II
I PERIODO INTERMEDIO
(1080 – 665 a.C.) Alla morte di Ramses XI, l'Egitto
era nuovamente diviso in due: al nord il visir Smendes, a cui la moglie,
probabilmente, aveva portato in dote il diritto al trono, al sud l'anziano Hrihor.
I due poteri non erano ostili, sembra anzi che Hrihor si dichiarasse vassallo di
Smendes. Ma è un vassallaggio a parole, visto che, come re dell'Alto Egitto e
soprattutto in quanto vero capo del clero di Amon (alla cui testa aveva messo
suo figlio Piankhi) Hrihor era il padrone assoluto della Tebaide e del
sud del paese.
Hrihor era già anziano quando prese il potere nel sud,
perciò, se anche avesse avuto l'intenzione di occupare il nord, non ne
ebbe il tempo. Alla sua morte, il paese risultava diviso tra un potere di fatto
in Alto Egitto con a capo Piankhi, il figlio di Hrihor, e un re legittimo al
nord, Smendes, capostipite della XXI dinastia, con capitale a Tanis, nel
delta orientale del Nilo.
Anche alla morte di Smendes, come a quella di Hrihor,
nulla cambiò in Egitto; egli lasciò il suo potere a Psusennes I, il
quale, non avendo figli, diede in sposa sua figlia Makare, che, secondo
l'uso egiziano, deteneva il diritto al trono, al figlio di Piankhi, che era
sempre grande sacerdote di Amon e manteneva il potere in Alto Egitto.
Il figlio di Piankhi, Pinegem I, ereditò dunque
il potere al sud grazie a suo padre, e al nord grazie a sua moglie e, quando salì
al trono, sembrò che l'unità egiziana potesse essere nuovamente assicurata: le
forze disgregatrici però, erano troppo potenti per essere contrastate così
facilmente. Pinegem tentò, resistendo al nord, di mantenere la sua autorità al
sud nominando il suo figlio maggiore grande sacerdote di Amon ma, alla morte del
figlio, scoppiò la rivolta a Tebe. Il faraone nominò allora il suo secondo
figlio alla testa del clero a Tebe, ma questi, Menkheperra, si impadronì
del potere per i suoi fini, facendo cosi naufragare una volta per tutte i sogni
paterni.
Menkheperra, grande sacerdote di Amon, diventò re e
così malgrado gli sforzi di Pinegem, l'Egitto fu di nuovo diviso, e questo andò
a discapito di tutto il paese, poiché anche il clero di Amon non ebbe più il
potere che aveva sotto la XVIII-XIX dinastia. Il tesoro si era impoverito, non
potendo più disporre dei tributi stranieri che le guerre incessanti dei grandi
faraoni dell'antichità, in altri tempi, portavano ai suoi magazzini, e quindi
si dovette far conto solo sulle rendite dei terreni del tempio, che erano in
gran parte assorbiti dallo stesso clero,
Dopo la morte di Pinegem, la dinastia continuò ad
essere divisa; mentre a Tanis, nel nord, regnò prima Amenemope e poi i suoi
successori Siamon e Psusennes II, a Tebe succedettero a Menkheperra i suoi
figli. Essi portarono gli stessi nomi dei re che regnarono nel nord, e si
conosce, a sud, un Psusennes con un regno molto breve e un Pinegem contemporaneo
di Siamon. Una particolarità dominò durante tutta la XXI dinastia: la
divisione dell'Egitto, che esisteva di fatto, non fu mai dichiarata
ufficialmente.
I re taniti (da Tanis) furono i sovrani legittimi
dell'Egitto mentre, a Tebe, i discendenti di Menkheperra, a differenza del
padre, non si fregiarono del titolo reale.
La scissione virtuale tra nord e sud non fu la sola
crepa nell'edificio politico: nel Medio Egitto, a Eracleopoli, una
famiglia libica prese il potere localmente e acquistò sempre più importanza
fino a soppiantare i re taniti e a instaurare la XXII dinastia.
