LA COMUNITA’ CAPI: COME VIVERE SERENAMENTE
LA DIMENSIONE DELLO SCOUTISMO
La CoCa, luogo di formazione della persona e del Capo
(contributo della Regione Lombardia)
1/ Analisi della realtà
L'analisi della realtà rileva che stiamo diminuendo in Co.Ca. e nei gruppi: sforzarsi di comprendere richiede innanzi tutto di liberarsi da idee precostituite, per assumere l'atteggiamento del ricercatore che lavora per ipotesi e raccoglie quanti più elementi gli è possibile prima di esprimersi.
Proviamo ad immaginare ad es., che vi sia anche una crisi di tipo psico-somatico da mancanza di tempo e da individualismo che coinvolge l'uomo nella sua interiorità. Ipotizziamo che tra le cause di questo fenomeno non vi siano solo "altri progetti da realizzare", non vi sia cioè solo un'alternativa allo scoutismo, ma magari sussista un disagio dal quale ci si vuole liberare, anche al prezzo della rinuncia a qualcosa che pur veniva apprezzato e che mai si potrà dimenticare.
Propongo che ogni comunità capi raccolga la sua storia:
- Dove sono andati i capi che sono usciti dopo poco che svolgevano il loro servizio; quali sono state le loro ragioni?
- In che modo queste persone hanno preso coscienza dell'arte del capo prima di intraprenderla? Sembra talvolta che diventare capi sia cosa estremamente facile, non altrettanto però è reggere lo sforzo del capo;
- Com’è stato o come viene tutt'oggi vissuto il lavoro nelle comunità capi. La comunità capi rivolge le proprie attenzioni solo allo scoutismo o c'è anche la possibilità di sentirsi adulti, cittadini, in cammino di fede?
- Cosa succede nei gruppi che non sono toccati da questo problema? Qual è la loro esperienza? Come hanno risolto la loro crisi, altri gruppi?
La crisi che viviamo ci supera, nel senso che non siamo gli unici ad esserne coinvolti. E' la crisi degli orizzonti forti di senso che caratterizza la nostra civiltà "post ideologica". Una crisi da soprappeso, da benessere, da accelerazione.
Nell'alfabeto cinese i due segni che compongono la parola crisi singolarmente esprimono i significati di pericolo e opportunità. Su questi due concetti anche noi potremmo provare a ragionare.
Lo scoutismo non può non venire continuamente adattato alla realtà, non può non essere riconosciuto per la virtù del coraggio dei suoi capi, non può non vivere di sperimentazione, della novità di un torrente in piena, pena la sua assimilazione triste e monotona a qualsiasi iniziativa che si occupa di animare o forse meglio, di ammazzare il tempo libero. Se la crisi è da sovrabbondanza di cose, di opportunità e di sapere, l'essere alternativi, l'andare controcorrente si realizza nello scegliere la precarietà, la possibilità di fermarsi per rientrare in se stessi, lo stile della fedeltà, il rispondere delle proprie azioni, il mantenere una promessa.
Qualcuno fa osservare che abbiamo messo a punto una macchina troppo complessa, forse è vero, ma questa osservazione è un ulteriore stimolo alla sperimentazione, è la nostra opportunità. Nello scoutismo non si può stare comodi, tranquilli, quieti. Solo la sperimentazione consente di uscire dalla crisi, perché è il nuovo che dobbiamo inventare, il bello e il vero. In Co.Ca., in branca o in Zona bisogna azzardare nuove piste per cogliere qualcosa di vivo e capace di attrarre. Il futuro è qualcosa di nuovo, non è il ritorno al passato. La Co.Ca. e le branche non possono ripiegarsi sulla nostalgia per un passato che non appartiene più a nessuno, è tempo di sperimentare la novità: tenendo presente che il rigore dell'azione richiede non solo motivazioni ma anche criteri e tempi di verifica.
