NOVELLE  TRADIZIONALI

(Ricerche e testi a cura di: Andreina Pierini -  Renato Papi)

La tradizione orale, ha fatto giungere fino ai nostri giorni le "Novelle", che le mamme e le nonne di Pontito hanno raccontato per secoli ai propri figli e nipoti. Di seguito ne riportiamo alcune, credendo di fare opera utile affinché una simile cultura non vada dispersa per sempre.

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Nelle prime due fiabe, troviamo fra i protagonisti, nientemeno che Gesù e San Pietro.

 

I CENTO SCUDI

 

Al tempo in cui Gesù e San Pietro “seminavano” i paesi, percorrevano queste valli con tutti i villaggi in un corbello, ma questo si bucò e tutti i paesi si disseminarono a caso lungo i pendii della nostra valle. Lucchio addirittura, cadde proprio sulla cima di un precipizio, tanto che il Signore, mentre scendeva verso la Lima, si voltò e vedendolo lì attaccato disse: “Ormai indietro non si ritorna, dove sei caduto vuol dire che resterai”.

Siccome erano stanchi ed affamati, disse a Pietro: “Fermiamoci in questa piccola locanda.” Entrarono, e l’oste li fece sedere dicendo che poiché era tardi poteva dargli da mangiare solo un po’ di minestrone. Davanti al piatto fumante, Gesù disse a Pietro: “Vale più questo minestrone che cento scudi.” E l’oste sussurrò subito alla moglie: “Segna!” Il Signore chiese da bere, e l’oste portandogli un po’ di vino si giustificò - non è un gran che…… è del nostro - ma Gesù bevendo commentò: “Pietro, vale più questo vino che cento scudi.” L’oste sentì e disse ancora alla moglie: “Segna!” Finita la cena, Gesù chiese una camera per dormire e l’oste li accompagnò ad una piccola stanzetta, scusandosi per non avere di meglio; ma il Signore, ancora una volta, si rivolse a Pietro dicendo: “Vedi Pietro, vale più questo letto che cento scudi!” E l’oste puntualmente andò dalla moglie a dirle di segnare.

La mattina dopo i due viaggiatori, si alzarono di buon ora e Gesù chiese il conto. Subito l’oste disse: “Trecento scudi.” Allora il Signore si voltò verso il suo compagno e disse: “Pietro, metti la cavezza a questo ciuco!” E Pietro legò l’oste che si era trasformato in asino, poi proseguirono verso la vicina cava di pietre sul fiume Lima. Gesù disse al padrone della cava: “Ti lascio questo ciuco per portare su le pietre dal fiume, fra tre mesi ripasserò di qui e me lo renderai con i trecento scudi che si sarà guadagnato.” E così fecero.

Al suo ritorno, dopo tre mesi, Gesù riscosse il suo compenso, il ciuco riprese le forme di un uomo; allora il Signore gli disse: “Hai visto, oste disonesto, quanto tempo e quanta fatica ci sono voluti per guadagnare trecento scudi? E tu li volevi in una sola sera per una cena ed un letto caldi! Torna alla tua locanda, ma da oggi non truffare più il tuo prossimo.”

 

IL FABBRO E LA MORTE

 

A Pontito, nella sua bottega, lavorava da lunghi anni il fabbro Beppinella. Un giorno Gesù e San Pietro vennero in visita al paese e tutti gli abitanti si precipitarono a chiedere una “grazia”, solo il fabbro non si vedeva. Allora Pietro andò alla sua bottega e gli disse: “Dai, vai anche tu da Gesù a chiedergli un’intercessione.” Il fabbro, di malavoglia, andò dal Signore, e dopo averci pensato un po’ disse: “Nella mia bottega c’è una seggiola e io, che comincio ad esser vecchio, mi ci vorrei sedere un po’, tra un lavoro e l’altro, ma c’è sempre qualcuno che viene a – chiacchiera – e ci si mette lui. Vorrei che il primo che ci si siede, ci restasse appiccicato!”

Pietro, saputo quello che aveva chiesto, tornò dal fabbro e gli disse: “Ma ti sembra una grazia da chiedere quella? Avanti, torna dal mio Maestro e chiedigli qualcosa di più importante.” Il Beppinella ripartì sempre più pensieroso, e quando arrivò dal Signore gli disse: “Alla finestra della mia bottega c’è un’inferriata, ma ci sta sempre qualcuno appoggiato e - mi para tutto il lume -. Fai che il primo che ci si appoggia ci resti attaccato!”

Anche questa volta Pietro rimase sconcertato e ritornò dal fabbro: “Ma tu sei proprio un bel tipo. Ritorna subito da Gesù e chiedigli una grazia che si possa definire tale.” Per la terza volta il fabbro lasciò la bottega, lambiccandosi il cervello. Arrivato dal Signore gli si rivolse dicendo: “Proprio davanti al mio laboratorio, c’è un fico, sapete…… di quelli - San Pieri - che maturano prima degli altri, ma non c’è verso di mangiarcene uno ch’è uno…… me li mangiano tutti quelli che passano di li. Io vorrei che il primo che ne coglie uno, restasse attaccato alla pianta.” Questa volta Pietro non ebbe animo di tornare dal Beppinella e se ne ripartì con Gesù.

Passarono gli anni, ed il fabbro, ormai vecchio, invocò il riposo della Morte e Gesù la mandò a prenderlo. Quando la vide, il Beppinella disse: “Oh brava…. Sei venuta a prendermi. Aspettami un attimo, vado a portare questi ferri alla Paoluccia che me l’ha ordinati per fare i necci, e torno subito.” La Morte mentre aspettava il fabbro, si mise a sedere sulla seggiola della bottega per riposarsi un po’. Quando il Beppinella tornò disse alla Morte: “Su…. Andiamo!” Questa cercò di alzarsi dalla sedia, ma c’era rimasta attaccata, e tira di qua, tira di là, non riusciva a liberarsi; allora il fabbro, indispettito, prese un ferro infocato e la cacciò. Passarono ancora diversi anni il Beppinella sempre più vecchio invocò di nuovo il - riposo eterno -. Il Signore si rivolse di nuovo alla Morte, ma questa, ancora terrorizzata dal ricordo del primo viaggio, rispose: “Io non ci torno davvero a prenderlo”. Allora un diavolo scaltro, per farsi bello agli occhi di Gesù, si fece avanti e disse: “Ci vado io! Io non mi siedo davvero e vi porterò il fabbro in men che non si dica.” Quando il Beppinella lo vide, gli chiese chi fosse, e lui rispose: “Sono venuto a prenderti per conto del Signore.” – “Oh bravo… aspettami che finisco di forgiare questa zappa per l’Orlà (Orlando) e poi si parte.” Mentre aspettava, il diavolo si appoggiò all’inferriata della finestra e quando il fabbro lo chiamò per partire, non riusciva più a staccarsi. Il Beppinella, convinto che lo prendesse in giro, prima lo tirò un po’ da una parte e un po’ dall’altra, e poi arrabbiato prese a botte anche lui con un ferro arroventato, finché questo, finalmente liberatosi fuggì veloce verso l’inferno.

Passò ancora dell’altro tempo e il fabbro, sempre più stanco, pregò ancora: “Morte benedetta vienimi a prendere!” Gesù voleva mandare qualcuno, ma né la Morte né il Diavolo vollero saperne. Alla fine un giovane diavolo, l’ultimo arrivato disse: “Via… ci andrò io, tanto sono giovane e non ho bisogno né di sedermi né di appoggiarmi.” Quando lo vide, il fabbro fu molto contento e gli disse: “ Stai costì un momento, vado a ferrare la miccia (asina) del Palanchì e vengo subito con te!” Mentre aspettava il diavoletto vide lì sotto dei fichi - San Pieri - belli maturi col – collo torto – fece per prenderne uno e subito rimase attaccato alla pianta, il Beppinella di ritorno lo trovò lì attaccato e la storia finì come con gli altri due.

