Da " Mediterranee", 1947
Amai
Amai trite parole che non uno
osava. M'incantò la rima fiore
amore,
la più antica difficile del mondo.
Amai la verità che giace al fondo,
quasi un sogno obliato, che il dolore
riscopre amica. Con paura il cuore
le si accosta, che più non l'abbandona.
Amo te che mi ascolti e la mia buona
carta lasciata al fine del mio gioco.
Da " Casa e campagna", 1909-1910
A mia moglie
Tu sei come una giovane,
una bianca pollastra.
Le si arruffano al vento
le piume, il collo china
per bere, e in terra raspa;
ma, nell'andare, ha il lento
tuo passo di regina,
ed incede sull'erba
pettoruta e superba.
E' migliore del maschio.
E' come sono tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio.
Così se l'occhio, se il giudizio mio
non m'inganna, fra queste hai le tue uguali,
e in nessun'altra donna.
Quando la sera assonna
le gallinelle,
mettono voci che ricordan quelle,
dolcissime, onde a volte dei tuoi mali,
ti quereli, e non sai
che la tua voce ha la soave e triste
musica dei pollai.
[...]
Tu sei come una lunga
cagna, che sempre tanta
dolcezza ha negli occhi,
e ferocia nel cuore.
Ai tuoi piedi una santa
sembra, che d'un fervore
indomabile arda,
e così ti riguarda
come il suo Dio e Signore.
Quando in casa o per via
segue, a chi solo tenti
avvicinarsi, i denti
candidissimi scopre.
Ed il suo amore soffre
di gelosia.
[...]
La capra
Ho parlato a una capra.
Era sola sul prato, era legata.
Sazia d'erba, bagnata
dalla pioggia, belava.
Quell'uguale belato era fraterno
al mio dolore. Ed io risposi, prima
per celia, poi perché il dolore è eterno,
ha una voce e non varia.
Questa voce sentiva
gemere in una capra solitaria.
In una capra dal viso semita
sentiva querelarsi ogni altro male,
ogni altra vita.
Da " Trieste e una donna ", 1910-1912
Trieste
Ho attraversata tutta la città.
Poi ho salita un'erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.
Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,
è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all'ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l'ultima, s'aggrappa.
Intorno
circola ad ogni cosa
un'aria strana, un'aria tormentosa,
l'aria natia.
La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.
Città vecchia
Spesso, per ritornare alla mia casa
prendo un'oscura via di città vecchia.
Giallo in qualche pozzanghera si specchia
qualche fanale, e affollata è la strada.
Qui tra la gente che viene e va
dall'osteria alla casa o al lupanare,
dove son merci ed uomini il detrito
di un gran porto di mare,
io titrovo, passando, l'infinito
nell'umiltà.
Qui prostituta e marinaio, il vecchio
Che bestemmia, la femmina che bega,
il dragone che siede alla bottega
del friggitore,
la tumultuante giovane impazzita
d'amore,
sono tutte creature della vita
e del dolore;
s'agita in esse, come in me, il Signore.
Qui degli umili sento in compagnia
il mio pensiero farsi
più puro dove più turpe è la via.
Nuovi versi alla Lina
13.
Dico al mio cuore, intanto che t'aspetto:
scordala, che sarà cosa gentile.
Ti vedo, e generoso in uno e vile,
a te m'affretto.
So che per quanto alla mia vita hai tolto,
e per te stessa dovrei odiarti.
Ma poi altro che un bacio non so darti
quando t'ascolto.
Quando t'ascolto parlarmi d'amore
sento che il male ti lasciava intatta;
sento che la tua voce amare è fatta
per il mio cuore.
14.
Dico: - Son vile...-; e tu: - Se m'ami tanto
Sia benedetta la nostra viltà -
- ... ma di baciarti non mi sento stanco -
- E chi si stanca di felicità ? -
Ti dico: - Lina, col nostro passato,
amarci... adesso... qual oblii domanda! -
Tu mi rispondi: - Al cuor non si comanda;
e quel ch'è stato è stato -
Dico: - Chi sa se saprò perdonarmi;
se più mai ti vedrò quella di prima? -
Dici: - In alto mi vuoi nella tua stima?
Questo tu devi: amarmi -.
Da " La serena disperazione ", 1913-1915
Caffè Tergeste
Caffè Tergeste, ai tuoi tavoli bianchi
ripete l'ubriaco il suo delirio;
ed io ci scrivo i miei più allegri canti.
Caffè di ladri, di baldracche covo,
io soffersi ai tuoi tavoli il martirio,
lo soffersi a formarmi un cuore nuovo.
[...]
Caffè di plebe, dove un dì celavo
la mia faccia, con gioia oggi ti guardo.
E tu concili l'italo e lo slavo,
a tarda notte, lungo il tuo bigliardo.
Da " Cose leggere e vaganti ", 1920
L'addio
Senz'addii m'hai lasciato e senza pianti;
devo di ciò accorarmi?
Tu non piangevi perché avevi tanti,
tanti baci da darmi.
Durano sì certe amorose intese
quanto una vita e più.
Io so un amore che ha durato un mese,
e vero amore fu.
Mezzogiorno d'inverno
[...]
Un palloncino
un turchino vagante palloncino
nell'azzurro dell'aria
[...]
quel globo dalla mano incauta
d'un fanciullo sfuggito (egli piangeva
certo in mezzo alla folla il suo dolore,
il suo grande dolore).
Forse un giorno diranno
[...]
Forse un giorno diranno: - Ma chi era
questa Paolina, che le scrisse Saba
versi d'amore ? -
[...]