Le opportunità sono diverse ma il bisogno di educazione non si può dire che sia diminuito, anzi risulta essere in continua crescita, quindi c'è sempre più bisogno di educatori che vivano una scelta e non semplicemente una delle tante esperienze.
Nella crisi presente la reale posta in gioco è la dignità stessa dell'essere umano, e noi sappiamo che la persona si realizza autenticamente solo se stabilisce con gli altri esseri umani e con tutte le creature una rete di rapporti significativi e rispettosi. Tale traguardo oggi è sempre più difficile da raggiungere, ma questa crisi è sicuramente un'occasione offerta dalla storia per ripartire dalle fondamenta: la relazione umana e il rapporto con il tempo.
1) Proviamo a mettere in discussione ciò che per tanto tempo abbiamo valutato sotto un'altra luce: la Co.Ca. non è la comunità degli amici, dove ci si deve trovare bene per forza, non è il luogo delle relazioni personali, ecc.
In tema di relazione interpersonale molte cose hanno bisogno di essere riscattate, ad es.: il rapporto con il tempo: la puntualità dell'inizio e la definizione della conclusione della riunione, l'ascolto, il fatto che si giunga alla riunione di Co.Ca. preparati su ciò che si dovrà discutere. Tutta la vita odierna è caratterizzata da molti contatti ma da poche vere relazioni.
2) Proviamo ad approfondire e a superare il patto che ci lega come educatori, nel senso di non fermarsi alla condivisione "intellettuale" del Patto Associativo che pure è importante, ma a calarlo nella nostra realtà personale. La comunità è una rete fatta di promesse, di persone capaci di mantenere ciò che promettono.
- Quanto e a quali condizioni siamo disposti a dedicarci allo scoutismo: quanti anni e dove?
- Nel nostro gruppo di formazione o dove veniamo chiamati?
La permanenza nel compito di capo è fondamentale, occorre riscoprire il significato dell'affidabilità e della fedeltà; abbiamo visto che non si impara nessun'arte senza tentennamenti ed errori, ogni azione educativa è un esperimento, ma solo l'esperienza consente di non giocare troppo con la vita degli altri, la progettazione individuale è fondamentale.
3) Nessuno più mette in discussione che l'educatore vero non cerca di piacere ai suoi ragazzi abbassando le esigenze della proposta. Il capo è un adulto e deve essere se stesso, deve raccontare su che cosa si sta giocando la vita e proporre ciò in cui crede con la forza di un'esperienza diretta, con la proposta di un'avventura. Facciamo passare il calendario degli appunti delle attività fatte nell'anno passato e proviamo a valutare quanto vero scoutismo siamo riusciti a concretizzare, quanta avventura, natura, competenza, gioco, strada, impegno e quanto tempo abbiamo invece trascorso in sede o comunque nell'ambiente "cementato".
4) La Zona ha il compito di sostenere le comunità capi e di vigilare sulla qualità di scoutismo che viene realizzato nei gruppi: se verifica la necessità di sostenere un gruppo in crisi deve avere la possibilità di intervenire ridistribuendo le forze presenti, se non nell'intero territorio, almeno nel raggio di una distanza ragionevole. Diversamente davvero sorge il dubbio che il cittadino del mondo sia presente solo nei romanzi d'avventura.
La crisi ci offre la possibilità di lavorare sul concetto di novità. Essere nuovi, alternativi è sempre stata la principale passione giovanile: occorre valorizzare quest'esca. Questo è l'inizio, ma da questo umilissimo punto di partenza si può voltare decisamente pagina verso il nuovo: a partire dal rispetto per la relazione umana e dalla riscoperta della lentezza.
2/ Il Patto Associativo: una promessa da mantenere
1. Se è vero che tutto lo scoutismo deve insegnare a scegliere, è ancora più vero che l'ingresso in CoCa dei giovani Capi (e il permanervi da parte degli altri) si basa su una scelta che ha per oggetto quel "contratto" che è il PA.
