J.M. Basquiat

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Jean Michel Basquiat - l'arte dei graffiti

VITA

STILE

MOSTRE:

TRIESTE

VENEZIA,

MILANO,

TORINO

IL FILM

 

 

 

La vita

Jean Michel Basquiat nasce il 22 dicembre del 1960 a Brooklyn da Gerard Basquiat, haitiano, e Matilde Andradas.
Sin dalla prima infanzia Jean Michel mostra un grande interesse per l’arte, incoraggiato soprattutto dalla madre.

Nel 1968 il nostro protagonista viene investito da un’automobile e durante la convalescenza legge con molto interesse il libro Gray’s Anatomy, regalatogli dalla madre. Questo libro eserciterà su di lui una profonda influenza tanto che in molti suoi quadri si ritrovano spesso particolari anatomici rappresentati nei minimi dettagli.

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Sopra: Carbon dating systems versus scratchproof tape, 1982.

Presto il divorzio dei genitori di Jean Michel costringe il bambino a trasferirsi col padre e le sorelle a Mira Mar, Portorico. Ritornato dopo poco tempo a New York, Basquiat frequenta la City-As-School, istituto per ragazzi molto dotati con difficoltà verso i metodi di apprendimento tradizionali, particolare che ne denota già la stravaganza. In questa scuola Jean-Michel stringe amicizia con Al Diaz, graffitista con cui crea SAMO, una specie di Dio nel nome del quale i due firmano numerosi graffiti sparsi per le vie di New York. Nel 1978 Basquiat scappa definitivamente di casa e comincia a vendere qualche cartolina dipinta per guadagnare qualche soldo. Contemporaneamente l’artista comincia a girare per i locali più in voga e a suscitare i primi interessi tra i Newyorchesi grazie alle scritte di SAMO.
Poco dopo però finisce la collaborazione con Al Diaz che aveva portato Basquiat a una prima celebrità.

Jean Michel Basquiat e Keith Haring

 

Dopo una breve parentesi occupata soprattutto dalla musica, nel 1979 avviene  l’importante incontro con Keith Haring, famoso graffitista, che sarà poi amico di Basquiat per tutta la vita.

Con l’aiuto di Diego Cortez, conosciuto in un locale di New York, Jean Michel comincia a far conoscere sé e i suoi lavori nel mondo dell’arte.
Nel giugno del 1980 arriva una grande occasione: alcuni lavori di Basquiat vengono esposti in una collettiva dal titolo The Times Square Show.

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Da questo momento Jean Michel diventa un artista a pieno titolo e per lui cominciano le prime mostre e i primi guadagni.
Presto si interessano a lui galleristi del calibro di Anina Nosei e Bruno Bishofberger.

A sinistra: Jean Michel Basquiat e Bruno Bishofberger

Nel maggio 1981 Modena ospita la prima mostra personale dell’artista che si propone con il nome di SAMO.
Bishofberger diventa presto l’agente di Basquiat per tutto il mondo e il 5 ottobre del 1982 porta il suo nuovo cliente a pranzo alla Factory di Andy Warhol, presentando i due artisti. Il maestro della pop-art vede in Basquiat un possibile mezzo per avvicinarsi agli artisti della nuova generazione e così nasce una lunga collaborazione artistica.
Dal 1983 Basquiat e Warhol cominciano la loro stretta collaborazione creando anche i primi dipinti a quattro mani e le prime mostre congiunte. Nasce così un sodalizio destinato a durare fino alla morte di del più famoso dei due artisti. Al lavoro dei pittori si unisce poi anche Francesco Clemente.

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Jean-Michel Basquiat secondo Francesco Clemente, Andy Warhol (a destra) e Jean-Michel Basquiat (sotto)

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Basquiat è oramai sulla bocca di tutti e si può decisamente considerare il primo pittore nero della storia dell’arte. Questa brillante carriera artistica non è però destinata a durare a lungo; il 22 febbraio 1987 muore infatti Andy Warhol, l’artista che più di tutti era stato vicino al grande graffitista americano.

Quest’ultimo, che inoltre non era mai riuscito a liberarsi dalla tossicodipendenza, rimane distrutto dalla perdita dell’amico e solo dopo un anno muore per overdose.Dopo la sua scomparsa Jean-Michel Basquiat è stato pressoché dimenticato, specialmente in Europa, e forse non sarebbe mai tornato alla luce se nel 1996 l’amico e pittore Julian Schnabel non avesse girato un film sul celebre graffitista.
Grazie a questa pellicola Basquiat può ora occupare un meritato posto accanto a Andy Warhol nella storia dell’arte cotemporanea.