- Bella,
molto bella - direi - la Paolina;
ma, per quanto ricordo, poco all'altre
diversa che Trieste fan diletta.
E non aveva che la sua cosetta -.
Da " Autobiografia ", 1924
7.
Era già il tempo d'amare; un giocondo
l'alba mi dava ed il vespro stupore.
Così cammina per le vie del mondo
chi veramente del mondo è signore.
[...]
Da " Preludio e fughe ",1928-1929
Quarta fuga (a due voci)
Sotto l'azzurro soffitto è una stanza
meravigliosa a noi viventi il mondo.
A guardarla nei cuori la speranza
e la fede rinasce. Da un profondo
carcere ascolto. Tutto in lei risplende,
nuovo e antico: ogni vita al suo cammino
prosegue lieta, e ad altro più non tende
che ad esser quale ti appare. Il destino
fu cieco e sordo: io dentro una segreta
mi chiusi, dove l'un l'altro tortura
nell'odio e nel disprezzo. E chi ti vieta
d'uscirne, e qui goder con noi la chiara
luce del giorno? Oh tu, che troppo sai
farti del mondo una bella visione,
hai mai sofferto di te stesso ? Oh assai,
oh al di là di ogni immaginazione!
Da " Il piccolo Berto ", 1929-1931
3.
Un grido
s'alza di bimbo sulle scale. E piange
anche la donna che va via. Si frange
per sempre un cuore in quel momento.
Adesso
Sono passati quarant'anni.
Il bimbo
è un uomo adesso, quasi un vecchio, esperto
di molti beni e molti mali. È Umberto
Saba quel bimbo. E va, di pace in cerca,
a conversare colla sua nutrice;
che anch'ella fu di lasciarlo infelice,
non volontaria lo lasciava. Il mondo
fu a lui sospetto d'allora, fu sempre
(o tale almeno gli parve) nemico.
[...]
gli piace
a sera accendere il lume, restare
da lei gli piace, fin ch'ella gli dice:
- E' tardi. Torna da tua moglie, Berto -
Lo specchio
Guardo un piccolo specchio incorniciato
di nero,
già quasi antico, semplice e severo
a un tempo.
Una fanciulla
di contro. Ed un ricordo
d'altri tempi mi viene, mentre in quello
seguo le sue movenze, e come al capo
porta le braccia, e come ai suoi capelli
rende la forma voluta. E il ricordo
narro a mia figlia, per diletto:
- Un giorno
fu, che tornavo di scuola. Il maestro
ci aveva fatta ad alta voce, e come
allora usava, la lettura. Immagina
un bambino che va solo in America,
solo a trovare sua madre. E la trova
sì, ma morente. Che se appena un attimo
ritardava, era morta. Io non ti dico
come a casa giungessi. E quando, vinto
dai repressi singhiozzi, apro la porta
e volo incontro a mia madre, lei vedo
al tuo specchio seduta, nello specchio
il primo suo capello bianco... ed ecco
tu ridi adesso, e anch'io ne rido, o quasi,
ma non quel giorno o quelli poi -.
- Non rido,
babbo, di te - mi risponde; - ma tanto
s'era a quei tempi, o eri tu solo tanto
stupido ? -
E getta
Le braccia intorno al mio collo, e mi bacia;
e dallo specchio e da me s'allontana.
Da " Parole ", 1933-1934
Confine
Parla a lungo con me la mia compagna
Di cose tristi, gravi, che sul cuore
Pesano come una pietra; viluppo
Di mali inestricabile, che alcuna
Mano, e la mia, non può sciogliere.
Un passero
Della casa di faccia sulla gronda
Posa un attimo, al sol brilla, ritorna
Al cielo azzurro che gli è sopra.
O lui
Tra i beati beato ha l'ali, ignora
La mia pena secreta, il mio dolore
D'uomo giunto a un confine: alla certezza
Di non poter soccorrere chi s'ama.
Donna
Quand'eri
Giovinetta pungevi
Come una mora di macchia. Anche il piede
T'era un'arma, o selvaggia.
Eri difficile a prendere.
Ancora
Giovane, ancora
Sei bella. I segni
Degli anni, quelli del dolore, legano
L'anime nostre, una ne fanno. E dietro
I capelli nerissimi che avvolgo
Alle mie dita, più non temo il piccolo
Bianco puntuto orecchio demoniaco.
Da " Ultime cose ", 1935-1943
Notte d'estate
Dalla stanza vicina ascolto care
Voci nel letto dove il sonno accolgo.
Per l'aperta finestra un lume brilla,
lontano, in cima al colle, chi sa dove.
Qui ti stringo al mio cuore, amore mio,
morto a me da infiniti ani oramai.
Colombi
[...]
li ho soli vicini, e ascolto quella
musica d'ali alla finestra, guardo
la loro vita famigliare, bella,
le loro lotte fratricide, ingenue;
come vaghe creature a me li lego
con l'offerta che so grata. La tesa
mano è richiamo a tutti i voli; rosse
zampine vi si apprendono; colori
d'arcobaleno si spiegano. Oh ai miei
portino bene, a me, nella dimora
oggi per pochi sparsi
chicchi di granoturco diventata
la casa visitata da gli angeli.
C'era
C'era, un po' in ombra, il focolaio; aveva
Arnesi, intorno, di rame. Su quello
Si chinava la madre col soffietto,
e uscivano faville.
[...]
C'era, mal visto nel luogo, un fanciullo.
Le sue speranze assieme alle faville
Del focolaio si alzavano. Alcuna
- guarda ! - è rimasta.