2. Si diventa Capi, e si continua ad esserlo, per motivi oggettivi e soggettivi. Quelli soggettivi possono essere cronologicamente prioritari. Ma bisogna riconoscere che sul piano della realtà delle cose il primo posto va dato a quell' "oggettivo" che è rappresentato dal PA. Si deve giungere gradualmente a poter affermare che si è Capi perché si condividono le intuizioni e le scelte che stanno scritte in quel documento. Solo a questa condizione si potrà sperare in una scelta di essere Capo capace di "tenere", malgrado vengano meno le motivazioni che abbiamo chiamato soggettive (il buon cuore, l'amicizia con gli altri Capi, la ricerca di gratificazioni, il tempo, ...).
3. Parlare di "oggettivo" significa riuscire a fondare nei Capi un senso di appartenenza. Un'appartenenza "forte", nel senso che le scelte di chi aderisce al PA sono tutt'altro che neutre. Appartenere significa schierarsi, cioè non potere più stare "nel mezzo" (perché non è vero che "la virtù sta nel mezzo", ma nel "centro": il che è tutta un'altra cosa). Tutto questo contrasta nettamente con la cultura odierna che è ispirata dalla pratica del supermarket. Dovremo riscoprire che tutto e il contrario di tutto non possono convivere.
4. Il legame tra CoCa e PA appare immediatamente: l'adesione al PA non comporta anzitutto l'inizio di un servizio come Capo, bensì il costituirsi di una Associazione che si articola primariamente in una CoCa che successivamente affiderà alla persona un ruolo educativo.
Questo significa che, in un certo senso, il "primo amore" non dovrà essere per i ragazzi, bensì per la CoCa. Posso lavorare con i ragazzi solo se mi sento portato a vivere una seria esperienza di condivisione di ideali, solo se avverto una vocazione alla comunità.
Due paragoni possono illuminare questa riflessione.
• L'amore di coppia e l'amore per i figli. Due sposi non dovranno mai dimenticare che al primo posto sta la coppia e quindi il marito o la moglie e non i figli. Tanto quanto si è autenticamente sposi, altrettanto si sarà autenticamente capaci di generare.
• L'esperienza sacerdotale non è pensabile considerata a sé stante, ma solo all'interno di un presbiterio e della comunione con il Vescovo. Non basta il sacramento dell'Ordine per abilitare all'esercizio pieno del ministero presbiterale. E' necessaria anche una "giurisdizione" che esprima tale comunione e un mandato.
E' la CoCa che si farà carico della mia formazione permanente, che mi offrirà il principale ambito di confronto con altri Capi, che mi "terrà a bottega", che garantirà la continuità del servizio educativo, anche quando con quei ragazzi non ci sarò più io.
5. Un testo del Papa rivolto alle comunità di vita consacrata, debitamente interpretato, può offrirci ulteriori spunti:
" Tutta la fecondità della vita religiosa dipende dalla qualità della vita fraterna in comune... Se però si pospone questa testimonianza della vita religiosa all'azione apostolica o all'autorealizzazione personale, le comunità religiose perdono la loro forza evangelizzatrice... ".
Azione apostolica e autorealizzazione non sono evidentemente un male. Ma devono "scaturire da" e non "precedere la" ricerca di una qualità della vita fraterna in CoCa.
6. E' troppo sognare che in ogni CoCa, durante la prima uscita dell'anno (quella in cui si accolgono i neo-partiti e si definisce il quadro-Capi) si istituzionalizzi una cerimonia in cui il PA venga proclamato, approfondito, firmato...? E' troppo sognare che in ogni CoCa si prevedano periodici momenti di chiarificazione circa i motivi del proprio stare insieme...?
3/ Tre sottolineature non così marginali
Evitare il ritardo nell’attesa di chissà quale maturità.