Dopo alcuni anni il fabbro, ormai vecchissimo, visto che nessuno veniva più a prenderlo decise di avviarsi da solo verso il paradiso: si mise in testa il suo cappello, un paio di scarpe di riserva a tracolla e partì. Cammina, cammina, cammina….dopo molta strada, finalmente arrivò e bussò alla porta del Paradiso. San Pietro aprì e quando lo vide gli disse: “Fabbro scriteriato, ti avevo preparato un posto bellissimo, ma tu con le tue - grazie assurde - e il tuo caratteraccio, ormai quel posto lo hai perso”. Il Beppinella allora gli chiese: “Beh… almeno fammi vedere che posto era”. Pietro aprì bene la porta e gli mostrò la poltrona che avrebbe dovuto accoglierlo, il fabbro svelto come un gatto, ci buttò sopra il cappello (*) dicendo a Pietro: “Ormai quel posto è mio e mi ci devi far sedere, non vedi che c’è già il mio cappello sopra?” Pietro rimase senza parole e dovette far accomodare lo scaltro fabbro in Paradiso.

 (*) Uso di quel tempo, molto radicato, per riservarsi il posto durante una temporanea assenza.

                  

LA  LODURINA  (Uccellino-Allodola)

 

C'era una volta una lodurina (graziosa lodola) che cantava felice sopra un ellerone (pianta rampicante che trova il suo habitat sopra vecchi alberi o ruderi in genere), contenta perché le erano nati gli uccellini. Una volpe accucciata li' sotto sentendola cantare le chiese: "perché canti così felice?" e lei rispose: "perché mi sono nati quattro lodurini" e la volpe "insegnami il nido così ti aiuto a governarli" la lodurina sospettosa rispose: "no, tu me li mangi", ma la volpe insistette così tanto e la rassicurò finché la lodurina le fece vedere il nido.

Poi l'uccellino partì per cercare i vermetti da portare ai suoi piccoli mentre la volpe fece finta di andare anche lei in cerca; si nascose dietro un albero e non appena la lodurina sparì dalla vista, andò al nido e si mangio' tutti gli uccellini. Quando la lodurina tornò indietro vide il suo nido vuoto e tornò sull'ellerone a piangere disperata.

La sentì il cane del Paci' (di Pacifico), il mugnaio, che passava di lì e le chiese: "lodurina perche' sei cosi' disperata?" L'uccellino le raccontò la storia della volpe e gli chiese di aiutarla a vendicarsi. Il cane rispose:"ti aiuto, ma tu mi devi far levare tre voglie: quella di ridere, quella di rodere e quella di leccarmi i baffi". La Lodurina accettò e si misero d'accordo per il giorno dopo; la mattina presto chiamò il cane e gli disse vienimi dietro e ti leverai le tue voglie. 

Il mercante d'olio veniva come tutti i mesi su dal ponte “ La To' ” (ponte La Torbola) con un ciuchino carico di due damigiane d'olio rivestite di paglia: la lodurina volo' sopra le damigiane, vicino vicino al mercante che per prenderla comincio' a battere sulle damigiane con il frustino; il cane da lontano guardava e si levava la voglia di ridere. L'uccellino volava sempre più vicino e l'uomo picchiava, picchiava sempre più forte sulle damigiane fino a quando una si ruppe e l'olio comincio' a gocciolare; il cane si mise sotto la damigiana e si levo' la voglia di leccarsi i baffi. Più tardi arrivò la moglie del boscaiolo che portava il pranzo al marito in un fagotto: la lodurina le si posò sul braccio, poi sulla spalla, poi volò vicino ai suoi piedi finche' la donna posò il fagotto con il pranzo per poterla inseguire meglio. Il cane smise di ridere, si avvicinò al fagotto e si divorò il pasto, così si levò la voglia di rodere. Allora la lodurina disse: "Io ho mantenuto la promessa, ora tocca a te" e si misero d'accordo sul da fare. Il giorno dopo la lodurina torno sull'ellerone a cantare felice; la volpe, che sperava in un altro bocconcino, le chiese: "perché sei così allegra?”-  la lodurina rispose:"canto perché e' morto il cane del Paci' – e la volpe….. "non ci credo!" - "Vai a vedere, è lì sdraiato alla chiesetta del Soccorso, tutto pieno di mosche". La volpe incuriosita andò a vedere e cominciò ad annusare il cane dalla coda, avvicinandosi sempre di più alla bocca; il cane stava immobile, coperto di mosche - appena la volpe arrivò vicino alla gola il cane con un balzo la prese per il collo e la strozzo. Da quel giorno la lodurina potè fare in pace il suo nido ed allevare i suoi bei lodurotti.

 

 

LA GALLINUCCIA

 

C’era una volta, a Pontito, una donna così povera ma così povera, che un giorno dovette dire alla sua gallinuccia: "non ho piu’ nemmeno un pugno di granturco da darti, vai in Maremma, alla guadagna, lì troverai tanto grano da mangiare".

La gallinuccia, a malincuore, la mattina dopo si incamminò verso la Maremma; arrivata alla "Marginetta" incontrò il cane del Paci' che sonnecchiava sotto il porticato della Chiesetta del Soccorso e che, appena la vide le disse: "gallinuccia ora poi ti mangio!, ma questa gli rispose: "non vedi che sono tutta penne e ossa? Aspettami quando torno dalla Maremma così almeno mangerai qualche cosa". Il cane si convinse e la lasciò passare.

Arrivata al Ponte della Torbola  incontrò la volpe, nascosta dietro un castagno, che, come il cane, la voleva mangiare, ma anche a questa disse la stessa cosa e così potè proseguire; arrivata a Saletto si imbatte nel lupo che voleva farne un solo boccone, ma sentita la storia della Maremma decise anche lui di aspettarla al ritorno quando sarebbe stata bella grassa.

Superati tutti gli ostacoli e dopo aver percorso tanta strada la gallinuccia arrivò finalmente in Maremma dove trovò immensi campi di grano da poter beccare e beccare fino a diventare bella grassa e robusta. Allora decise di mettere su famiglia, fece le uova, le covò ed alla fine sbucarono fuori tredici bei pulcini; quando questi furono un po’ cresciuti la gallinuccia disse: "sù! Mettiamoci in cammino e torniamo dalla mia padrona, prima di partire però prendetevi nel becco ciascuno una spiga di grano perché la strada e’ lunga e potrebbe venirvi fame".

Così si incamminarono in fila indiana: la gallinuccia davanti e tutti i pulcini dietro con le spighe in bocca; arrivati alla Pescia il pulcino più piccolo, il "cacante", nell’attraversare il fiume, perse la sua spiga.

Cammina, cammina arrivarono a "Saletto" ed il lupo balzò in mezzo alla strada gridando felice: "gallinuccia ora poi ti mangio, ......ma chi sono quelli dietro di te?" Lei astuta rispose: "sono i miei soldatelli"- " e in bocca che hanno?"- "code di lupo"....... "code di lupo??…e quello che non l’ha?"-"quello che non l’ha vuole la tua!"; il lupo al sentire questo fuggì via gridando: "la mia no che non l’avrà’, la mia no che non l’avrà" e così la gallinuccia e la sua carovana poterono proseguire.

Arrivata al Ponte la To' ritrovò la volpe ed anche con lei usò la stessa astuzia fingendo che i pulcini avessero in bocca code di volpe e che quello che l’aveva persa volesse la sua; anche la volpe ci cascò e fuggi spaventata così come il cane che rincontrò alla "Marginetta".

Con la strada finalmente libera la gallinuccia arrivò a casa della sua padrona e cominciò a picchiare alla porta con il becco; la povera donna, che ormai non l’aspettava più, credeva fosse il suo nipotino che le faceva i dispetti e per tre o quattro volte gli gridò di smetterla, finchè, indispettita, andò ad aprire la porta per brontolarlo. Quando vide la sua gallinuccia con i pulcini rimase senza parole, poi chiamò il marito e gli disse di cercare subito un po’ di grano per la sua   gallinella e per i suoi pulcini.

Dopo essersi rifocillata la gallinuccia cominciò a cantare: "cocco-cocco-dè lenzuolo bianco sotto me!"; il marito della povera donna le diceva: "ma sei matta?....... se le dai il lenzuolo fresco di bucato te lo riempie di cacche", ma la donna era così felice per il ritorno della sua bestiola che volle accontentarla.