Vorrei citare una frase di Fred Braithwaite che esprime egregiamente un ritratto di questo grande artista:

Jean-Michel visse come una fiamma. Bruciò luminosissimo. Poi il fuoco si spense. Ma le braci ardono ancora.

Lo stile

La pittura di Jean Michel Basquiat non è classificabile in una corrente ufficiale; egli si definiva un "analphabet artist", forse per la somiglianza delle sue opere con i disegni dei bambini, ma ad ogni modo sono riscontrabili fattori che accomunano i vari quadri.

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Red savoy, 1983

Il pittore non usa cornici e spesso le tele sono stese su assi rozzamente incrociate. Il tratto è decisamente marcato e le pennellate molto corpose; questi elementi fanno in modo che l’arte di Basquiat sia un’arte povera, dei bassifondi, e proprio questo senso di decadenza era un’ottima espressione della caduta dei grandi ideali che ha caratterizzato gli anni Ottanta del nostro secolo. Basquiat era dunque un artista simbolo del suo tempo e proprio per questo il suo successo fu strepitoso e fulminante.

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Molti accomunano questo pittore agli espressionisti, ma la sua denuncia sociale avviene tramite la rozza semplicità dei tratti infantili e non grazie all’elaborata contorsione dei colori e delle figure caratteristica di quella corrente.

A sinistra: Oskar Kokoshka, Ritratto di Carl Moll, 1913, uno splendido esempio di autentico espressionismo

Elemento originalissimo è poi la scrittura; Basquiat, infatti, riempie ogni sua tela di innumerevoli parole che diventano un vero e proprio elemento compositivo del quadro.

A volte l’artista scrive solo il titolo dell’opera, ma più di frequente troviamo elenchi lunghissimi spesso coperti con poderose pennellate. Non è ben chiaro perché il pittore abbia effettuato una tale scelta espressiva, ma senz’altro ogni parola aggiunge particolari indispensabili per il significato complessivo dell’opera e questo nuovo modo di fare arte ci fa riflettere sull’estetica della scrittura, che così non è più solo significato ma anche armonia di suono e di forma.  

alt Jean Michel Basquiat, Discography two, 1983

Dopo la sua morte Jean Michel Basquiat era più o meno scomparso dal mercato artistico e il suo ricordo sembrava più che altro legato a quello di Andy Warhol. Nel 1996 però Julian Schnabel, con il suo film, riportò l’amico pittore alla memoria del grande pubblico e lo fece conoscere alle generazioni più giovani.

Il 1999 sta rendendo grande omaggio a Basquiat e all’arte dei graffiti in generale e l’Italia partecipa con numerose mostra disseminate in tutto il Nord d’Italia, vediamole in dettaglio.

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Trieste, museo

Revoltella,

Jean Michel Basquiat.

La prima antologica

dell’artista in Italia.

La mostra si articola in due parti. La prima si tiene nelle sale del primo piano del Palazzo Revoltella, che hanno ancora conservato gli arredi e la tappezzerie ottocentesche. In questa sezione sono esposte otto opere del graffitista americano che, secondo il curatore Bruno Bischofberger, dovrebbero essere sottolineate dal forte contrasto con i ricchi arredi, ma che in realtà finiscono col perdersi nella fin eccessiva pomposità degli ambienti.

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Dopo un lungo e non poco tortuoso percorso si giunge alla seconda sezione della mostra, situata al quinto piano.
I muri, qui semplicemente pennellati di grigio, fanno risaltare le tele in tutta l’imponenza delle loro dimensioni mastodontiche.
Il numero di opere comprese in questa sezione è davvero notevole, anche se l’idea di raccogliere tutti i titoli dei quadri di una parete in un unico foglio non ne facilita l’identificazione.

Qui si possono ritrovare i temi più importanti che hanno ispirato la produzione di Basquiat, come la sofferenza dei neri del ghetto o la profonda influenza suscitata dai viaggi europei del pittore americano.

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Cassius, 1982

A questo proposito la mostra di Trieste presenta una serie di quadri che si ispirano al nostro Paese e che hanno come soggetto il fascismo e Mussolini.

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Quest’ultimo è stato rappresentato da Basquiat nella maniera più efficace che abbia mai visto. Il graffitista infatti è riuscito a rendere con pochi tratti l’imponenza fisica del duce ed anche la grande veemenza che egli metteva nei suoi discorsi. Curioso è il fatto che Basquiat cerchi anche di scrivere nella lingua della nazione cui si riferisce, cosicché noi possiamo leggere lo stentato italiano del pittore.