E’ nostra convinzione che la proposta scout si ponga in "contro-tendenza" rispetto allo stile del contesto culturale in cui i nostri ragazzi e i nostri capi si trovano a vivere. Se da un lato l’adolescenza si allunga e l’acquisizione di uno stato di vita adulto viene rimandato ad un domani non sempre configurabile, lo Scautismo usa un trucco: per far diventare grandi le persone incomincia a trattarle come se grandi già lo fossero; pensiamo a quale grande impegno sia la Promessa, impegnarsi per la vita a dodici anni. Pensiamo all'incarico di Capo Squadriglia: a quindici anni avere la responsabilità di una piccola comunità. Oppure pensiamo al considerare Capi dei giovani-adulti (o dei tardo-adolescenti) di 21 anni, spesso ancora lontani dalla capacità di compiere scelte definitive: il meccanismo è sempre lo stesso, per aiutare la persona a compiere una scelta impegnativa si inizia a trattarla come se già l'avesse fatta. L’importante, comunque, è che si sia almeno completato l’iter di formazione prima di assumersi responsabilità dirette in una unità.
2. Solo in presenza di una certa "stabilità" sarà possibile offrire un servizio duraturo e quindi efficace. L’educazione è un fatto che abbisogna di lunghi anni. Sia per i ragazzi che hanno tempi non programmabili per la loro crescita, sia per i Capi stessi che devono concedersi la possibilità reale di "imparare il mestiere", anche passando attraverso le fasi dell’apprendimento, dell’errore, del successo, della razionalizzazione. Fasi non certo esauribili nel giro di quel paio d’anni, che pure sarebbero sufficienti a completare l’iter di formazione capi previsto dall’Associazione. Per questo riteniamo che il futuro dello scautismo dipenderà anche dall’aumento degli anni di servizio dei nostri capi e dal superamento di quel senso di frustrazione che spesso esaurisce le loro pur generose energie, cercando di far riacquistare loro il "gusto" per il proprio servizio.
3/ La riscoperta della CoCa.
In questa prospettiva la CoCa è il motore del servizio educativo. Deve essere luogo percepito sia in termini "orizzontali", in quanto tutti i Capi sono corresponsabili del servizio e della vita di CoCa, sia in termini "verticali", in quanto ambito di confronto e di lavoro comune tra persone diverse per sesso, età, competenze, esperienze, ecc., portatori ciascuno di elementi necessari e complementari. La CoCa inoltre deve tendere a sviluppare al suo interno le capacità di comunicazione e relazione tra i Capi.
Non dimenticare: asimmetria dei ruoli (non abbiamo tutti lo stesso peso specifico!)
CoCa. come "scaturigine" del servizio dei singoli Capi
CG, no abate, no controllore di volo
P.d.C., no regola monastica, no adempimento burocratico
4/ La gestione delle relazioni tra Capi
La questione delle relazioni tra i Capi della Co.Ca. è uno degli aspetti cruciali su cui si gioca il buon andamento della stessa. Spesso, infatti, i problemi e le fatiche maggiori della vita di una qualunque Comunità Capi sono causate da tensioni personali e difficoltà di rapporto fra alcuni membri, più che da divergenze di carattere metodologico o di politica di azione del Gruppo.
La gestione delle relazioni diviene quindi una delle attenzioni prioritarie e qualificanti la vita di Co.Ca.: essa investe sia la capacità dei Capi Gruppo di favorire un clima disteso e propositivo, sia la disponibilità dei singoli Capi a mettersi in gioco con apertura e sensibilità, ma necessita anche dell’attivazione di alcuni momenti da viversi con modalità particolari e funzionali alla creazione di un ambiente fraterno ed accogliente, che incentivi rapporti rilassati e sereni.
Non è più sufficiente condividere il lavoro di Co.Ca. ed essere accomunati solo dai medesimi obiettivi: è essenziale che venga favorito un clima di reale comunione e scambio di idee e di competenze, affinché ciascun Capo si senta coinvolto e stimolato a fare del proprio meglio, partecipando alla propria crescita come persona e come educatore, sebbene lo scopo finale resti, ovviamente, un buon cammino educativo per i ragazzi.