Appena ebbe il lenzuolo sotto le zampe la gallinuccia cominciò a fare non uova ma una montagna di monete d'oro; i suoi padroni si guardarono esterrefatti e poi  pensarono di cercare una "misura" per vedere quanti soldi erano, felici perchè avrebbero potuto pagare tutti i debiti contratti alla bottega. La donna andò quindi a chiedere la "misura" alla bottegaia  e questa persona, curiosa e avida, disse al marito: "ma che vorranno misurare che non hanno nemmeno gli occhi per piangere…sai che faccio? ora metto un pezzetto di pece in fondo alla misura così ci resterà attaccato un po’ di quello che misurano". Quando la misura fu riportata, una moneta d’oro era rimasta attaccata sulla pece. I due bottegai non credevano ai loro occhi e andarono dalla povera donna per farsi raccontare come aveva trovato i soldi. Tanta fu l’insistenza che questa raccontò come era andata e fu poi costretta a prestare la galliuccia alla bottegaia che le rinfacciava il credito che le aveva fatto negli anni.

Arrivata a casa della bottegaia la gallina cominciò a cantare: "cocco-cocco-dè lenzuolo bianco sotto me". Subito l’avida donna portò un lenzuolo nuovo nuovo - il migliore che aveva -, ma questa volta la bestiola invece dei soldi cominciò a fare una montagna di cacche davanti agli occhi sgomenti dei bottegai che la scacciarono urlando.

La gallinuccia tornò dalla sua buona padrona che da quel giorno non ebbe più problemi a darle da mangiare e non dovette più raccomandarsi con i bottegai e andare a "servizio" per sdebitarsi.

 

 

LA NOVELLA DEI GATTINI

 

C’era una volta una donna che aveva due figlie, una buona e gentile che si chiamava Nina, e una sgarbata e sfaticata di nome Nena.

Un giorno, la mamma disse alla Nena: “Vai alla casa dei gattini a prendermi lo staccio per la farina”; ma questa rispose subito -“Io non ti ci vado davvero! Mandaci la Nina!”

E così la Nina dovette smettere di fare quello che faceva e andare al mulino, quando arrivò suonò piano la campanella e aspettò che il gattino portinaio venisse ad aprirle la porta, dopo averlo salutato vide che doveva spazzare tutto l’ingresso e gli disse: “Oh, povero gattino! Vieni che ti aiuto io” quando ebbe finito, il gattino la ringraziò e le disse: “Monta uno scalin più su”. Al piano di sopra c’era il gattino lavandaio che faceva il bucato, la ragazzina gli disse: “Oh, povero gattino! Quanti panni da lavare! Vieni che ti aiuto io” e il gattino la ringraziò e anche lui le disse: “Monta uno scalin più su”. Di sopra c’era un gattino che infornava il pane “quante coppie di pane! Vieni che ti aiuto io” quando ebbero finito, il gattino le disse: monta uno scalin più su”. Lì trovò i gattini che cucinavano e si mise ad aiutare anche loro, quando fu tutto pronto la ringraziarono e le dissero: “Monta uno scalin più su”. E lì trovò il gatto mammone che sta sull’arcone, coi denti di ferro e la lingua d’ottone. Il gatto le chiese: “Chi sei ragazzina?” Lei gli rispose - “Sono la figlia del fattore, la mia mamma mi ha mandato a prendere lo staccio”. Intanto arrivarono i gattini e raccontarono tutto quello che la Nina aveva fatto per loro: “A me ha spazzato l’ingresso – a me ha lavato i panni – a me ha infornato il pane – a noi ha lavato i piatti e cucinato”. Il gatto mammone disse allora: “Vieni qui e cercami un po’!” La Nina cominciò a smuovere il pelo del gatto scacciando le pulci e i pidocchi; il gatto le chiese: “Che trovi?” La Nina per non offenderlo rispose - “Perle e oro” e il gatto replicò - “Perle e oro avrai!”

Intanto si era fatto tardi e il gatto disse alla Nina: “E’ ora di cena! Siediti con noi e dimmi che vuoi mangiare: pane e cacio o pane e cipolle?” La Nina disse: “Per me va bene pane e cipolle” ma nel piatto trovò pane e cacio. Quando ebbero finito la cena, fuori era quasi buio e allora il gatto mammone disse alla Nina: “Fermati a dormire qua da noi, tornerai a casa domattina col sole” e lei rispose: “Va bene”. Il gatto le chiese: “Dove vuoi dormire? Nel letto di piume o nel letto di paglia?” La ragazza rispose: “Per me va bene il letto di paglia, ci sono abituata” invece un gattino l’accompagnò a un bel letto di piume e prima di salutarla le disse: “Mi raccomando, domani mattina, quando senti ragliare un asino, copriti subito il viso, poi, quando canta un gallo, scoprilo”. La Nina, obbediente, fece come il gattino le aveva detto e appena si scoprì il viso, al canto del gallo, le apparve in fronte una splendida stella d’oro cosparsa di perle. La ragazzina, ancora più bella di quando era arrivata, salutò i gattini e tornò a casa con lo staccio.

La mamma, che voleva bene a tutte e due le figlie e sperava sempre che anche la Nena diventasse un po’ più buona e bella, disse: “Hai visto Nena come e’ tornata bella tua sorella? Ora vai tu a riportare lo staccio così potrai avere anche tu una bella stella d’oro!”

La Nena brontolò sgarbata, ma alla fine partì con lo staccio. Appena arrivata al mulino si attaccò alla campana suonando e urlando fino a strappare la corda della campanella; il gattino portinaio arrivò trafelato con in mano la granata ed aprì la porta, la Nena entrò come una furia e brontolò: “Ma che i gatti spazzano? Dammi quella granata che ti addirizzo la schiena!” Il gattino dolorante e spaventato le disse: “Monta uno scalin più su!” Di sopra la Nena vide il gattino lavandaio ed anche qui esclamò: “Che sono questi gatti che lavano? Ora ti ammollo io!” E lo stesso trattamento riservò al gattino fornaio ed a quelli che cucinavano, finché arrivò dal gatto mammone, che le chiese: “Chi sei?” – “Sono la Nena, la figlia del fattore, sono venuta a riportarvi il vostro stacciaccio” e così dicendo buttò lo staccio in mezzo alla stanza rompendolo quasi; nel frattempo arrivarono tutti i gattini malconci e cominciarono a lamentarsi così: “Me mi ha preso a granatate - me mi ha infilato nell’acqua bollente - me mi ha messo nel forno e sono tutto bruciacchiato – a noi ci ha rotto tutti i piatti e rovesciato le pentole”. Il gatto mammone chiamò la ragazza ed anche a lei disse: “Vieni qui e cercami un po’!” La Nena smosse il pelo e quando il gatto le chiese: “Che trovi?” Rispose sgarbata: “Pidocchi e pidocchiacci”, il gatto replicò: “Pidocchi e pidocchiacci avrai!”.

Dato che era tardi, anche a lei disse: “Rimani a cena con noi! Cosa vuoi: pane e cacio o pane e cipolle?” e questa subito: “Io voglio pane e cacio, le cipolle le hanno a mangiare i gattacci!” Ma nel piatto trovò pane e cipolle. Dopo cena la invitarono a restare a dormire e le chiesero: “Vuoi dormire nel letto di paglia o nel letto di piume?” – “Io voglio il letto di piume, in quello di paglia dormiteci voi gattacci!” Invece un gattino la accompagnò ad un letto di paglia ed anche a lei raccomando: “Domani mattina, quando senti ragliare un asino, copriti il viso e scoprilo solo quando canta un gallo.” Ma la Nena, dispettosa e disobbediente, non dette retta al gattino, non si coprì il viso al raglio e subito sulla fronte le apparve una coda d’asino lunga, sporca, irsuta e piena di pidocchi.

La Nena scappò verso casa piangendo con al lunga coda sugli occhi mentre i gattini salirono sulla torretta del mulino e suonarono la campana cantando: “Dolin-dolon, la Nina la stella, la Nena il codon, dolin-dolon, la Nina la stella, la Nena il codon.”       