Il duce, particolare,1982

Al sesto piano c’è infine l’ultima sezione di questa ricchissima mostra, che tratta le collaborazioni di J.M. Basquiat con Andy Warhol e Francesco Clemente.

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A destra: Andy Warhol, Jean Michel Basquiat e Francesco Clemente ritratti da Beth Phillips.

 

Numerosi sono quindi i dipinti a sei mani che presentano una felice mescolanza degli stili dei tre pittori. E’ infatti facile riconoscere le forme regolari delle serigrafie del maestro della Pop-art sotto i numerosissimi graffiti di Jean Michel Basquiat.

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Infine bisogna dire che gli organizzatori della mostra hanno avuto l’ottima idea di dotare ogni sala dell’esposizione di fotocopie con la spiegazione delle opere più importanti.

A sinistra: Jean Michel Basquiat, Francesco Clemente, Andy Warhol, Alba’s breakfast, 1984.

 

 

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Venezia, fondazione Bevilacqua-LaMasa

Basquiat a Venezia. 50 opere del noto "graffitista" americano.

La mostra in questione è decisamente più contenuta rispetto a quella del museo Revoltella e non osa alcuna sperimentazione bizzarra. La formula vincente di questa esposizione è infatti una disposizione delle opere ordinata ed agevole, che evita allo spettatore percorsi intricati e tortuosi.

A destra, l’entrata della mostra veneziana.

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Le sale non sono molte e sono occupate da pochi quadri che con le loro dimensioni mastodontiche coprono gran parte dello spazio. 

I temi principali dell’arte di Basquiat sono tutti presenti: il razzismo, l’anatomia, la famiglia; in questa mostra però si accentua un’altra dimensione dell’artista, ossia l’immagine che il pittore ha di sé. Numerosi sono infatti gli autoritratti, che rappresentano il loro autore con un’aureola, con delle corna e comunque sempre con un tratto contorto e intricato che raggiunge l’apoteosi nell’inestricabile massa dei capelli.
A sinistra, Profit 1, 1982.

 

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Milano, fondazione

Mudima,

Jean Michel Basquiat,

opere su carta.

Anche Milano ha voluto commemorare il grande pittore americano con due splendide mostre che evidenziano un lato poco conosciuto del lavoro di Jean Michel Basquiat. La fondazione Mudima infatti presenta, nella sua sede di via Tadino, una serie di opere che rivelano la "grafomania" dell’artista ed anche una sua straordinaria capacità di disegnare in modo realistico e non solo infantile.

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Syncopation,1985

Lo spettatore riesce così ad avvicinarsi maggiormente all’artista vedendo tutto ciò che originariamente non era destinato al pubblico.
Straordinario è inoltre anche lo spazio espositivo, molto ampio, dedicato a questa mostra.Le opere che più mi hanno colpito sono varie serie di figurine di baseball che presentano i giocatori assolutamente privi di faccia e con il nome riscritto a mano dall’artista. Questo modo di creare arte riavvicina moltissimo Basquiat agli artisti pop per quanto riguarda la rappresentazione dei fenomeni di massa e si riallaccia ai dadaisti per la singolare modifica operata sulle figurine.
Lodevole è quindi l’iniziativa totalmente gratuita che la fondazione Mudima offre agli amanti di Basquiat.

 

Milano, fondazione Mudima2.

In Corso di Porta Romana la fondazione Mudima ha una sua succursale che in questo caso ha ospitato in poche sale altre opere di Jean Michel Basquiat.
Questa mostra, nella sua limitata estensione, non presenta elementi particolarmente interessanti, ma è pur sempre importante per chi vuole approfondire la propria conoscenza sull’arte di Basquiat.

alt Torino, palazzo Bricherasio,

Pittura dura, dal graffitismo alla street art.

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Il manifesto della mostra, che ha come soggetto il quadro Olympic rings di Andy Warhol e Jean Michel Basquiat.

A conclusione di questo discorso sulle mostre dedicate a Basquiat è giusto parlare dell’esposizione che Torino ha dedicato all’intero panorama artistico in cui il Nostro è inserito e del quale è stato uno degli iniziatori. Palazzo Bricherasio ha mostrato una grande attenzione nel ricreare l’ambiente in cui il graffitismo si inserisce (le strade e le metropolitane di New York) facendo sentire in ogni sala della mostra hip-hop e odori che ricordano l’atmosfera stradale; gli zoccoli dei muri inoltre sono decorati da "perle di saggezza" dei diversi writers.
La prima sala ospita opere di Andy Warhol, cosicché lo spettatore possa capire come in fondo il graffitismo sia stato agli inizi un’evoluzione della pop art e abbia solo in seguito maturato una sua propria identità.