Questa dinastia, d'origine libica, costituì una sorta
di dittatura militare. Essendosi sempre più ridotto il numero di soldati
egiziani, i mercenari libici, i mashauash, formarono, da soli,
l'esercito egiziano e i loro capi disposero di un potere sempre più grande dato
che il paese, diviso, era sempre più debole; rappresentavano la forza armata e
ne approfittarono per usurpare l'autorità suprema. Ci si poteva attendere,
durante il loro governo, una restaurazione dell'unità politica, come succede
generalmente quando una minoranza armata prende il potere, ma cosi non fu.
La XXII dinastia era divisa e debole come la XXI, e ciò
per diverse ragioni; tanto per cominciare i libici si erano installati in Egitto
sin dalla XX dinastia e, nel corso dei secoli, si erano assimilati, perdendo
cosi, attraverso i ripetuti matrimoni misti, i caratteri razziali che
costituivano parte della loro forza. In seguito, meno evoluti degli egiziani,
adottarono la loro civiltà, e quindi non ebbero più quelle tradizioni proprie
che, distinguendoli e isolandoli dai locali, gli avrebbero permesso di
dominarli: erano egiziani di origine straniera, non stranieri. Inoltre la
rottura fra nord e sud aveva cause troppo profonde perché vi potesse porre
rimedio un potere usurpato come quello della XXII dinastia.
La famiglia dei Sheshonq, alla quale
appartenevano i re di questa dinastia, fornisce un eccellente esempio di questo
processo di assimilazione. Stabilitisi nella regione di Eracleopoli, da sempre
zona libica per eccellenza, i Sheshonq, il cui nome non è egiziano, dovevano
essere, all'origine, puramente libici, ma diventarono egiziani ancora prima di
salire al potere. Dopo essere stati capi militari, divennero sacerdoti e, a
questo titolo, pretesero di essere sepolti a Abido come gli egiziani.
Il potere della famiglia si estese fino a Bubastis, nel
delta. Alla morte di Psusennes II, Sheshonq I diventò re e, per
legittimare la sua dinastia, fece sposare suo figlio Osorkon con la
figlia di Psusennes. La dittatura militare libica fu anche causa di disordini
nel paese, soprattutto nella zona di Tebe, ed è persino possibile, anche se non
se ne hanno le prove, che parte del clero di Amon si sia volontariamente
esiliato nel Sudan.
Inevitabilmente attirati verso il nord, vero centro di
gravità dell'Egitto, i libici abbandonarono Eracleopoli e si installarono nel
delta, da lì Sheshonq I organizzò una spedizione in Palestina e prese
Gerusalemme, saccheggiandone il tempio. In questo modo ristabilì
momentaneamente un certo prestigio egiziano in Asia, ma non si trattò di una
conquista vera e propria, e il solo risultato pratico furono i proventi di un
ricco bottino per i templi egiziani.
La successione di Sheshonq I fu una faccenda molto
complessa; la presa di potere dei libici non aveva cambiato in nulla la
divisione virtuale del paese tra nord e sud e Sheshonq I, riprendendo la
politica dei suoi predecessori, tentò soltanto di usare a suo favore
l'influenza del clero di Amon, alla cui testa mise suo figlio. Anche i suoi
successori tentarono di imitarlo ma, come per i re della XXI dinastia, i loro
sforzi furono vani, e i figli che essi nominarono alla testa del clero di Tebe
costituirono sempre delle dinastie parallele al sud. Per contrastare questa
tendenza, i faraoni cercarono di diminuire l'influenza della casta sacerdotale
di Amon, creando un nuovo titolo religioso, quello di «Sposa del dio» o
di «Divina adoratrice di Amon», che veniva dato sempre e soltanto alle
principesse; il risultato però, fu che esse acquisirono altrettanto potere di
quello dei grandi sacerdoti, senza peraltro essere più fedeli al re.