 

 

IL LUPO E LA PORCELLINA 

 

Durante l’estate la porcellina, la capra e la pecora avevano avuto i loro cuccioli; quando gli alberi cominciarono ad avere le foglie ingiallite, la porcellina si mise a lavorare di gran lena con sassi e calce per costruirsi una casetta per l’inverno.

La capra e la pecora la deridevano dicendo: “ Ma cosa fai? Vieni a mangiare con noi nei prati!”, ma la porcellina rispondeva: “Sta per arrivare l’inverno e con la neve, arriverà anche il lupo. Se avrò una casa robusta il mio porcellino sarà al sicuro. Fatevela anche voi!”.

Invece di ascoltare la porcellina, le due amiche continuarono a brucare spensierate, finché una mattina si svegliarono e videro le cime dei monti imbiancate; allora si misero subito all’opera e la capra costruì una casa di rami e stecchi, mentre la pecora la fece di paglia e fieno.

Quando il vento cominciò a soffiare forte tutte e tre si chiusero nelle loro case con il cucciolo e poco dopo, come aveva previsto la porcellina, arrivò il lupo affamato.

La prima casa che il lupo incontrò era quella di fieno costruita dalla pecora. Si avvicinò e bussò alla porticina; la pecora chiese: “Chi è?” – “Fammi entrare a scaldarmi lo zampettino, l’ho giolato, giolatino!” – “No che mi mangi l’agnellino!” e il lupo - “No che non te lo mangio! E poi, se non mi apri, vado sul tetto, tiro un peto e ti mando la casina in brodeto.”

La pecora non aprì ma il lupo salì sul tetto e con un peto fece crollare tutta la casa di fieno in un mucchio, si mangiò pecora ed agnellino e poi si mise a dormire beato.

Dopo alcuni giorni il lupo si sveglio di nuovo affamato e poco più avanti vide la casa di stecchi della capra; si avvicinò e bussò alla porta. La capra chiese: “Chi è?”– “Sono il lupo. Fammi entrare a scaldarmi lo zampettino, l’ho giolato, giolatino!” – “No che mi mangi il caprettino!” _ “ No  che non te lo mangio! E poi, se non mi apri, salgo sul tetto, tiro un peto e ti mando la casina in brodeto.”

La capra non aprì e il lupo fece come aveva detto facendo crollare, con un peto, anche la casa di stecchi, poi si mangiò capra e caprettino e si mise a dormire per molti giorni.

Al risveglio il lupo ebbe di nuovo fame e si avviò verso la casetta di pietra costruita dalla porcellina bussando alla porta. La porcellina chiese: “Chi è?” – “Sono il lupo, fammi entrare a scaldarmi lo zampettino, l’ho giolato, giolatino!” – “No che mi mangi il porcellino!” – “No che non te lo mangio! E poi, se non mi apri, monto sul tetto e, con un peto, ti mando la casina in brodeto.” Ma la porcellina replicò sicura: “Vai, vai!”.

Il lupo salì sul tetto e tirò il peto, ma la casa di pietra non fece una mossa; allora, indispettito, dette una forte culata sul tetto per sfondarlo, invece a rompersi fu il suo sedere e il lupo dolorante corse a cercare il fabbro per farselo rattoppare.

Il fabbro Beppinella, che conosceva la cattiveria e l’ingordigia del lupo, gli disse: “sdraiati costì sul pancaccio, mettiti bocconi e aspettami!” Subito prese una fune robusta e mentre lo legava, lo rassicurava dicendo: "Non ti devi preoccupare - il lavoro che vado a farti, potrebbe darti qualche fastidio - e sai bene che in simili circostanze, anche non volendo, potresti azzannarmi."  Quindi arroventò una lastra di ferro e quando fu rossa infuocata cominciò ad inchiodarla sul sedere del lupo. Questo cominciò a divincolarsi ed urlare per il dolore, (ma la corda era robusta.....) e il fabbro continuò l'opra, finché il lupo disperato, strappata la fune e con il "didietro" in fiamme, andò a buttarsi nel “bottaccio” del molino per raffreddare la parte dolente. La lastra di ferro era però molto pesante e fece affogare il lupo cattivo.

Da quel giorno, grazie alla laboriosità ed all’intelligenza della porcellina, tutti gli animali poterono far crescere in pace i loro cuccioli.          


 

LUCCHIO - LE RADICI DI UN'AMICIZIA

(Ricerche e testi a cura di: Maria Dreucci A. Pierini R. Papi)

 

 

Qualche secolo fa, al tempo in cui nella zona scorazzavano quasi indisturbati gruppi di banditi dediti alla violenza ed alle rapine; un manipolo di ladroni armati, penetrò in Lucchio e approfittando dell'assenza degli uomini, impegnati nei lavori dei campi, raziò tutti i capi di bestiame (una delle principali risorse per le popolazioni di quel tempo) sacchi di farina, frumento ecc... 

Allora le poche persone presenti nel borgo, disperate, si diressero, chi a chiamare gli uomini al lavoro, chi a seguire da lontano le mosse dei banditi e chi a cercare aiuto nei paesi vicini. Dato che i ladroni si erano accampati nei pressi dell'attuale  Agriturismo "La Revia", a nord/ovest del passo di Croce a Veglia, i lucchi si rivolsero ai vicini di Pontito che, senza esitare, partirono con attrezzi agricoli e bastoni incontro ai furfanti e unitisi ai sopraggiunti uomini di Lucchio, ingaggiarono una furibonda lotta con i briganti riuscendo alfine a metterli in fuga ed a recuperare tutto il maltolto.

Quel luogo prese così il nome de "IL COMBATTITOIO", come ancora si può vedere sulle carte topografiche e mappe catastali della zona e l'amicizia fra Lucchi e Pontiti divenne un sentimento durevole nei secoli a dispetto del campanilismo che, specialmente un tempo, metteva in competizione ogni borgo con quelli confinanti.

Vi furono infatti, sempre buoni rapporti tra i due paesi che videro spesso i propri uomini collaborare a piccole imprese comuni nel mestiere del figurinaio (compagnie) che li portò insieme in lontani paesi in Italia ed anche in Europa.

A testimonianza e riprova di questo, vi era un sentire comune, tramandato da genitori a figli che si dice, ammonissero questi così: Se viene in paese uno di Pontito e ha bisogno di ospitalità, se non avete altro posto, cedetegli il vostro letto! 

 


 

LA CAMPANA DI LIGNANA - FRA REALTA' E LEGGENDA

(Ricerche e testi a cura di: Maria Dreucci - Renato Papi)

 

 
      Dopo la distruzione di Lignana, ( 1364 ) approfittando del completo abbandono del luogo, un gruppo di Pontitesi (o Pontiti) si recarono sul posto, salirono sul campanile e dopo un difficile e complicato lavoro...... riuscirono a calare al suolo la campana accingendosi a trascinarla a Pontito.  
    A quel punto, una vecchietta (la sola, che presa da infinita nostalgia, era tornata a finire i propri giorni a Lignana) sbarrò loro la strada opponendosi al furto e implorando loro di non farlo. 
    Al loro rifiuto, li apostrofò dicendo:  

    "Pontiti maladetti (maledetti)..... ma verrà Maggio giolato (Gelato) che vi farà grattà 'n capo"

 
    E in effetti, si racconta, che in quell'anno la primavera fu anomala, così fredda che il raccolto dell'intera annata fu molto ma molto magro, una vera calamità. Il fatto (se vero) o la leggenda, come si vede, si è tramandato fino ai giorni nostri.-

 

CANTI  TRADIZIONALI

(Ricerche e testi a cura di: Giuditta Magnani - A.Pierini R.Papi)

 

Per l'Epifania, una processione di "Befanotti" attraversava il paese cantando stornelli, raccogliendo doni e dolciumi da distribuire ai bambini del paese.

 

L A   B E F A N A  

 Di Firenze sul Lucchese la befana è già venuta; tutti quanti vi saluta quanti siete nel paese, di Firenze sul Lucchese.

 Ci siam fatti dalla Tana (*) e su su casa per casa, e la gente più garbata ci ha dato la befana, ci siam fatti dalla Tana.

Vedo la verso l’oriente, i re magi in divenire e di la vedo apparire una stella rilucente, vedo la verso l’oriente.