Il rapporto con altri Capi diviene un aspetto fondamentale per la vita della Comunità Capi e la formazione dei suoi membri. Il confronto, quindi, elemento fondamentale su cui si basano tutti i momenti, istituzionali e non, in Associazione, è pilastro portante della vita in Comunità Capi come di tutti gli incontri tra Capi, da quelli di Zona fino ai Consigli Generali. In quest’ottica, si può affermare che "consapevolmente o inconsapevolmente ogni Capo è Formatore di altri Capi: è uno spazio in cui si gioca la credibilità e l’efficacia dello scautismo, vissuto e conosciuto nei suoi strumenti, nel suo stile e nel suo clima".
Pur nella convinzione che il servizio di Capo sia esigente, quanto al tempo necessario per svolgerlo, forse talvolta sarebbe più utile rinunciare ad un’attività con le unità a favore di un momento forte di convivenza fra Capi, che consenta di avere a disposizione spazi e tempi più ampi e distesi rispetto a quelli delle riunioni serali. Per questo un’uscita di Comunità Capi all’inizio, a metà ed a fine anno, che preveda un momento dello Spirito (ascolto della Parola e celebrazione), momenti di revisione delle unità (la gestione del Progetto Educativo) e del Progetto del Capo, il tutto immerso in una cornice di vita scout, caratterizzata da momenti di strada e di gioia, contribuisce notevolmente a creare e cementare le relazioni, ad alimentare la stima e la fraternità tra i membri della Co.Ca.
- Il cammino di fede porta alla crescita del livello di coscienza personale, ad un allargamento del cuore agli altri, ad un approfondimento della propria scelta di fede, pur non esaurendo il cammino personale di ogni Capo, intrinsecamente legato alla propria comunità ecclesiale.
- Lo stare insieme, il fare fatica insieme per costruire qualcosa di grande favorisce ad ogni età, dai Lupetti/Coccinelle fino ai Capi, la creazione di rapporti sinceri, profondi e fraterni.
- Le revisioni di unità aiutano a sapere sempre a che punto ci si trova e danno la possibilità di individuare piccoli accorgimenti che permettano di superare difficoltà, spesso di relazione tra Capi, esistenti nel lavoro delle unità; consente anche, eventualmente, di evidenziare le necessità di approfondimento metodologico in ordine ai problemi che emergono con i ragazzi.
- La revisione del Progetto del Capo permette ad ogni membro della Co.Ca. che lo desideri, di comunicare la propria situazione su alcuni aspetti del proprio cammino ed avere così un’importante misura di confronto con gli altri Capi.
La qualità dei rapporti tra Capi sono dunque molto importanti, "perché la fiducia e la stima reciproca sono l’unica acqua su cui la nostra barca educativa ha la possibilità di galleggiare".
5/ La gestione del tempo e l’organizzazione
Il tempo e l’organizzazione, elementi misurabili e quantificanti il servizio di ogni Capo, non possono essere separati. È infatti necessario tempo per acquisire competenza, la quale diviene poi essenziale per rendere più incisiva l’azione educativa, ma anche per ottimizzare e risparmiare altro tempo.
In Associazione, infatti, il tempo è quasi uno spartiacque: chi ha tempo può fare servizio, chi invece ne ha poco, pur essendo magari davvero capace, spesso non riesce a ritagliarsi uno spazio di servizio.
La mancanza di tempo è la principale causa addotta dai Capi per motivare l’abbandono del servizio.
Malgrado ciò, spesso le Comunità Capi sono poco rispettose del tempo e ne sprecano molto in mancanza di puntualità e incapacità di calcolarlo realisticamente in sede di progettazione delle attività. Una buona gestione del tempo richiede esperienza, furbizia, adattabilità alle situazioni, ma anzitutto capacità di scegliere le priorità.
