Ragazza ebrea

 

Uno schermo che proietta luci di ombre,

sulle spalle lo strano peso della mia giovinezza,

l’odore acre del fumo delle sigarette fumate,

il profumo inebriante del glicine di quella primavera.

 

Fra le mie mani:

il ricordo di una freschezza e di una gioia tanto forti

che non le sento più.

Dalla gabina di proiezione

seguitano a gettare sul telone

visi e paesaggi senza valore

mentre risento il rumore di quella casa

che ho lasciato e che non esiste più.

 

Lo strapazzo di quella notte che dovetti fuggire

per non più tornare fra gli alberi grandi del viale.

Il paese senza festa come era bello

fra le lunghe file di abeti

che fiancheggiavano il parco di erba scura.

Venne la notte. Un allarme

e tutti fummo messi sui lunghi camion.

Ma io fuggii, noi fuggimmo.

Solo noi due, noi due che non ci amavamo.

 

E ora rivedo sulla parete la mia storia,

con attori che recitano solo, perché

nessuno sa qual è la verità.

Neppure io che l’ho vissuta.

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