 Chi vedesse la befana com’è brutta e com’è nera, io la vidi l’altra sera che filava della lana, com’è brutta la befana.

 Chi vedesse suo marito com’è brutto e com’è nero, ha mangiato il pan pentito com’è brutto suo marito.

 E tu vecchio rimbambito, mi vorresti canzonare, mi somigli quei che è andato nella stalla a riposare, mi somigli quei che è andato nella stalla a riposare.

 (*)Tana Termini - località sulla SS del Brennero nel Comune di Bagni di Lucca.

 


CANTA MAGGIO

 

La prima domenica di maggio veniva cantato il Maggio, i cantori portavano un ramo di faggio (addobbato con nastri variopinti e l'immagine della Madonna), facevano il giro delle case cantando e raccogliendo doni, finché a sera cenavano e donavano a loro volta al parroco ciò che avanzava. Vi erano tre tipi di canti: Maggio Sacro - Maggio di Maria - Maggio Buffo.-

 

 

MAGGIO SACRO

(In onore dell'Anime Sante del Purgatorio)

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Per poter del nome eterno - Tutta agisce la natura - Rinnovellasi e matura - D’ogni tempo il giro eterno.  

Giocondissima e brillante - Primavera fa ritorno - E di maggio il mese adorno - Torna il fior adornante.

Dunque noi con gran coraggio - Esultiam con suoni e canti - E per l’anime purganti - Canteremo il nuovo maggio.

Figli e figlie i padri nostri - Che da noi funno emigrati - Si ritrovan carcerati - Nei dolenti oscuri chiostri.  

Da quel carcere d’esilio - Parmi udire flebili accenti - Son del padre quei lamenti - Che rivolge al proprio figlio.

E ti dice figlio amato - Tu sai proprio il grand’amore - Che per te nutrivo in core - Ma ti sei dimenticato.  

E la madre tua dolente - Ti allattò con gran cura - Con amore e con premura - Ma non siei riconoscente.  

Gran dolor mostrasti in volto - Sopra il corpo mio spirato - Ma il dolor fu concellato - Quando il corpo fu sepolto.

Per lasciarti tanto bene - Mi costò tanto sudore - Or con doglie e con dolore - Mi ritrovo in tante pene.  

Voi congiunti e voi parenti - Che gli affetti ereditaste - Così presto vi scordaste - Di chi visse in tanti stenti.

Almen voi compagni miei - Il signor per me pregate - Per pietà pietade abbiate - Or ci affligge e ci percuote.

Genitor se i figli amati - Vi rapì morte immatura - Per giustizia e per Natura-Speran d’esser suffragati.

Dunque tutti uniti andiamo - Dal soccorso all’oratorio - E per quei del purgatorio - La gran vergine preghiamo.

E la vergin del carmelo - Supplichiam con voci ardenti - Che a quell’anime dolenti - Dio gli dia riposo in cielo.

Elemosine facciamo - Generose ed abbondanti - E a quell’anime purganti - Con suffragio aiuto diamo.

Carità fratelli cari - Carità fate abbondanza - Paradiso è nostra stanza - Ma non c’entrano gli avari.

Tutto ciò che noi faremo - In suffragio si dispensa - Più con degna ricompensa - Su nel ciel da Dio ne avremo.

Ma il maggior del benefizio - E’ per l’anime devote - Fare offrir dal sacerdote - Il più santo sacrifizio.

Dunque tutti al buon esempio - Accorriamo ogni mattina - Ad offrir l’ostia divina - Che si immola al sacro tempio.

Da quel carcere di morte - Fa signor facciamo uscita - E il bel regno della vita - D’entrar presto abbian la sorte.

E nell’alta gerarchia - Affluire un bene eterno - E riposo in sempiterno - Stiano in pace e così sia.

Noi di qui facciam partenza - E per lor vi ringraziamo - Il Signor sempre preghiamo - Che vi dia la ricompensa.

 

 

MAGGIO DI MARIA

(In onore di Maria SS.) 

 

Di celeste luce un raggio-Sommo iddio dal cielo invia-Che in onore di maria-Canteremo il nuovo maggio.

E voi vergine gloriosa-Spira il cuore celeste amore-Che ogniun faccia a vostro onore-Un’ offerta generosa.

Cari amici a voi ritorno-Di allegrezza apportatore-E con voi vò passar l’ore-Di sì vago ameno giorno.

Genio sono che mi diletto-Di destar dolce armonia-Ma grata oggi vi sia-Questa insegna del mio petto.

Viva maggio il mese adorno-Primavera vaga e bella-Lieta pace rinnovella-Cangia aspetto ogni contorno.

Grazie a voi diletti amici-Di sì nobil cortesia-Tutti insieme in compagnia-Passeremo i dì felici.

Chiaro sorge il sol nascente-Dal bel regno dell’amore-Ogni valle irraggia e indora-Maestoso e risplendente.

L’ odorifero giardino-Cresce ognior pregio e vaghezza-Ma di rosa più si apprezza-Il color suo porporino.

Si rallegra il colle e il monte-E la vaga amena valle-Per l’usato e retto calle-Placidetto scorre il fante.

Già si sente ai nuovi albori-Fra le fronde e gli arboscelli-L’armonia dei vaghi augelli-A scherzar l’aura coi fiori.

Oh soavi e lieti giorni-Oh stagion tanto gradita-Par che tutti a nuova vita-A goder oggi si torni.

Per potere alto superno-Che dal ciel tutto dispone-Cessa e torna ogni stagione-Vien l’estate e fugge l’inverno.

Diasi lode alta e festiva-Coroniam sì fausto giorno-Ogni valle e ogni contorno-Ne ripete un lieto evviva.

Amatissime donzelle-Nostri voti secondate-Con bel serto il crine ornate-Delle rose mie novelle.

Ma quel fior che pregio ha tanto-Sempre fisso in sen portate-Sempre il giglio in fregio abbiate-Che di onor conserva il vanto

Nel cammin di nostra vita-Fugga ogniun la falsa gloriaMa cerchiam la vera gloria-Che la vergine ci addita.

Tutti uniti al tempio andiamo-Con offerte e voti santi-E a quell’anime purganti-Dal gran dio pace imploriamo.

Oh di dio gran genitrice-Per noi prega il tuo gran figlio-Che al partir da questo esilio-Si abbia in ciel sorte felice.

Dell’affabile accoglienza-Che da voi veduta abbiamo-Tante grazie vi rendiamo-E da voi si fa partenza.

 

 

MAGGIO BUFFO

   

Giunta al fin questa stagione-Di bellezza rifiorita-Così vaga e colorita-Che a voi dà consolazione.

Oh che giorno consolato-Che gioir fa tutto il mondo-Questo mese sì giocondo-Si riveste il colle e il prato.

Primavera-Mille grazie e vaghi fiori-Dono a voi fratelli cari-Se di me non siete avari-Mi farete gran favori.

Se parlare a me mi lice-Di svelarmi un tale arcano-Vedo un vecchio là lontano-Quasi alla vostra pendice.

Genio e Paggio

Fermo là vecchio cornuto-Cosa cerchi in queste parti-Pare un diavolo dell’arti-Come viene risoluto.

Vecchio

Giunto qui cercando andavo-Di una figlia che perdei-La rassomiglia a colei-Di rubarla mi pensavo.

Giudice

Che sia tosto incatenato-E messo in una prigione-Ch’è venuto con ragione-In prigione sia portato.

Vecchio

Cosa ho fatto in quest’istante-A voi gente malandrina-Col mio gelo neve e brina-Vi farò seccar le piante.

Genio e Paggio

Vanne in carcere ribello-Vecchio Cane Malandrino-Alla Morte sei Vicino-Ti ravviso sei l’inverno.

Vecchio

Partirò ma malcontento-Ma se posso ritornare-Vi farò tutti tremare-Con tempesta neve e vento.

Primavera

Grazie a voi diletti amici-Dell’amabil cortesia-Così tutti in compagnia-Goderemo i dì felici.

Coro

Anche noi per ogni intorno-Innalziam voce festiva-Primavera maggio evviva-Festeggiamo il suo ritorno.

Tutti

Dunque noi con rozza rima -Noi si chiude questo canto-Il signor preghiamo tanto-Che ci dia ben da fondo in cima.