Un invito può essere quello di riscoprire il dono della sintesi, magico incontro di essenzialità e rispetto, tutt’altro che un appello alla superficialità o al pressappochismo. Ricordiamo il "monito di B.P.: "Se un uomo non riesce a dire ciò che vuole a ragazzi attenti in dieci minuti, merita di essere messo al muro.""
Dall’esperienza di ciascuno, alle prese con tempi sempre più stretti, da giostrare tra professione, famiglia, servizio, amicizie, eventuali hobby o sport …, emerge la necessità di avere una scala di priorità. Una causa non secondaria della fisiologica mancanza di tempo si annida, da un lato, nella tempesta di opportunità in ogni campo offerte dalla società, e, dall’altro, nell’ingordigia e nel desiderio di non rinunciare a niente, di lasciarsi aperte tutte le strade. Colui che riesce ad essere libero, perché in grado "di optare tra più possibilità relativamente a quella ritenuta migliore per la vita e per il domani e di essere disponibile a tagliare via (cioè a decidere) le altre, senza rimpianti e con l’orgoglio di essere protagonisti della costruzione della propria vita", vivrà profondamente le proprie scelte e non vedrà il tempo come un tiranno.
In questi ultimi anni l’Associazione ha avviato un cammino di riflessione e sperimentazione sul metodo di lavoro delle Co.Ca. al fine di sostenere la sua centralità nell’azione educativa dei Gruppi e dei singoli Capi.
Lo scopo sarà quello di far sì che si crei nei Capi una sorta di rinnovamento, di nuovo afflato, al fine di rendere le comunità formative piacevoli e di reale sostegno al servizio educativo, attraverso l’individuazione di alcuni percorsi concreti e proposte di attività. Questo per fronteggiare il turn-over dei Capi (dovuto a contrasti o disaffezioni sorte all’interno della CoCa stessa) e perché la CoCa sia sempre più capace di rispondere alle esigenze dei Capi in servizio.
Andrà quindi favorita la costituzione di un clima di lavoro, di uno stile di fondo.
E’ nostra convinzione che un Capo si sentirà partecipe se in CoCa riuscirà a parlare:
delle problematiche educative legate ai ragazzi,
di sé, del suo cammino di Capo, dei suoi problemi e anche dei suoi successi.
La "fatica", il lavoro legato alla costruzione di questo clima, non dovrà essere solo sulle spalle del Capo Gruppo, perché è compito di tutta la Co.Ca. crearne i presupposti e le occasioni.
Quattro ci sembrano i passaggi che genereranno questo clima, questo stile:
la scelta di essere Capo, la scoperta della propria vocazione che diventa partecipazione e assunzione di responsabilità;
la capacità di formulare un progetto personale, da condividere con gli altri Capi, affinché ci sia reale crescita;
il sapere operare delle scelte, individuare le priorità;
necessario il tempo della verifica, che aiuta a comprendere l’incisività del lavoro svolto.
Poste queste premesse, viene proposto un "dodecalogo" che elenca gli ambiti di lavoro di ciascuna Co.Ca.
1. Programma di Co.Ca
Per rendere corresponsabili tutti i Capi nella gestione e condivisione della vita di Co.Ca., è necessaria la stesura di un programma di Co.Ca.. In questo lavoro, i Capi Gruppo saranno soprattutto attenti:
ad animare l’incontro;
a non perdere di vista il Metodo e lo stile scout;
a leggere, tra quello che succede negli incontri di Co.Ca., i problemi reali;
a trasformare le difficoltà e le risorse e tutto quanto "letto", a livello trasversale, con riferimenti espliciti al Metodo, alla intenzionalità educativa e alla progressione del Capo;
a garantire la realizzazione del Progetto Educativo e l’avanzamento del programma di Co.Ca.
2. Mandato e ruoli in Co.Ca.
È necessario che il Capo prenda coscienza della vocazione personale insita nella sua scelta di servizio, vocazione che si realizza in modo concreto nel compito del Capo educatore. Affinché questo avvenga, va recuperato il senso di una comunità che affida il compito di educatore scout e di catechista ai suoi Capi.