L'Egitto quindi restò diviso e, alla fine della XXII
dinastia, Tebe si ribellò apertamente per ben due volte al re del nord: questo
fatto fa supporre una crescente indipendenza dei re tebani nei riguardi della
regalità.
Sotto gli ultimi re della XXII dinastia, Sheshonq III,
Pami e Sheshonq IV, l'anarchia continuò a crescere e l'Egitto mostrò una
tendenza sempre maggiore al frazionamento, soprattutto nella zona del delta.
La XXIII dinastia venne fondata prima che la XXII si
fosse estinta, e le due dinastie furono in parte parallele. È possibile anche,
a giudicare dai nomi portati dai faraoni della XXIII dinastia (Pedubast,
Sheshonq V, Osorkon III, Takelot III) che fossero imparentati con quelli
della XXII. La capitale della nuova dinastia fu Bubastis, dove la
famiglia dei Sheshonq si era installata molto prima di prendere il potere, e così
la divisione nord-sud si complicò ulteriormente, creando una nuova
frammentazione est-ovest nel delta. Ma le divisioni non finirono lì; a fianco
delle due dinastie parallele, sembra che le dinastie locali si siano
moltiplicate, al nord, fino all'avvento della XXIV. Anche se questi piccoli re
non erano ostili gli uni agli altri, il frazionamento del potere era pericoloso
per l'Egitto, che si trovava nell'impossibilità di creare un esercito potente,
e di assicurare i contributi economici e i lavori di manutenzione generale
indispensabili alla prosperità del paese.
Verso il 730 a.C., la situazione era molto confusa: nel
delta il potere era diviso, da una parte tra i faraoni della XXII e quelli della
XXIII dinastia, e dall'altra fra usurpatori per lo più libici che avevano preso
il potere localmente. Nel Medio Egitto è praticamente impossibile capire chi
faceva capo ai faraoni della XXII e chi a quelli della XXIII dinastia, e
comunque, tra le due fazioni, non c'era nessuna ostilità. In Alto Egitto,
infine, il grande sacerdote e la divina adoratrice di Amon, parenti dei faraoni
del nord, regnavano autonomamente a Tebe, mentre si suppone che, in Sudan, i
componenti del clero di Amon che si erano rifugiati lì, si fossero costituiti
in principato autonomo con capitale a Napata, anche se è più verosimile
che i sovrani di questo nuovo regno fossero sudanesi.
L'Egitto era quindi più diviso che mai, ma presto si
farà sentire una forte (e duplice) tendenza alla centralizzazione. Nel 751
circa Piankhy, un re dal nome egiziano (il che non vuol dire che avesse
origini egiziane) salì al trono a Napata, in Sudan. Gli egiziani non erano mai
stati molto numerosi in Nubia, e si erano completamente mescolati alla
popolazione locale, per cui Piankhy governava un popolo di sudanesi, e sembrava
non dovere nulla all'Egitto (da cui il nome di «etiope» dato alla sua
dinastia). Mentre lui cercò di unificare l'Egitto partendo da sud, a Sais,
nel delta, il re locale, Tefnakht, cominciò a ricostruire intorno a sé
l'unità del paese. Sembra che abbia proceduto con la persuasione, più che con
la conquista armata: fece riconoscere la sua autorità ai governanti locali e li
confermò nei propri poteri come vassalli. Una volta unificato il nord, Tefnakht
penetrò in Medio Egitto, dove si scontrò con Piankhy che era partito dal sud.
Si conoscono le vicende di questa lotta tramite un solo documento, la stele di
Piankhy, che dà una visione «sudista» dell'avvenimento, ed è una fonte molto
partigiana. In questo documento il re si vantò di aver completamente sconfitto
Tefnakht e di aver conquistato l'Egitto fino ai confini marittimi del delta. In
effetti, se è possibile che abbia respinto Tefnakht e i suoi vassalli del Medio
Egitto, è piuttosto improbabile che sia andato più lontano poiché, subito
dopo la sua pretesa vittoria, non solo Piankhy tornò a Napata, ma esiste anche
la prova che Tefnakht governò il delta ancora per qualche anno dopo la tanto
vantata conquista etiope.