Coro

E la vergine Maria-Ringrazian devotamente-Che preghi l’onnipotente-Che ci apra dal ciel la via.

Tutti

Mille grazie vi rendiamo-Partirem con salutarvi-E di tanto ringraziarvi-La gran vergine preghiamo.  

 


ORATORIO di PIAN MARONCELLI

(Ricerche a cura di: Fortunato Sarti - Renato Papi)

 

E' incerta l'origine del culto particolare reso in questo luogo a Maria, ma se debbasi prestar fede ad una tradizione ancor viva, risale ai primi del 1700. Si narra infatti che ai piedi di un vecchio castagno, fu eretta una cappelletta, presso cui il popolo si radunava in comune preghiera per venerare la Madonna delle Grazie. Successivamente, a distanza di circa 15 mt. si gettarono le fondamenta dell'attuale Oratorio. Quello che sappiamo con certezza, è che il suddetto Oratorio fu aperto alla celebrazione dei divini misteri il 4 Settembre 1775. La sua costruzione avvenne in varie fasi: nel 1867 fu rimesso a nuovo, nel 1888 fornito di una comoda sacrestia e infine nel 1891 furono ultimati i lavori di abbellimento. La festa tradizionale si tiene ogni anno la domenica immediatamente dopo l'8 Settembre, un tempo tale ricorrenza richiamava moltissime persone, anche dai paesi limitrofi. (Attualmente la festa è stata anticipata alla seconda domenica di Agosto)

 

 

INNO DEDICATO ALLA MADONNA DELLE GRAZIE

(Pubblicato per la prima volta in Pescia nel 1820)

Per ascoltare - clicca qui

 

Dio ti salvi, o Regina - Vergine insieme e madre, - Delle celesti squadre - Imperatrice.

Or se per te ci lice, - Ridir vogliam i tuoi - Prodigi, ch’abbiam noi - Uditi e visti.

Perciò chi sente, acquisti - Di te maggior concetto - E a te doni l’affetto - Del suo cuore.

Tu con nuovo splendore - In notte oscura e ria, - Insegnasti la via - Al passeggero. (*)

Col timido destriero, - Scampò dalle ruine - Ed ebbe un lieto fine - Il suo viaggio.

Se col lucido raggio, - Tu non l’avessi scorto, - Credo sarebbe morto - In quei perigli.

Tu coi santi consigli - Di questa mortal vita, - Segna a noi l’uscita - Avventurata.

Se da te fu mostrata - Cura dei corpi nostri, - Per l’alme che la mostri - E pietà senti.

Lungi andò dai parenti - Nella stagione estiva, - Fanciul (**) che non compiva - Ancor tre anni.

Scalzo e leggier di panni - Per vie scoscese e torte, - Difficili ad un forte - Il cammin prese.

La turba allor si stese - Per ogni colle e piano, - Ma invan cercollo, invano, - I gridi sparse.

La madre che privarse - Vide del caro figlio - Versò dal mesto ciglio, - Amaro pianto.

A te ricorro intanto - O vergine, con fede - Disse: in qual son si vede - Acerbo stato.

Deh! Tu che il figlio amato - Trovasti il terzo giorno, - Dà che faccia ritorno - Ancora il mio.

L’amoroso desio, - Maria nel Cielo intese, - E lo smarrito rese - Alla dolente.

Dal lucido oriente, - Il terzo sol sorgea, - Da che lasciato avea - Le patrie mura.

Quando la già matura - Messe a recider corse - Una fanciulla, e forse - Il ciel la spinse.

All’opera s’accinse, - E un flebil voce intanto - Un interrotto pianto, - Quella distolse.

A quella parte volse - Oves’udia, le piante, - Salì benchè tremante - In mezzo al monte.

Qua e là volge la fronte, - Udiva e non vedeva, - Al fin giunse u' giaceva - Il fanciullino.

O miracol divino! - Fra le spine si stava, - In luogo che non dava - Alcuno accesso.

ecc...ecc...ecc.............

(*) Passava notte tempo un viandante, sembra un sacerdote, in sella al suo cavallo, il quale smarrito lo stretto sentiero, con suo grande pericolo si trovò improvvisamente in un profondo burrone. Si rivolge a Maria ed un chiarore risplende al suo sguardo; per mezzo di quella luce, si rimette sul retto sentiero e quindi in salvo.

Un certo Giusti, abitante nel vicino paese di Lanciole, trovandosi in cammino fu assalito da nebbia così fitta che smarrì completamente la via, trovandosi in un profondissimo e spaventoso burrone (vicino all'Oratorio). Rivoltosi a Maria SS delle Grazie, si ritrovò trasportato sul retto sentiero.-

(**) Circa nell'anno 1780, un fanciullo: Matteo Tamburi di tre anni, nel periodo della mietitura del grano, si allontanava da casa. La madre appena tornata a casa dalle faccende, e non trovatolo, si mise subito a cercarlo. Ma la poveretta con i parenti gli amici e tutto il paese, lo cercò invano per tre giorni. Questa invoca la Vergine e subito dopo, una giovane andata a mietere il grano, udito un grido infantile, accorre e in luogo pieno di pericoli e circondato da foltissime spine, vede lo smarrito bambino.

 

LE POESIE di GIUSEPPE BRACCINI detto il “BEPPINELLA” 

(Ricerche di: Don Amerigo Papi)

   

UNA GRAVE OFFESA AD UN FABBRO

 

T I T O L O

O FABBRO INIQUO SCELLERATO E TRISTO – FACESTI I CHIODI PER INCHIODAR CRISTO

 

Benché di poesia non sia provvisto

mi vò difende’ dalle tue parole.

Io feci i chiodi per inchiodar Cristo

ma tu ti puoi chiamar crocefissore.

Credevi d’aver fatto un grande acquisto

a mette ‘n croce il nostro Creatore:

Io feci i chiodi si belli appuntati

e dopo fatti, Tu ce li hai piantati.

 

Ma siamo stati noi quegli ingrati

a crocifiggere il nostro Creatore?

Vi sono stati i nostri peccati

a crocifigge’ il nostro Redentore.

Ma nel dì del giudizio sarem chiamati

d’aver commesso sì grande errore;

a fare penitenza sarem condotti:

di sulla croce Dio perdona a tutti.

O M I S S I S

Ho fatto qualche volta il prepotente,

sono salito anche sul tavolino,

ho fatto de' discorsi a tanta gente;

e mi dicevano: "Bravo Beppino"

e ora che non son più buono a niente

mi sono messo nel mio cantuccio,

e ora che non faccio più fracasso 

manca l'opra del becchin, finito è il chiasso

Braccini Giuseppe, detto il "Beppinella"

 

UNA RISPOSTA AGLI AMERICANI

 

Avendo scritto una poesia (su alcuni lavori necessari in paese) agli “Americani” suoi paesani a Pittsburgh (USA), questi risposero inviando una busta di dollari, su iniziativa del compagno Papi Bruno, e da questo felice fatto, il Beppinella fece scattare la sua Musa con questa poesia in risposta:

 

Voi vi aspettate qualche bella ottava,

amici miei, avete molta attenzione,

se ci credete ho persa la strada,

non vi posso più dà soddisfazione.

Ma ve la voglio dà; basta che vada

perché io conosco le persone.

Vi parlo da  vecchio e non più da ragazzo:

tenete in conto di quel che io ho fatto.

 

Avrei fatto de’ salti come un matto

quando la lettera ebbi ricevuta:

ti vidi quella lista tutt’a un tratto,

una sorpresa così n’avevo mai avuta.

Allor  prendo la via e me ne scappo

men vò di qua e di là alla Portaluca,

trovai là degli amici a mio picere,

dissi: Ragazzi, andiamo, si va a bere.

 

E per compiere il mio santo dovere

La sera mi recai all’osteria

a tutti quanti la feci vedere:

dissero: Benedetta poesia!

Allora lì ci si mise a sedere

erano sette o otto in compagnia:

in poco tempo, come a voi vi dico;

allegramente se ne bevve un litro.

