Il tavolino

 

Pere e pecorino o pecorino e pere,

“non lo far sapere”, a chi?

“al contadino quanto l’è bono

il cacio con le pere”.

Sul piazzale dell’arcangelo

in questa sera di fine estate

al tavolone verde sul prato me ne sto

con le gatte al lato a fare le fusa

e intersecare una pera coscia col cacio,

pera e delizio una dopo l’altra,

fra frinir di cicale inesorabilmente ciarliere,

dalie gialle che si stagliano

luminose contro il rosa della casa,

vasetti di gerani fioriti e allineati

sugli scaffali di ferro come soldati

di un’improbabile armata Brancaleone

dalle divise varie e colorate.

Tramonto roseo a pennellate

Oblique e delicate,

dietro l’abete azzurro il Saltino e Secchieta,

aria tiepida di un autunno annunciato,

il verde splendido della cancellata,

il bianco e il verde dell’edera del vicino

che invade il mio giardino,

sedie bianche e il tavolino tondo e sornione

che par che dica: ”vieni un po’ da me,

lascia quel tavolone rozzo e di legno grosso,

son io più adatto a far da scrittoio

al pensier di un’artista,

son tavolino da bar e da caffè chantal

secondo la migliore tradizione

che chi scrive ha bisogno della confusione

e di gente d’intorno

perché la mente si metta in fazione”.

Io pigra rispondo:

“Gentil Signore

senza far offesa a Lei

che con tanto garbo e tanta profusione di grazia

mi invita al suo piano

per ospitar i miei fogli e la mia biro

le dirò che accetterò un’altra volta

con piacere il suo invito,

ma per stasera starò qui più all’ombra,

da questo mio vecchio amico

che pur nella sua più rustica accoglienza

mi è comodo, grande e ospita le gatte

che soprintendono al mio lavoro

passeggiandoci sopra

con molta competenza e professionalità.

Inoltre caro Signor Tavolino tondo

Sebbene si veda che Lei sia proprio di città

e di razza recente perché di plastica

mi saprebbe dire perché tende a perdere pezzi,

non è forse suo

quella specie di olaò là appeso?

Tace! Non si offenda sa,

non è colpa sa se la Pasquina mi vendette lei

che era un po’ debolino di salute fin dall’inizio.

Prima mancava un bullone

e caddero le gambe,

per cui la dovetti cerchiare con del fil di ferro

e metterci dentro un palo di sostegno,

poi si distaccò il cerchio del piano.

Lei non si deve vergognare

Signor Tavolino di plastica,

io sono comprensiva e capisco

che lei è della generazione dei giovani moderni,

di belle speranze ma un po’ gracile di fisico.

Ho invece un suo antenato,

un altro tavolino verde tondo di ghisa

che apparteneva niente popò  di meno

che al mio zio fattore

e che ha più di cent’anni

e che sta in ottima salute più di lei.

Ogni anno ha bisogno solo,

di una cura ricostituente

di vernice che gli pratico

e risplende di salute e resistenza

sulle sue magre gambette.

Come vede le somiglia proprio,

ma non nella salute.

Non si affligga

Signor Giovane Tavolino di plastica bianca,

la prossima volta verrò da Lei

e scriverò la più bella poesia della mia vita,

e non solo citerò la data e il luogo

dove l’avrò composta ma pure il tavolino,

così che Lei abbia il suo giusto merito

a cui la sua anima sensibile di tavolino artistico

giustamente agogna.”


 

 

 

 

 

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