Per realizzare questo, bisogna:
conoscere e valorizzare le singole persone, così da definire bene gli incarichi all’inizio dell’anno, con attenzione alla continuità educativa, alla competenza e alle attitudini dei singoli;
definire il ruolo dei Capi a disposizione (tendenzialmente per non più di un anno);
sottolineare, attraverso delle cerimonie significative, il mandato della Comunità Capi ad essere educatore scout e della comunità ecclesiale ad essere catechista.
3. Patto Associativo
Come già ampiamente descritto, l’adesione al PA è la scelta del Capo prima della sua entrata in Co.Ca. e rappresenta, nel tempo, uno strumento di verifica della fedeltà alle scelte fatte. Perché i Capi si sentano attori protagonisti, il PA deve essere orizzonte di ogni decisione in Comunità Capi, realtà che lega intimamente, valorialmente e stabilmente tutti i Capi.
Concretamente, è utile che i Capi Gruppo incontrino coloro che hanno preso la Partenza, o gli adulti che chiedono di entrare in CoCa per una presentazione e discussione sul Patto Associativo.
Progetto del Capo
Ogni Capo, come adulto in cammino, progetta il proprio cammino di Capo e lo condivide in Comunità. Pertanto, il programma di Co.Ca. prevederà, durante l’anno, due o tre momenti forti, dove i Capi, con l’aiuto dell’Assistente Ecclesiastico, possano riflettere, fare il punto e riorientare il proprio servizio.
Stesura del Progetto Educativo
È il contratto che lega i Capi di una Co.Ca., identificando, anche verso l’esterno, l’impegno di servizio, dichiarando le priorità dell’intervento educativo del Gruppo.
Il lavoro di stesura deve prevedere pochi incontri e un’uscita finale. Bisogna identificare pochi obiettivi, chiari e verificabili, specificando magari anche eventuali tappe intermedie. Così i Capi possono concretare bene la loro azione educativa senza dispersione di tempo, energie, guadagnando incisività e concretezza.
6. Gestione del Progetto Educativo
Una volta elaborato, il Progetto Educativo deve diventare la sorgente dei programmi delle Branche e della Co.Ca., così che la sua gestione lo renda bussola del servizio educativo.
È necessario, pertanto, vivere, all’inizio dell’anno scout, un momento di riappropriazione del Progetto Educativo, sia per consentire ai nuovi entrati in Co.Ca. di conoscerlo e approfondirne i contenuti e le priorità, sia per permettere a tutti di richiamare gli obiettivi delineati e puntualizzare le priorità del nuovo anno.
Sarà cura poi di ciascuna Branca la traduzione del Progetto, attraverso la stesura dei programmi periodici d'unità, dove verranno identificati gli obiettivi propri dell'unità interessata, desunti dagli obiettivi prioritari del Progetto Educativo e da situazioni particolari dell’unità in quel momento.
Alla scadenza del programma delle unità, e in ogni caso a fine anno, sarà necessaria una verifica sul lavoro svolto in unità. Essa andrà preparata dallo staff d'unità interessato, ma vi parteciperanno tutti i Capi, in quanto cogestori del lavoro educativo del Gruppo.
7. Presenza del Capo nella Chiesa Locale
Il punto di riferimento, verifica e confronto della scelta cristiana del Capo è nella Chiesa locale.
Per questo, la Comunità Capi si impegna a tenere presente le proposte della Parrocchia, del Vicariato, del Decanato, utilizzando la Zona come cassa di risonanza di tutte le iniziative pastorali ed ecclesiali.
La Co.Ca. deve programmare e cadenzare incontri e proposte, promuovendo occasioni di confronto sui vari cammini presenti nella Chiesa locale e vivere esperienze insieme ad altre realtà.
8. Vita Cristiana del Capo
È continua ricerca, ascolto, confronto, annuncio della parola di Dio, linfa necessaria per svolgere bene il proprio servizio.
