L'umorismo di Sabatino Lopez
L'elogio funebre
Monologo di Sabatino Lopez (1905)
Recitato la prima volta -per serata d'onore - e
replicato infinite volte da Oreste Calabresi - il 26.1.1906
PARLA IL CITTADINO PAOLETTI.
Per ora, negli annunzi mortuari, dettati dalla pietà dei
parenti o dalla gratitudine degli eredi è detto:
- "Non si accettano fiori e si dispensa dalle visite" - ma
vedrete che ci sarà presto una giunta: - "Non si accettano
nemmeno discorsi".
E sarà una bella giornata, quella.
Non parlo di me: la mia carriera di oratore è finita, e i
miei più clamorosi successi li ho riportati sempre in fin
di pranzo....
Si sa, gli oratori, come i cuochi, hanno il loro piatto speciale:
c'è chi è più forte nei ragù e chi
nei dolci, chi è oratore accademico e chi è oratore
da comizi.... Io diventavo oratore dopo aver mangiato; e per
questo gli amici mi dicevano oratore mangiloquente.
Tutta invidia! - perciò quando io mi alzavo a parlare,
fino i camerieri rimanevano a bocca aperta - e non sapevano
più servire. Uno restò così commosso una
sera, che mi versò mezza bottiglia sui pantaloni nuovi
fiammanti... Ma lo sciampagna non macchia....
Ora son vecchio, non dò più noia a nessuno e lo
posso dire: dopo pranzo ero Demostene.
Ma parlare davanti ai morti mi è sempre piaciuto poco: il
morto non sente, i vivi si soffiano il naso per la commozione o
hanno paura di far tardi per il pranzo.
A tavola invece... a tavola non s'invecchia, e a tavola si
vogliono sentire i brindisi. C'è persino chi prima
d'inscriversi ai banchetti chiede il nome degli oratori, e non
domanda la minuta del pranzo. E alla peggio alla peggio, se
mentre voi discorrete, qualcuno ci schiaccia un pisolino, date la
colpa al barolo che era buono e invita al sonno, sicchè
l'amor proprio non soffre.
Davanti al morto, no, è un altro affare; non c'è
l'applauso che ti incoraggia, nè la interruzione che ti
sferza, e più piangi e peggio discorri. E c'è anche
questo, che l'eloquenza funebre si confonde molto spesso con
l'aggressione; ci si mette qualche volta in parecchi di contro al
morto che è dentro la bara, a dargli del tu, gli si
scaricano addosso tre o quattro pistolettate a salve fatte di
elogi e di rimpianti, anche se non ci si aveva nessuna
famigliarità, si tratta con tanta confidenza come non si
farebbe col piccolo alla trattoria. Anche quando muore un Sovrano
tutti gli oratori seguitano a dirgli:
- E ora tu sei morto, tu che eri tanto buono, tu,...
Una volta o l'altra vedremo alzare il coperchio e sentiremo il
Re che dice all'oratore: - Ohè! ragazzi, a che gioco si
gioca? Vivo o morto, sono sempre Sua Maestà!
Dunque, tutto le volte che m'invitavano a dir due parole a nome
degli amici, ho risposto di no; ma un giorno ho dovuto sostenere
una specie di lotta aperta col defunto e prenderlo di fronte per
non lasciarmi schiacciare.
Sicuro! -- Quello fu un tiro che mi giocò un amico da
quarant'anni; dagli amici ti guardi Iddio..., che dalle amiche mi
guardo io. Ossia, ora non ho bisogno di guardarmi dalle amiche,
perché non me ne vengono più attorno.... Che ci
verrebbero a fare?
Quella mattina scendevo da via Assarotti, la strada che va su su
fino a Staglieno. Ero tornato la sera innanzi dalla campagna e
trovavo a Genova un caldo d'inferno. Proprio all'imbocco della
strada sento una fanfara - stonata, si capisce - che suona una
marcia funebre e vedo un bandierone massonico che, sventolando,
pareva facesse a legnate con l'alfiere per buttarlo in terra.
Dietro lo stendardo il corteo, la bara, e sulla bara
una camicia rossa garibaldina. Mi levo il cappello e proseguo; ma
quasi subito dietro la bara vedo il colonnello garibaldino
Betocchi - un mangiatore numero uno ! - che mi strizza l'occhio e
mi fa un cenno di entrare con lui nelle file.
- Avrà da parlarmi, dico. E' un pezzo che non lo vedo,
anch' io gli ho da raccontare qualche cosetta: ci vado. E
m'infilo dietro al morto.... e di fianco al vivo.
Domando: - Cosa c'è di nuovo?
Dice: - Sta qui con me.
- Chi è il morto?
- Non te ne occupare. Poi si torna insieme.
- Gli è che io....
- Si torna insieme, ti dico.
Allora, avanti. - All'antica Porta, penso: "Ora il corteo si
scioglie e noi si ritorna,,. - Invece nulla. Qualcuno si stacca,
guarda che non lo vedano e volta le spalle; fa un grande inchino
al morto e torna fra i vivi. Il colonnello Betocchi no: lui
prosegue, mi prende sotto braccio e procede con aria da funerale,
ammirevole. E io mi atteggio come lui; divento funebre anch'io
come se fossi l'erede favorito. Su, su, su, fra il polverone e il
vento; io cerco di attaccar discorso con l'amico Betocchi, ma
quello mi guarda che pare mi fulmini e mi risponde:
- Taci.
