi
l’impiego del virtuale nel reale porta ad un raddoppio, un rafforzamento
del reale e mai ad una sua sostituzione.
L’architettura dell’intelligenza = Architettura connettiva:
Come conseguire questi risultati? Come
si combinano i tre tipi di spazio? Insomma: quale architettura per
l’epoca transmoderna? Come elaborare un concreto rinnovamento del
progetto architettonico?
Scrive Ddek: “L’architettura
dell’intelligenza è l’architettura della connettività, è l’architettura
che mette insieme i tre principali ambienti spaziali in cui e con cui
oggi viviamo: mente, mondo e network”. Come sintetizza bene Maria
Luisa Palumbo in “Inhabiting Media”, sono tre le caratteristiche
di questa nuova architettura connettiva che complessivamente emergono
dal testo di Ddek. Il primo carattere consiste nel fatto che le
strutture reali – materiali siano dotate di estensioni virtuali. Ciò
corrisponde all’idea che l’architetto ha a disposizione nuovi materiali
da costruzione che fanno parte del Cyberspazio, che sono “immateriali”
ma possono produrre sostanziali modifiche nella realtà “materiale” se
manipolate opportunamente. Il bit si trasforma in materia architettonica
e l’estensione virtuale può produrre un innalzamento di livello dello
spazio reale secondo la formula RA = R + RV.
Il secondo carattere della Cybertettura
è quello di essere una architettura di interfaccia “dispositivo
attivo di organizzazione di flussi di input – output”*.
Qui il discorso si salda alla profonda riflessione di Ddek sulle
superfici come luogo di integrazione tra reale e virtuale, sul concetto
di “soglia”, sulla concettualizzazione degli schermi e sulle interazioni
tra menti e schermi, sia al livello individuale che collettivo. Come
scrive Ddek, “lo schermo è il punto di coincidenza fra lo spazio
fisico dell’hardwere, lo spazio mentale della mente dell’utente e il
Cyberspazio … Gli schermi di proiezione uniscono i tre ambienti
spaziali di base, danno una nuova tendenza all’architettura”. La
superficie, la pelle dell’architettura può assumere, quindi, la funzione
di “schermo” inteso proprio come punto di intersezione tra i tre tipi di
spazio. Toyo Ito definisce il rivestimento architettonico come membrana
flessibile ed elastica, come epidermide, e le assegna il nome di
“vestito mediale”.
Il terzo carattere dell’architettura
connettiva, strettamente legato ai primi due, è quello di essere una
architettura di interconnessioni,
“sistema di interscambio [dinamico], connessione fra qui ed altrove,
individuale e collettivo”*. Consentendo di stabilire relazioni a
distanza, tra individui e oggetti fisicamente e temporalmente lontani,
la Cybertettura può essere lo strumento per creare una nuova forma di
relazionalità, un nuovo senso di comunità. Per Ddek l’architettura
connettiva tende a strutturare connessioni, progettare forme e strutture
di telepresenza e collaborazione nelle reti e fra i luoghi reali. In
questo senso, come scrivono Dodge e Kitchin, “lo spazio nel
Cyberspazio è puramente relazionale, sia geometricamente che
socialmente”.
La superficie architettonica fa da
ponte verso il Cyberspazio e, contemporaneamente, verso lo spazio
mentale degli individui. Come conseguenza, la ricerca architettonica si
sposta decisamente in superficie. La superficie acquista la grande
profondità degli schermi connessi, attraverso i quali penetriamo strati
e strati di informazioni in una interazione costante con la nostra
mente. “L’architettura come nuova infrastruttura, dispositivo
tecnologico”* consente l’accesso al Cyberspazio e nello stesso tempo
consente allo spazio virtuale un accesso in quello reale: diventa “dispositivo
materiale di accesso all’immateriale”*.
Forma e Informazione sono i materiali
da costruzione dell’architettura della nuova era. Come nota M. Novak
l’immaterialità della Informazione contamina ciò che in architettura è
sempre stato considerato solido e cristallino e lo rende “liquido”.
^Ddek = Derrick de Kerckhove.
*Maria Luisa Palumbo, Inhabiting
Media.
immagini di Progetti di
Gianni Ranaulo: esempi di architettura connettiva.