La statua, attestata presso la
collezione Giustiniani sin dai primi anni Trenta del XVII secolo,
costituisce l'unica replica intera - e di grandi dimensioni - di
un originale in bronzo databile agli anni 470-460 a.C., ascritto
di norma ad un maestro di scuola peloponnesiaca. A. Giuliano
(GIULIANO [1987], vol. II, pp. 671-672) ha proposto di
riconoscervi la mano di Kalamis, autore della celebre Sosandra,
con la quale in effetti questo esemplare sembra condividere una
intensa espressività nel riserbo del volto ombreggiato da
ciocche dense e pesanti sotto il velo, ma anche nella volumetrica
esecuzione del panneggio che avvolge il corpo senza mortificarlo
ed esaltandone anzi le forme vigorose. Altri ha tentato di
riferire l'originale ad un artista argivo (Hageladas?), sia pure
influenzato dalle più recenti conquiste della plastica
attica; mentre la Tölle Kastenbein (TÖLLE KASTENBEIN
[1986], p. 33 ss., n. 51a) ha proposto addirittura il nome di un
maestro attico del calibro di Alkamenes. Il prototipo, di grande
importanza per l'evoluzione della figura muliebre nella scultura
greca, è conosciuto col nome convenzionale di Hestia,
conferito a questa copia sulla base delle interpretazioni
antiquarie sei-settecentesche, forse da riportare all'ambiente
erudito in cui aveva operato anche Cassiano dal Pozzo. È
infatti in un disegno (oggi conservato nella Biblioteca Reale di
Windsor, RL 8812; VERMEULE [1966], p. 57, fig. 238) sul fol. 29
del IX album del suo celebre repertorio noto come Museum
Chartaceum, che troviamo la prima attestazione del tipo in
questione, cui fa seguito l'incisione alla tav. XVII del I volume
della Galleria Giustiniana, eseguita fra 1635 e 1636, ancor prima
quindi che l'esemplare fosse registrato negli inventari della
collezione, dove compare difatti menzionato per la prima volta
nel 1638 all'interno della galleria come "vergine vestale
vestita, di marmo greco tutta antica alta palmi 9 inc.a", secondo
una denominazione ricorrente anche in successivi regesti.
Contemporanea, e sostanzialmente non dissimile da quella della
Galleria Giustiniana (da cui forse verosimilmente deriva), con il
braccio sinistro piegato e la mano volta verso l'alto, restaurata
ma con un evidente errore interpretativo nei riguardi
dell'attributo, all'epoca ovviamente mancante, è la
riproduzione che ne diede F. Perrier (PERRIER [1638], tav.
LXXII). L'identificazione quale Hestia (peraltro avvalorata dalla
presenza di un tipo molto simile dipinto su una coppa oggi nei
Musei di Berlino attribuita al pittore di Sosias) è
suscettibile oggi di una revisione in favore di Demeter o di Hera
(Borbein ipotizzava invece un'eventuale Eirene ante litteram),
anche per la presenza di un lungo scettro sorretto lungo il
fianco (e non diagonalmente come pensava Ch. Picard) dalla
sinistra sollevata, secondo quel che inequivocabilmente attesta
la replica dal Ginnasio di Vedio a Efeso (TÖLLE KASTENBEIN
[1986], n. 51b, tavv. 39-41). Lo scettro appare funzionale non
soltanto alla statica della figura, ma anche all'equilibrio
interno e strutturale della medesima: ne assesta la leggera
torsione verso destra del busto, giustificandone l'asimmetria dei
seni, in accordo col gesto del braccio flesso dalla mano poggiata
col dorso sul fianco, gesto frequente - sia pure ancora solo in
forma sperimentale - in piccoli bronzi di produzione ateniese
(soprattutto sostegni di specchi o figurine di genere decorativo)
databili in età severa. L'opera, caratterizzata da una
solida struttura d'insieme, sorretta da una forte linea di
contorno e animata da un'innegabile tensione interna, si articola
in due parti ben distinte e quasi giustapposte: in senso
orizzontale quella che va dal capo velato alla ricaduta del
kolpos; più sobria e rigorosa invece l'altra, sottostante
alla prima, con la fitta cadenza di pieghe verticali, appena
movimentate nella parte posteriore dal ritrarsi del piede
sinistro, che attesta una evoluzione rispetto alla rigida
sintassi formale delle opere di matrice dorica, come le
peplophoroi o l'Auriga di Delfi. Dell'antico originale, la
replica Giustiniani, oggi Torlonia, riproduce fedelmente le
superfici ampie e levigate, con poche pieghe a cannello la cui
esecuzione appare molto curata soprattutto nell'interno delle
stondature, mentre nella parte posteriore risulta senz'altro
più andante. Particolare il trattamento dei capelli,