E io zitto.
Si arriva al Camposanto, depongono la bara, si fa circolo
intorno, e il mio amico Betocchi rompe le fila tenendomi sotto
braccio e dice: - "Cittadini! Il mio amico Paoletti dirà a
questo morto che tutti piangiamo la parola della
Democrazia".
Si fa presto a sentenziare come scrive Orazio:
"Se vuoi che io pianga occorre che prima abbia pianto tu"; ma
bisognerebbe sapere di che o di chi si ha da piangere.... E io
non lo sapevo! Mi trovavo dinnanzi a un cadavere garibaldino,
dunque maschio.... sebbene non potessi giurare nemmeno quello,
perché ci sono state anche le garibaldine.... C'era un
morto, va bene, questo era indiscutibile; ma il fenomeno della
fine è così quotidiano che non vi spreme una
lacrima, se non sapete di chi è stata segnata la fine....
Ci erano anche due ragazzetti presso alla bara, ma eran figlioli
del morto? o nipoti? o figli di vicini di casa? o allievi-reduci
garibaldini? E di che era morto quel morto? Lodarne la
sobrietà? e se era vittima d'un'indigestione? Piangerne la
fine orrenda, gli spasimi atroci? E se aveva esalato l'anima in
un sospiro? Oppure se, come Seneca, si era tagliato le vene?
Prendersela con la Parca? Cinquant'anni o settanta? Nevrastenico
o sanguigno? Genovese, lombardo, ungherese, turco? Niente: non
sapevo niente.
Ecco, dico la verità, mi trovai male. Il mio primo
movimento fu di protesta: fare un saluto alla compagnia e
andarmene. - Ma non potevo, e il colonnello Betocchi mi guardava
con una tal grinta di canzonatura beffarda e compassionevole, che
mi feci forza: - "Ah! tu m' hai cacciato in un fosso e credi che
io non possa trovare la forza di rilevarmene. Lo vedrai se non ci
riesco!". - Cosa dissi? Non lo so bene. So che, non potendo
prendermela lì in faccia a tutti col colonnello
garibaldino vivo, me la presi col morto o lo apostrofai
così:
- "Come ti chiamavi ?"
Mi tacqui un momento. Un'anima pietosa mi guardò col viso
stupito, ed era già per dirmelo, ma il vicino gli
tirò la giacca e dovette mormorargli in un orecchio che la
mia domanda era una figura retorica. Anche quel mio silenzio era
un'altra figura retorica: la sospensione; ma bisognava pure che
in un modo o nell'altro continuassi. - "Come ti chiamavi? Non lo
voglio sapere. Il tuo nome era nome di popolo, e tu del popolo
avevi l'anima e gli ardimenti:
Chè se il Popolo si desta,
Dio combatte alla sua testa,
La sua folgore gli dà.
Come ci entrassero i versi di Mameli, io non lo so ancora; ma
vidi attorno teste che approvavano e sentii una voce
sommessa:
"Come parla bene! Fino in poesia!"
Mi sentii a cavallo: tutto in sudore, ma a cavallo. Tanto
più che l'amico Betocchi aveva smesso la punta del sorriso
maligno e, serio serio, approvava anche lui. Fu lui che mi dette
l'audacia e quasi mi fece perdere.
- "Che lasci ai tuoi?"
Procedevo a forza di apostrofi e di interruzioni.
Ardito, mi volli spingere più oltre e, contemplando i due
ragazzini che mi parevano sempre più melensi dal dolore,
seguitai:
__ "Che lasci ai tuoi? Sì, quale eredità d'affetti
lasci ai tuoi figlioli?"
Ma Betocchi, col capo mi fece segno di no, che figlioli non ne
lasciava, e vidi qualche collo protendersi come il collo della
testuggine e mi provai a rimediare.
- "Lo so che figli non ne avevi. Lo so. Ma voglio dire ai
più giovani di te, tuoi figli di spirito se non di sangue,
perocchè...
Sta così bene un perocchè in una orazione funebre!
- "perocchè i figli possono essere i figli delle nostre
idee, dell'anima nostra più che della nostra carne. Quale
eredità lasci?"
E lì un elenco di virtù che lasciava, e quella
camicia rossa, rossa come il barbaglio del sole che tramontando
si arrossa negli estremi bagliori, rossa come il sangue che
spicciò dalle ferite per la patria, rossa come il vino
generoso che fermenta e ribolle nei tini e poi ingagliardisce e
rincora, rossa....
Non so come potei liberarmi da tutto quel rosso, ma c'erano dei
repubblicani..., e il colore piacque.
Alla fine ci mancò poco non mi battessero le mani; e un
colosso, un omaccione alto un palmo più di me, mi
buttò le braccia al collo per ringraziarmi a nome della
famiglia..
"Ha parlato così bene lei! E come è stato giusto e
preciso. Si vede proprio che col povero morto erano come due
fratelli!"
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