La Co.Ca. non può essere l’unico ambito di fede per il Capo, ma luogo privilegiato per affiancare, stimolare, sostenere il cammino dei singoli, sollecitandoli alla crescita personale nella fede. Il capo, accettando il mandato, si assume anche le responsabilità catechistiche nei confronti dei ragazzi, testimoniando le proprie scelte nella vita quotidiana.
La testimonianza si realizza concretamente nell’impegno a seguire una Direzione Spirituale e a recuperare momenti di silenzio, meditazione, preghiera.
La Co.Ca., a sua volta, offre occasioni di verifica e correzione fraterna, momenti di silenzio, meditazione e preghiera e segnala le proposte delle realtà ecclesiali locali.
9. Condivisione della vita delle unità
Un reale cammino di Progressione Personale si può realizzare solo attraverso una continuità educativa. Per questo in Co.Ca. si deve giungere ad una reale condivisione dell’impegno educativo.
Condivisione che non è sinonimo di informazione, ma di corresponsabilità, che si esplicita nella capacità d'aiutare e accettare l’aiuto, imparando a compartecipare l’esperienza dello staff, delle unità e la crescita dei ragazzi.
La Co.Ca., in questo, si impegnerà a creare un clima favorevole all’ascolto, con attività, tecniche scout e di comunicazione. Nel programma di Comunità Capi troveranno spazio momenti di scambio in cui i Capi porteranno alcuni elementi del loro servizio educativo e potranno raccogliere indicazioni dagli altri Capi.
È altresì utile elaborare una scheda personale di ogni ragazzo che lo accompagni lungo tutto il suo iter educativo, che valorizzi la sua storia e le sue esperienze, fornendo utili suggerimenti ai Capi.
Competenza metodologica
Uno degli obiettivi prioritari della Co.Ca. è il fare formazione, approfondendo il metodo scout, declinato poi in tutte le Branche con gli strumenti peculiari, al fine di migliorare la Proposta Educativa del Gruppo.
La Co.Ca. individuerà e affronterà, annualmente, pochi ma nodali e chiari temi trasversali che avranno implicazioni concrete nelle Branche. Saranno occasioni per raccontarsi il metodo di Branca, per incontrare esperti e per individuare modalità d’azione nelle unità.
Un’altra attenzione è da porre al trapasso di nozioni in staff, garantito da un Capo unità esperto o da un Capo esterno che incontra lo staff periodicamente.
Vita associativa
Ogni Capo deve essere cosciente di essere un attore protagonista del Grande Gioco dello scautismo. Deve sapersi concentrare anche sulla vita di Zona, impegnandosi in una presenza costante e fattiva, dove potrà sollecitare, chiedere e confrontarsi, per trovare alcune risposte e migliorare il proprio servizio.
La Co.Ca. deve quindi riflettere ad inizio anno sui bisogni dei Capi, vagliare quelli che possono essere soddisfatti dalla Zona, e trovare momenti in cui mettere in comune il patrimonio acquisito in Zona dai Capi delle diverse Branche.
Il Capo Gruppo deve "portare" la sua Co.Ca. in Consiglio di Zona, così da essere soggetto attivo nell’Associazione e nel territorio.
Presenza nel territorio
Nasce dal desiderio di interrogare, lasciarsi interrogare e interagire con la realtà in cui si opera.
Le Co.Ca. sono il primo luogo di educazione alla politica in Associazione, e insegnano a farsi carico del bene comune.
Il Capo Gruppo in primis deve esercitare un ruolo di presenza attiva all’esterno, attento a quello che c’è fuori, stimolando la Co.Ca. a valutare gli ambiti prioritari di intervento, delegando alcuni Capi a rappresentarla nelle principali istituzioni (Consiglio pastorale, circoscrizionale…).
Ogni unità, a sua volta, deve progettare almeno un momento nell’anno di attività di conoscenza e promozione del territorio.