Si prosegue poi con un blocco di opere di Keith Haring, grande amico di Basquiat e vero anello di congiunzione tra pop art e street art. Sono presenti numerosi cartoncini neri sui quali sono state dipinte le tipiche figurine di Haring e che, essendo opere destinate alla strada, hanno solo titoli fittizi attribuiti dai critici d’arte per una migliore identificazione.

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Sopra, Keith Haring Autoritratto.

La sezione successiva è dedicata a Jean Michel Basquiat, che ha il grande merito di aver contribuito al passaggio dal graffito alla pittura e di cui sono presenti anche alcune collaborazioni con Andy Warhol.

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Esiste poi una terza parte in cui si riportano i lavori di Curtone e Sharf che, con l’utilizzo del linguaggio fumettistico, hanno portato a un nuovo riavvicinamento con la pop art.

 

A sinistra, Ronnie Curtone, The red sea, 1986

Alla domanda sul perché dell’uso di personaggi dei fumetti e di bandiere Ronnie Curtone risponde così:

"Le bandiere erano la soluzione ideale al problema di scegliere un mondo in cui i personaggi potessero vivere. Volevo metterli su di un palco, sotto i riflettori dello sgradevole simbolismo e dei nazionalismi. E poi lasciarli perdere."

Per concludere bisogna dire che questa mostra ha ben ripercorso il fenomeno per cui "un nuovo look entrò nella coscienza sociale dalle mura del ghetto, sulle carrozze sfreccianti della metropolitana per finire anche nei musei." (Ronnie Curtone).

Il film.

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Nel 1996 Julian Schnabel, pittore e amico di Basquiat, decise di realizzare un film che celebrasse e facesse nuovamente conoscere il graffitista newyorchese. La pellicola è qualcosa di assolutamente eccezionale.

 

A sinistra la locandina del film.

Spesso infatti i film sugli artisti tendono a sottolineare la stravaganza e l’eccentricità dei loro protagonisti, mentre Schnabel, pur non essendo un regista di professione, ha reso egregiamente quello che era il mondo dell’arte negli anni Ottanta e la dimensione puramente umana di un pittore che non si sentiva a suo agio nel ruolo che il mercato gli aveva affidato.
Il regista è riuscito a far parlare molto della sua opera grazie ad alcune carte vincenti: un cast di stelle del cinema, della musica e dell'arte (David Bowie,Andy Warhol, Dennis Hopper, Bruno Bischofberger, Gary Oldman, Curtney Love e lo stesso Schnabel),una colonna sonora davvero eccezionale e un’ottima ricostruzione dei personaggi (tutti molto somiglianti agli originali, addirittura con un David Bowie vestito con i veri indumenti di Andy Warhol) e dei quadri, molti dei quali sono stati copiati dal regista

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A sinistra, Jeffrey Wright, David Bowie, Gary Oldman e Dennis Hopper

by Elena di Carpegna

 

 

 

 

english version

In his short life (1960-1988), Jean-Michel Basquiat came to personify the art scene of the 80s, with its merging of youth culture, money, hype, excess, and self-destruction. And then there was the work, which the public image tended to overshadow: paintings and drawings that conjured up marginal urban black culture and black history, as well as the artist's own conflicted sense of identity.

He was, all at once it seemed, the ultimate party animal, a wannabe streetkid and grafittist hiding his black Brooklyn middle class roots, an advocate and interpreter of the marginal and dispossessed at the court of the mainstream, an angry black aspirant to the all-white art canon, a precocious talent, a creature of cynical marketing and a fraud, a proto-muIticulturalist, an American original.

As I came across the abundant contradictions, the public perceptions, mythifications and self-inventions that went into the shaping of Basquiat's life and work, the more I wanted to understand how these had all attached to the same person. I set out to create my own picture of Basquiat.

I began research on a book on Basquiat in late 1991, which included interviews with dozens of people who knew him and worked with him. What was initially meant to be a biography turned, in part out of frustration with the strictures of biographical writing, into a work of fiction.

The excerpt is from midway into the book, around early 1985, when Basquiat has become close to his idol Andy Warhol, and media interest in him as a symbol and symptom of a booming art market is at an all-time high.

-Robert Knafo