 

Sia benedetta la gente di Pontito

specialmente quelli di là dal mare,

m’han fatto tanto bene, io ve lo dico,

di tutti quanti mi vò ricordare:

ma c’è quel PRIMO che mi è tanto amico,

le mie ottave ha fatto germogliare:

già lo sapete, senza dirvi il tutto;

hanno fiorito, hanno già fatto il frutto.

  _______________

 

POESIA SULLA GIOVENTU’ MODERNA

 

Nella popolazion c’è nato un verme

e non sai da che parte vuole andare,

ha invasato le gioventù moderne

che voglion tutti i giorni il Carnovale

Ti ci provi a parlar: non ci si intende,

c’è chi la vuole sciocca e chi col sale

vorrebber far di tutto un monte grosso

e poter picchiar giù a più non posso.

Braccini Giuseppe è deceduto a Pontito nel 1952


 

PAOLO  SGANDURRA  detto "LUCCA"

( ARTISTA  POLIEDRICO )

 

“ FORZA U.S. PONTITO ” - Agli atleti del Pontito un augurio e una preghiera, sempre giunga la vittoria, od almeno ci si spera. Con i grandi giocatori che ci offre la natura il pareggio è cosa certa, la vittoria è strasicura, se perdiamo la partita sarà solo una sventura, vinceremo un’altra volta, non abbiamo certo paura! Vinceremo, vinceremo! Ecco il Gol… lo fa Mileno, è del nostro cannoniere che di gol fa sempre il pieno! Palla al centro, riprende il gioco, con azione prodigiosa, calcia il Papi quel pallone, è una sventola portentosa. Ma per grande sua sfortuna la traversa gli respinge quel gran tiro micidiale che poi a pianger lo costringe! Che peccato poveretto, ci teneva lui a segnare, nella classifica dei bomber il primato voleva conquistare. Vinceremo, vinceremo! La vittoria dell’incontro noi otterremo! Batteremo l’avversario, suderemo sangue sul terreno, e una volta per tutte metteremo a questi il freno! Ma per la maglia Moreno l’avversario afferra, e con gamba assassina lo stende per la terra! Poco manca che non scoppi una guerra! Allora i tifosi urlano in coro: Qui si fa Pontito o si muore! L’arbitro intanto indica il dischetto e decreta il calcio di rigore! L’avversario tira e segna! Uno a uno è il risultato! Se non solleveremo la coppa, trionferemo in campionato! L’intervallo è di consiglio, e alla tattica si pensa. Chi la coppa vincerà otterrà una ricompensa! Dopo aver tanto studiato qualche cambio è azzeccato! Vasco avanti e Piero indietro, Brunellesco sulla destra di qualche metro! Il Portiere fa il centravanti, ed in porta va Renato, ed al posto di Paolo Penna, che dal Mister è stato esonerato, entra Giovanni, lesto, pronto e fresco dal viso arcigno e dallo sguardo cagnesco. Gli avversari sono duri ed allungano le mani, s’infortuna poveretto il giocatore e Mister, Mauro Melani, e siccome a terra è caduto giù, d’ora in avanti noi non perderemo più! Entra a sostituirlo un libero coi fiocchi che con tre, quattro o cinque tocchi scarta i rivali, se li mangia come fossero gnocchi. Lui è snello ed è forte come un bue, tira in porta… Gol !! E adesso sono due! E finisce la partita, la coppa è nostra finalmente, la ritira in pompa magna un alto nostro dirigente. E stasera a Pontito grande festa ci sarà! Mangeremo la polenta con le olive e il baccalà. Balleremo e canteremo con classe e abilità, e buon vino noi berremo con gusto e avidità fino a quando sulle gambe un po’ di forza resterà, fintantoché Lido il nostro Capitano, la Coppa in alto non innalzerà. ……………

F  I  N  E

  Nota Bene:

 Questa mia poesia è dedicata all'Unione Sportiva Calcio PONTITO. L’ho scritta esattamente il 24 Luglio del lontano 1976 e l’ho rivisitata oggi con aggiunte e correzioni. In quei tempi gloriosi, sul Campo del PIANGRANDE in Pian Maroncelli, si disputavano fior di Tornei di Calcio ai quali partecipavano tantissime squadre dei paesi della Valleriana, a memoria ricordo: Vellano - Stiappa - San Quirico – Sorana - Castelvecchio e altre che non rammento. Assistevano alle partite quasi tutti i paesani giovani e anziani e attorno al campo c'era un servizio bar che si avvaleva di un grosso bidone refrigerato pieno d'acqua e ghiaccio dove galleggiavano le varie bibite in lattina o in bottiglia! A volte, mentre sui poggetti attorno al campo gli spettatori guardavano le varie partite, capitava che qualcuno vedesse nelle vicinanze qualche fungo porcino, sempre che non l'avesse schiacciato prima mentre sedeva! Insomma erano bei tempi, era stato rifatto tutto il campo da gioco, e dal nulla era stato murato lo spogliatoio, ancora oggi esistente ma inutilizzato e purtroppo deteriorato dal tempo, con le stanze per la squadra di casa, per gli ospiti e per l'arbitro. C'erano pure le docce, che sfruttavano un ingegnoso marchingegno, il quale succhiava l'acqua da capienti recipienti posti sul tetto i quali venivano riempiti attingendo ad una fonte giù in Pian Maroncelli per mezzo di un lunghissimo grosso tubo di gomma che ancora oggi si vede spuntar in alcune sue parti da sotto terra. Lo spogliatoio venne intitolato al Presidente dell’Unione Sportiva PONTITO, il compianto EGIDIO VANNUCCI detto il PITI'. Nella squadra dell'U.S. PONTITO faceva parte anche il figlio del Presidente, il mai dimenticato Lido Vannucci il quale era anche l'allenatore della squadra assieme ad un altro grande giocatore dell'U.S. PONTITO e cioè Mauro Melani, che colgo l'occasione per salutare. Ho avuto anch'io la fortuna e l'onore di disputare alcune partite con la gloriosa maglia dell'U.S. PONTITO e qualche volta ho pure segnato dei gol, pochi in realtà, ma buoni.

 Paolo Sgandurra = Lucca = 24/07/1976 - 28/09/2015

“ALLA SAGRA di PONTITO del FORMAGGIO PECORINO” – Alla Sagra del Formaggio di Pontito mangio e bevo in quantità, io col vino e con il cibo c’ho una certa affinità. Ma quel vino genuino la mia testa fa girar. Altroché! Dovrò controllarmi, non vorrei certo abusar. Son contento, sono allegro, canto, mangio, rido e bevo! E di tutta questa gioia, a Pontito tanto devo. Son sicuro, non c’è dubbio stiam vendendo a largo raggio molte forme di formaggio o di cacio pecorino, molto buono, gusto intenso, veramente genuino. Pecorino che arriva dai nostri monti, quelli che abbiamo davanti agli occhi, agli orizzonti, e prodotto dai bravi pastori della Valleriana, da pecore portate al pascolo che fan la vita sana. Niente di più buono in tutta la Toscana. Perbacco, che bello far parte della comunità montana! Perdiana! O come sarà buona la roba italiana! Dietro al banco a mescere il vino, c’è l’Albino e c’è pure il Cinquino. Questo vino buono e fresco ben figura sopra il desco, lo sorseggia il Brunellesco, e lo tracanna anche Giuliano, con il fiasco nella mano. Dalla botte, tutto in un fiato, se lo trinca perfino il trombaio che ha il suo stomaco d’acciaio. E lo trangugia a lunghi sorsi, col suo canto ben giulivo, come fosse aperitivo, Gino il Grillo e suo figlio il Divo. Ma ecco che arriva molta gente, e di tutte le classi sociali, perché Pontito è vivibile ed accogliente, e in cortesia ed ospitalità è senza uguali! Chi giunge da Stiappa, da Aramo, da San Quirico e da Castelvecchio, chi è giovane, chi è anziano e chi è pure vecchio. chi arriva da Pescia, da Pietrabuona o da Medicina, chi ha la tosse, chi il raffreddore e chi l’angina. Chi proviene da Sorana, da Fibbialla, da Lanciole o da Vellano, chi porta al guinzaglio un Bassotto, chi un Dobermann e chi un Alano. Chi è venuto in auto o in moto, e chi in bicicletta, chi con tanta furia e chi senza fretta. Ma chi ci ha raggiunto a piedi, si è guadagnato un grande battimano, mentre la gente ricca, viceversa è arrivata in aeroplano! Ci son proprio tutti o quasi alla sagra del formaggio, questo cacio pecorino lo trattengono come ostaggio, tutti ne gradiscono almeno un abbondante assaggio! Dopo aver cercato invano di scroccar bere all’Elbano, me ne vado un po’ lontano col bicchiere vuoto in mano. Finalmente trovo Giorgio, ma anche lui però è spilorcio. Per fortuna nel pillone, custodito dentro a un orcio, ne ho nascosto assai di vino, sano, d.o.c…. e genuino! Mamma mia come son brillo! Com’è buono il vino del Grillo! Attenzione, adesso casco! Per favore, aiuto! Sorreggimi Vasco! Di quel vino sono pieno! Ti prego sostienimi Mileno! Adesso sono tutti intorno a me, non c’è dubbio! Più ne bevo e più m’ingubbio! Mi sostengo anche da solo! Mi riprendo, è certo, è indubbio! Ma all’improvviso il mio stomaco ruggisce, dalla sorpresa, chi mi guarda allibisce. Ma ecco che la mia bocca si dilata, butto fuori tutto quanto come fossi una cloaca! Ogni tanto tiro un rutto, ma ora è passato proprio tutto! E che diamine! Il mio fisico è forte, è atletico ed è asciutto! E riprendo in allegria questa sagra del paese che vorrei durasse tanto, perlomeno più di un mese.

