PINACOTECA

Giovanni Spano , appassionato studioso sulle ricerche archeologiche dell'isola , riuscì con grande sensibilità a salvare opere destinate degrado , custodendole nella casa pettorale di Ploaghe. Giovanni Spano era consapevole che durante l'800 si era avuta scarsa cura del patrimonio ecclesiastico , quindi ritenne opportuno predisporre di un catalogo, dove elencò i dipinti da lui custoditi, con alcune note per crescerne la conoscenza. Ciò fu infatti un caso unico e straordinario che ci permette la riflessione sui dipinti. Questo catalogo descritto, comprende delle pitture su tavola, su tela, su rame e su pietra; molte di queste sono andate perdute e tra queste anche la tavola di San Michele.

LA QUADRERIA

Tra le opere più importanti ricordiamo:
La tavola di San Domenico, appartenente al soppresso convento omonimo di Cagliari, fu realizzata nel secolo XIV, per un polittico ora disperso, come precisò lo Spano avanzando la possibilità che discendesse da un pittore napoletano. La tavola ploaghesi pare riverberare coincidenze con un artefice di ambito pisano, influenzato dalle maniere di Maso e di Grottino, senza escludere ugualmente tangenze con la produzione senese della medesima epoca.
La tavola della Madonna con il bambino e i santi, inclusa in una cornice coeva d'impronta tardogotica, era stata acquistata dall'arcivescovo D. Emanuele Marongiu Nurra a Roma, per una somma rilevante in quanto era stata creduta del Beato Angelico e per questa attribuzione gli era stato impedito il trasporto nella medesima Sardegna. L'arcivescovo -raccontò sempre lo Spano nei suoi scritti- si era rivolto all'allora pontefice per ottenere l'autorizzazione: un permesso che gli era stato accordato in cambio di alcuni quadri lasciati dallo stesso prelato al Papa. Raffaello Delogu, pur confermando la mano di un artista gravitante in ambito fiorentino nella prima metà del Quattrocento, vi scorse solo reminiscenze dell' Angelico ed echi di Domenico Veneziano. Alcuni particolari, come la sproporzionata figura del bambino in rapporto all'impianto compositivo, indurrebbero ad includere la tavola nella seconda metà del secolo XV inclinando per modi ritardati desunti da Filippo Lippi.
Le Stimmate di San Francesco faceva parte di una grande pala d'altare della chiesa di Stampace ritenuta del pittore Cavaro, alcuni elementi della quale sarebbero andati perduti se lo Spano non li avesse recuperati. Purtroppo la tavola raffigurante San Michele, inclusa nel medesimo retablo, è stata trafugata in tempi recenti.
Il dipinto delle Stimmate di San Francesco ha strette concordanze iconografiche con l'analoga opera di San Francesco d'Oristano, eseguita nel 1533, per quanto, secondo lo stesso Delogu, rispecchi esperienze continentali pur conservando maggiori accentuazioni tonali una costruzione più squadrata nell'affrontare le figure e il paesaggio.
In particolare Corrado Maltese ravvisa il Michele Cavaro, figlio di Pietro e autore di quello oristanese, luminescenze nel disporre le figure contro fondali ombrosi. Di contro nella tavola di esame si adombrano concordanze con opere della maturità di Pietro Cavaro allorché stempera le forme tardogotiche di tipo iberico per una veste pittorica più italianeggiante.
La Sacra Famiglia, che doveva sicuramente far parte di un retablo di cui non è rimasta alcuna traccia, era stata in passato attribuita a Filippo Lippi un'attribuzione riveduta da Corrado Maltese e da Renata Serra i quali l'assegnano al maestro di Ozieri, includendola nella seconda metà del 500.