soprattutto nella frangia che ricade sulla fronte (da cui la
separa un netto solco di trapano) e le cui ciocche fitte sono
rese a solchi paralleli, analogamente a quanto riscontrabile in
calchi in gesso rinvenuti nel complesso monumentale di Baia,
altrimenti noto come Terme della Sosandra. Con essi (e in
particolare con la cosiddetta Aspasia) l'Hestia condivide anche
l'esecuzione di molti particolari. Si è pensato
perciò che questo esemplare - sebbene con tutta
probabilità trovato lontano dall'area flegrea - potesse
provenire dalla medesima officina di copisti attiva nei pressi di
Baia, che dopo aver adottato calchi di opere in bronzo mai
eseguiti in precedenza, produsse in età adrianea - e per
una committenza di rango sicuramente imperiale - tutta una serie
di opere di altissima qualità formale. Esse furono
realizzate in quel marmo pario che caratterizza appunto anche il
reperto in questione, e che consentiva di raggiungere effetti di
straordinario nitore nelle superfici o fedeli riproduzioni di
dettagli (quali il contorno degli occhi, la linea incisa delle
labbra, l'orlo profilato delle unghie già sopra ricordato,
ecc.), mettendole in grado di competere con i prototipi metallici
di avanzata età severa, appositamente prescelti in quanto
sintomatici e rappresentativi al massimo grado di un patrimonio
formale, ma in realtà ideologico e religioso, sentito dai
greci come comune e fondante della propria nazione e
civiltà, e non a caso riproposto intenzionalmente da
Adriano dopo il suo viaggio ad Atene attorno al 130-131 d.C.
Suggestiva infine l'ipotesi, avanzata da C. Gasparri, di una
correlazione tra l'Hestia e la peplophoros della collezione
Ludovisi (Palma in GIULIANO [1983], vol. I, 5, p. 185, n. 78, con
altra bibliografia), che fa anch'essa la sua comparsa nei primi
anni Trenta del XVII secolo negli inventari di famiglia, insieme
con un pendant costituito dalla replica oggi a Copenhagen. La
peplophoros proveniva con tutta probabilità dall'area
della Villa Ludovisi presso Porta Pinciana, che - com'è
noto - sorgeva sopra l'antico complesso degli Horti Sallustiani,
e non si può escludere che in origine anche l'Hestia
potesse aver fatto parte di un'antica "galleria" di figure affini
tra loro come stile e iconografia nell'area pinciana di
pertinenza imperiale, e che dopo la scoperta, magari in
prossimità della statua già accolta nella raccolta
Ludovisi, venisse ceduta ai Giustiniani, con i quali la famiglia
del "cardinal padrone" intratteneva amichevoli rapporti. Tale
proposta sembra aprire cautamente uno spiraglio sul buio che
tuttora avvolge le origini di questa statua che peraltro nella
Roma seicentesca dovette favorire un forte recupero d'interesse e
la successiva riflessione sulla figura muliebre ammantata nel
peplo, così vicina alla concezione dell'antico promossa
dalla chiesa e ai principi formativi della cultura antiquaria
diffusa nel corso del XVII secolo. Va detto tuttavia che
già alla fine del Cinquecento una testa analoga a quella
della Hestia, oggi a Berlino in proprietà privata
(TÖLLE KASTENBEIN [1986], pp. 34 ss., n. 51e, tav. 45;
SISMONDO RIDGWAY [1988], p. 525), all'epoca a Roma presso la
raccolta Garimberti (BROWN-LORENZONI [1993], p. 205, fig. 67), fu
apprezzata per le sue caratteristiche formali, sebbene rilavorata
per adattarla come ritratto di Antinoo, data la forte struttura
del mento e la ricca capigliatura sulla fronte: il disegno del
Ciacconius (Roma, Biblioteca Angelica, ms. 1564, fol. 199v: cfr.
GASPARRI-UBALDELLI [1991], pp. 57 ss.) che di essa rimane,
attesta il precoce risvegliarsi di un'attenzione nei confronti di
queste manifestazioni stilistiche di epoca severa da parte di
eruditi e collezionisti, che indubbiamente dovette preparare la
via alle ricerche e agli studi sviluppatisi nel secolo
successivo. (Sul tema, vedi anche ROMA [2000a], sub cat. XV, 42,
con la menzione di un altro esemplare di peplophoros noto a Roma
nel palazzo-giardino Soderini). La grande statua di Hestia
passò per acquisto dai Giustiniani ai Torlonia nel corso
dell'Ottocento; portata nel palazzo alla Lungara dove fu
allestito il celebre museo di scultura descritto dal Visconti, vi
rimase fino a quando nella seconda metà del XX secolo fu
trasferita nella Villa Albani, da dove uscì nei primi anni
Novanta per essere collocata nel cortile del palazzo di famiglia,
ex Giraud, su via della Conciliazione.