Vorrei urlare

(Campagna,

23 novembre 1998)

 

Vorrei urlare

dalle finestre alte

di questa grande casa

il mio amore

fin sulla collina,

senza remora alcuna

libera come l’aria

e improvvida come il vento

che scompiglia le chiome

dei grigio argentei ulivi.

Vorrei, ma io non posso,

non posso e ben lo so,

perciò farò credere a tutti

quello che voglion di me,

come d’anima schiva

e forse un po’ retriva,

e addormentata e sognante

nel passivo vivere

di queste auguste mura

di piccolo convento

posto come ornamento

là sul declivio erboso

nei pressi del lui fosso.

Il mio canto silente

S’udrà allor

solo all’albe sorgenti

o nei tramonti rosei

accarezzanti

le boscose chiome

di questi arbusti scuri

che circondan il borgo

e fanno ghirlande intorno

alle chiese e alle case.

S’udrà un urlo allora,

un urlo come d’eco soffuso

e misterioso che ciascun udrà

senza saperne cagione,

come voce potente del tuono

o rimbombo di città sotterranea,

o ritorno forse della sottostante piana,

che dall’Arno risale fino a noi

qua fuori,

s’udrà una voce come di canto,

s’udrà senza udirla

come sognata in ciascun,

di poi che per incanto

porrà mente al suo cuore,

come guidrigildo d’amore

e di passione;

e allor ciascun dirà:

“Cos’è ragione

di questo stran sembiante

di rumor che qui s’ode?

E’ terremoto, tuono,

fantasma o mia chimera?”