In qualche antro oscuro

(Campagna-97-98)

 

In qualche antro oscuro

si raccontava vivesse

terribile animale

dalla mole possente

e ferocia inaudita

che non temeva umani

ma con gagliarda sfida

rapiva e uccideva

chiunque fosse là giunto.

Fra i boschi e le capanne

e le navi possenti

che percorrevano i fiumi

e i mari e i laghi

si sparse la voce

di tale orrida cosa.

E ci fu chi

figlio di Re promise

di liberare il luogo

da tale pericolo

e terrore e flagello.

Fu dura lotta e prova

e pellegrinaggio

di molti lunghi anni

fra tribù di fratelli,

dove il coraggio

e lealtà e onore

eran virtù provate

che facevan primo

chi non temeva per se

sorte ingrata e crudele.

Ambito agli occhi

delle fanciulle in fiore

era colui che

a tal prove metteva

l’anima sua ardente

per il bene di tutti.

In tal modo furon molti prodi

giunti a noi nelle saghe

che raccontan loro gesta

e commuovon i nostri cuori,

antiche storie

di una vita diversa

ma spesa per il bene

che si chiamava tribù,

e fratelli e famiglia

e onore e lealtà.

Antiche storie

in una lingua assai strana

e antica e lontana

che un inglese ben colto

non riconoscerebbe per sua

e che un tedesco studioso

farebbe impazzire

nell’usare il dizionario,

pur che avesse

tempo e voglia di farlo.

La lingua di Alfredo

re coraggioso e fortunato

ci ha raccolto e portato

una di queste saghe

in cui ritroviamo la vena

degli uomini del Nord,

ma ecco che i noiosi filologi

che vanno spulciando

pezzo a pezzo le righe

non capendoci nulla se non

la rotazione delle consonanti

o altre inezie di nessun valore

che non toccano

il cuore degli uomini.

Per fortuna gli archeologi

si mettono in mezzo

con ipotesi tanto illuminanti

da essere contraddette

dopo pochi anni.

La gente comune

se ne disinteressa e fa bene

per non ammattire

visto che il mondo

è matto già ora com’è.

Ma torniamo al dunque

dei nostri prodi

che combattevano il mostro

o più mostri che fossero.

Vi racconto come

andarono le cose

o meglio facciamolo dire

a Verilulfo l’armaiolo

che vi ci si trovò:

“Giunsero dei tipi

tutti miti e senza armi

e venivano dal mare,

parlavano una lingua

sconosciuta e strana,

facevano lunghi canti

belli e incomprensibili

e misteriosi come un incantesimo,

meglio di un incantesimo

per mandare via il malocchio

o guarire le pustole

o altra robaccia che capitava

alla nostra gente da queste parti

e in questi aspri luoghi,

e curavano con i loro canti,

i loro oli e le loro preghiere

anche il cuore degli uomini,

mettevano l’accordo

fra le tribù rivali,

e dicevano di perdonare

e non portare su un pennone

la testa del nemico.

Tutti furono conquistati,

prima le donne, che si sa

si commuovono facile,

ma quel che più conta il Re

e se il Re ci crede

perché non crederci noi

i suoi sudditi fedeli?

Ci parlarono di Cristo

morto in croce in Palestina

terra lontana di là dal mare

e di un Principe degli Angeli

che si chiama Michele

che somiglia al figlio del Re

e ai nostri ragazzi combattenti

tanto coraggiosi e belli

e leali e forti.

Quando avemmo bisogno

pensammo bene

di rivolgerci a lui

che non si fece attendere

al nostro richiamo,

non sto qui a raccontarvi

dei fatti prodigiosi accaduti.

L’Arcangelo S.Michele

il protettore di Israele,

dove era nato il Cristo,

si mise a proteggere anche noi

e devo dire in verità

che da allora le cose

pur fra alti e bassi

sono andate molto meglio.”