Io getto un ponte
sul fiume spumeggiante
da una riva all’altra
fra la cascata in piena,
un ponte di corde
fragile e leggero
ondeggiante come l’aria
e flessibile come il vento,
là dove un giorno
fu costruito un ponte
solido e ben fatto
su piloni di legno
e pietre ben squadrate
e con cemento e mattoni
e tutto l’occorrente
per resistere al tempo,
ma non durò che un giorno
perché la piena lo colse
e nessuno lo ricostruì
perché lo chiamarono
il ponte degli invasori,
e la gente di là dal fiume
voleva esser libera
e odiava quel ponte
portatore di schiavitù.
Io getto un ponte
fragile e leggero
ondeggiante come l’aria
e flessibile come il vento,
un ponte di speranza,
chi vorrà passarvi
privo di superbia
dovrà aver coraggio
attaccandosi alle corde
e bilanciando il peso,
non vi potrà portar armi
ma solo mazzi di fiori,
non sacchi d’oro e di argento,
ma solo proferte d’amicizia.
Io getto un ponte
fragile e leggero,
ondeggiante come l’aria
e flessibile come il vento,
nato per durare un giorno
vivrà più del primo,
perché la gente lo chiamerà
il ponte della speranza,
ne cambierà le corde
e lo considererà suo,
e sarà percorso
da gente bianca e nera
nell’andare e venire
con sofferta attenzione,
per non farlo crollare
sotto il peso e i flutti
che continueranno a batterlo
da una parte e dall’altra.
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