IL CINQUE MAGGIO
Ei
fu. Siccome immobile, Dato il mortal sospiro, Stette la spoglia immemore Orba di tanto spiro, Così percossa, attonita La terra al nunzio sta, Muta
pensando allultima Lui folgorante in
solio Vergin di servo
encomio DallAlpi
alle Piramidi, Fu vera gloria?
Ai posteri La procellosa e
trepida Tutto ei provò:
la gloria Ei si nomò: due
secoli, E sparve, e i dì
nellozio Come sul capo al
naufrago Tal su quellalma
il cumulo Oh quante volte,
al tacito E ripensò le
mobili Ahi! forse a tanto
strazio E lavviò,
pei floridi Bella Immortal!
benefica Tu dalle stanche
ceneri |
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L'ode è ispirata alla morte di Napoleone, avvenuta il cinque maggio 1821, nell'esilio di Sant'Elena. Si individuano tre momenti:
(preambolo, strofe 1-4): la morte di Napoleone, l'atteggiamento del poeta di fronte all'evento; in questo preambolo emergono subito due opposizioni fondamentali: immobilità vs. rapidità dell'alternarsi di vicende; grandezza e gloria vs. negatività dell'azione;
(strofe 5-9): rievocazione della vicenda di Napoleone; a sua volta essa è divisa in due parti: a) le imprese vittoriose; b) la sconfitta e l'esilio, la disperazione dell' eroe (strofe 10-14); la parte centrale dell'ode, in cui viene rievocata per scorci la vicenda dell'eroe si articola innanzitutto su un'opposizione spaziale: lo spazio geografico amplissimo in cui si manifesta il genio militare di Napoleone vs. la "breve sponda" dell'isola su cui finisce esule; poi su un'opposizione temporale: il passato glorioso vs. il presente misero dell'esilio.
(conclusione, strofe 15-18): il soccorso della fede, il trionfo dell'eterno sulla gloria terrena; la prospettiva di Manzoni è pessimistica: agire nella storia alla ricerca della grandezza, vuol dire provocare distuzioni, sofferenze, morte. L'azione degli eroi nella storia è svalutata nella prospettiva dell'eterno: la morte mette di fronte al vero significato dell'esistenza. Dal punto di vista ideologico e religioso, l'autore intende sottolineare il ruolo salvifico della Grazia divina: la figura di Napoleone è dunque inscritta nel disegno storico voluto da Dio e la stessa morte cristiana rivela in lui la coscienza della vanità della sua pur "superba altezza". Nella grandezza dell'uomo si avverte dunque la grandezza di Dio, ma questa umilia e ridimensiona quella. Al centro dell'ode è dunque il motivo dell'autorità, del potere umano e della potenza divina. Abbiamo già notato altre volte (cfr. p.e. marzo 1821) come il Dio di Manzoni abbia una dimensione tragicamente giansenista (giansenismo: movimento religioso ereticale iniziato dal teologo olandese Cornelius Jansen, che affermava la assoluta necessità della grazia per la salvezza, concessa da Dio solo a pochi eletti.
Lode è stata scritta da Manzoni in soli tre giorni (17-19
luglio 1821) subito dopo la notizia della morte di Napoleone,
giunta a Milano il 16 luglio, che doveva provocare nel Poeta una
notevole impressione che creò quello sgomento che sempre coglie
gli uomini quando muoiono i Grandi che sembrano indistruttibili,
una certa commozione che nel Manzoni si traduce nella meditazione
sulla vita e sulla morte, sulla fragile transitorietà delle
glorie umane e terrene, sulla dolorosità della solitudine acuita
dal ricordo delle grandezze passate e dallansietà di un
desiderio, talvolta potente, di un aiuto che non arriva (Napoleone
che scruta lorizzonte lontano sul mare), e infine la
pacificazione nella Benefica Fede, con una preghiera "a
speredere ogni ria parola" superando la condizione umana
contingente nellattesa di raggiungere il premio / che i
desideri avanza.
Possiamo dividere lode manzoniana, composta da 18 sestine
per complessivi versi 108, in due distinte parti simmetriche,
comprendenti ciascuna 9 sestine:
Entrambe cominciano con la
realtà presente della morte di Napoleone (Ei fu al v. 1, E
sparve al v. 55), di un Napoleone che è solo uno dei due
centri costitutivi dellode (laltro è Dio). Ciò che
colpisce limmaginazione e la spiritualità del Manzoni non
è la figura di Napoleone, dominatore degli eventi a cavallo fra
il Settecento e lOttocento, o la storiadei fatto o delle
idee di quegli anni, quanto il silenzio e la solitudine vissuti
nellisola di SantElena, e la possibilità di un
profondo pentimento maturato nella meditazione sulla sua vita
passato e di un affidamento alla pietà di Dio allavvicinarsi
della fine dei propri giorni.
Il poeta rimane muto
ripensando agli ultimi attimi della vita di un uomo che il Fato
aveva voluto arbitro della storia e di tanti destini umani, di un
uomo che si era posto lui stesso come Fato/arbitro dei destini
dei popoli e che racchiuse in sé le aspettative di unepoca;
e allora non può che ripensare a quando potrà esistere
nuovamente un uomo altrettanto decisivi per i destini umani, che,
calpestando la sanguinosa polvere del mondo e della vita, lascerà
nella storia unorma altrettanto grande.
E quegli ultimi attimi sono
fusi nellansietà di un naufrago, oppresso dalla solitudine
e dal peso delle memorie e delle immagini che si affollano nella
memoria; e da quel naufragio lo salverà solo la benefica Fede
nel Dio che atterra e suscita / che affanna e che consola.
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