F  I  N  E  

NB: LA FAMOSA SAGRA DEL FORMAGGIO PECORINO a PONTITO, che si svolgeva ogni anno nel mese di Agosto. Io, come tanti, davo una mano. Bei tempi quelli della sagra del Formaggio Pecorino! Le bibite costavano solo 200 lire! E il Formaggio Pecorino era distribuito GRATIS a fette. Ovviamente le forme e le mezze forme di cacio pecorino venivano poi vendute a chi voleva dare un appetitoso seguito a casa propria. Ma vi garantisco che il formaggio era speciale perché prodotto e proveniente tutto dai caprai della Valleriana, in special modo proprio da quello del vicino passo di Croce a Veglia. Uuunhhh…. che bontà! All’epoca scrissi questa innocente poesia che oggi ho un po’ rivisitato. Pensate, era il lontano Agosto 1976 ed avevo la tenera età di anni 31. La poesia la lessi in loco ai visitatori, la quale, per un fortuito caso, era stata battuta a macchina in numerose copie che vennero distribuite a tanti dei molti ospiti alla sagra.

Agosto 1976 – 27 settembre 2015

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Nel Giugno 1996, dopo oltre 50 anni di assenza, LIDIA BRACCINI torna a Pontito, al suo rientro a Sacramento (California), compone la seguente poesia:

 

O BEL PONTITO

 

SORRIDENTE IN ALTA MONTAGNA,

POSTO SOPRA GLI ALTRI,

PADRE DEL MONTE

 

CASTELLO SCOGLIOSO,

ARRAMPICATO SULLA SPALLA DEL MONTE,

UNA CASCATA DI TETTI ROSSI!

 

NIDO DI RONDINI

E DI BUONA GENTE.

QUANTE ANTICHISSIME LEGGENDE

TIENI NASCOSTE!

 

CASA DI MIO PADRE

RIMARRAI NEL MIO CUORE PER SEMPRE.-

 

 


 

N I N N E   N A N N E

 

I testi sotto riportati sono tratti da: "I Canti Della Vita" di Lucia Petrocchi Corradini - Edizioni Benedetti - Pescia 1985 -

 

Fai la nanna mio Simone

 

Fai la nanna mio Simone,

imparerai l’arte del nonno,

imparerai a tirà ‘l segone,

fai la nanna mio Simone.

   

Sega moneta

 

Sega moneta,

le donne di Pereta

che filano la seta,

la seta e la bambace,

questo bimbo non mi piace

mi piace un bel bambino,

bianco e rosso e ricciolino,

la su’ mamma ni dà la puppa,

lo ricopre con la cuffia,

con la cuffia e col suo velo,

pare un angiolin del cielo.

 

Sega segante

 

Sega segante,

le pecorine bianche

che stanno sull’alpe,

sull’alpe e sul colombo,

l’uccellino gira a tondo,

la gallina bagattella (*)

che fa l’ovo  sulla sella,

sulla sella, sul sellone,

sulle corna del montone,

sullo stecco del lombrico,

dammi be’ quando di tico

e se tu non me lo dai

tanti schiaffi piglierai.

(*)-Sciocchina, stupidina

 

 

F I L A S T R O C C H E

 

I testi sotto riportati sono in gran parte tratti da: "I CANTI DELLA VITA" di Lucia Petrocchi Corradini - Edizioni Benedetti - Pescia 1985 -

 

Quando tira il vento folaio

 

Quando tira il vento folaio

ci vorrebbe una bella gonnella,

un porcellino attaccato al solaio

e di vino una botticella,

delle galline un pieno pollaio,

ogni mattina ammazzà la più bella.

 

 

Filastrocca filastrocca

 

Filastrocca filastrocca,

dopo il filo vien la rocca,

passa Nina per la via

per andare dalla zia,

non si ferma alle vetrine,

non dà ascolto alle bambine,

lesta lesta deve andare,

perché a casa vol tornare.

 

 

Trovai una fontanella

 

Trovai una fontanella,

mi ci lavai le mani,

dal deto mignurello

mi ci cascò l’anello;

pescai e ripescai,

trovai due pesciolini,

li portai al Monsignore,

il Monsignore non c’era,

c’erano le zitelle

facevan le frittelle:

mi ne dettero un po’ una,

mi parve tanto bona,

mi ne dettero un po’ un’altra,

mi cascò sotto la panca,

sotto la panca c’era il lupo vecchio

che non sapeva rifassi il letto,

lo trovò rifatto

l'aveva rifatto il gatto,

il gatto era sul tetto,

che suonava il sufiletto,

la gatta era in camicia

che scoppiava dalle risa,

la gallina era sulla scala

che  chiamava la comare,

la comare era alla porta

che vendeva le pera cotta,

pere cotte calde calde,

bastonate sulle spalle.

 

 

Il Gatto mammone

 

Il gatto mammone

che sta sul'arcone,

con i denti di ferro 

e la lingua d'ottone.

 

 

Il Lupo

 

Sprizzina, il lupo scondinzola

Piove, il lupo gode

Grandina, il lupo sanguina

Nevica, il lupo predica.

 

Il Nonnino che semina il grano

 

Il nonnino che semina il grano

volta la casa e vede il villano

il villano che zappa la terra

volta la casa e vede la guerra

vede la guerra con tanti soldati

volta la casa e vede i malati

vede  i malati con tanto dolore

volta la casa e vede il dottore

vede il dottore che fa la ricetta

volta la casa e vede la Beppa

vede la Beppa con tanti pulcini

pirini pirini pirini………..

 

La cecchina

 

Io conosco la Cecchina

è un a bella ragazzina

occhi neri e un bel nasino

un simpatico bocchino.

Se qualcosa il babbo nega

e la mamma non si piega

c’è però la sua nonnina

che fa lieta la Cecchina

Quella nonna benedetta

che la lascia divertire

che la lascia sbizzarrire

nella camera si aggira;

e si prova il suo cappello

e si prova il suo mantello

salta e gira tutto il giorno

e alla nonna è sempre intorno.

 

I N D O V I N E L L I

 

Chi non riuscisse a risolvere gli indovinelli e non volesse rimanere con la curiosità........, può richiedere la soluzione inviando una e-mail a:r.papi@inwind.it

 

 

Trottolin che trottolava

n’ava gambe e camminava,

n’ava culo e pur sedeva,

come domine faceva?

 

  II°

Lungo e grosso lo vorrei,

dove metterlo saprei,

nella bocca dell’usanza

che fa crescere la pancia.

 

III°

Più si tira

e più si accorcia

 

 

IV°

Più si alza

e più si accorcia

 

 

Chi la fà, la fa per vende

chi la compra non l'adopra,

chi l'adopra, non la vede

 

 

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