Comunque sia, Tefnakht fu il fondatore della XXIV
dinastia, che fu formata da due soli re: Tefnakht e Boccoris. Questa
dinastia regnò nel nord mentre Piankhy, con la XXV dinastia etiope governò
parallelamente al sud, estendendo forse il suo potere fino a Menti:
l'unificazione era fallita.
Nel nord, Boccoris succedette a suo padre Tefnakht.
Egli passò per essere stato un legislatore, ma si sa ben poco su di lui, se non
che sollevò una rivolta in Palestina contro gli Assiri, che l'appoggiò
con un distaccamento egiziano, e che fu sconfitto. Morì durante i combattimenti
per la conquista del delta da parte di Shabaka.
Nel sud, Shabaka, successore di Piankhy, governava fino
a Tebe, e, forse, fino a Menfi. Egli abbandonò Napata per stabilirsi a Menfi,
dove la sacerdotessa divina adoratrice di Amon era ormai di discendenza
sudanese. Da lì partì alla conquista del Basso Egitto, a cui il padre Piankhy
aveva rinunciato, e sembra che quest'impresa gli riuscì, anche se non si ha
nessun dettaglio circa questa conquista, nel corso della quale fu ucciso
Boccoris. Shabaka si trasferì poi al nord e, al contrario di Tefnakht e
Boccoris, non si oppose agli assiri. Scomparsa la XXIV dinastia, la XXV regnò
in Egitto solo nominalmente, perché sembra che il paese non sia mai stato, in
realtà, totalmente pacificato.
I successori di Shabaka furono Shebitku e Taharqa.
I due intrapresero una politica attiva in Asia e favorirono le rivolte
palestinesi contro gli assiri, ma non furono più fortunati di Boccoris, e fu
per pura fortuna che l'esercito assiro, vinta la coalizione palestinese, non
distrusse Gerusalemme e l'esercito egiziano (sembra che un'epidemia di peste
abbia dissuaso gli assiri dal combattere).
Per poter sorvegliare la situazione nel Mediterraneo,
Taharqa fu obbligato, come i suoi predecessori, a installarsi nel Basso Egitto,
e risiedette a Tanis. Era perciò troppo lontano dall'Alto Egitto per poterlo
governare efficacemente, ma fece uno sforzo per assicurarsene almeno la fedeltà.
Rompendo con la tradizione non lasciò più tutti i poteri al clero di Amon, ma
ne conferì una parte al «governatore del sud», Montuemhat; cosi separò
deliberatamente il potere spirituale da quello temporale, per motivi politici.
(1078-945 a.C.) Per tutto il secolo XI e quelli
precedenti l'era cristiana il fondamentale dualismo della terra dei faraoni si
manifestò in modo nuovo e inatteso. Due capitali distinte si dividevano ormai
il governo dell'Egitto, Tebe a sud e Tanis a nord; e, strano a
dirsi, le relazioni fra le due metà del paese erano amichevoli e procedevano in
uno spirito di collaborazione. Per il momento il trono era vacante. L'assenza di
un faraone non poteva esser tollerata a lungo, e Nesbanebded non tardò a
far valere i suoi diritti. Il suo nome significa "Colui che appartiene
all'Ariete di Djedé" e Djedé è l'importante città al centro del delta
chiamata Mendés dai Greci.
Manetone pone a capo della sua XXI dinastia dei sette
sovrani di Tanis, Smendes, una pronuncia di Nesbanebded che coglie abbastanza
nel segno. Smendes, come originario di Djede, non può aver avuto alcun diritto
personale al trono, e pare ovvio che egli dovesse il titolo regale non solo al
suo forte carattere, ma anche alla moglie Tentamun; evidentemente fu questa
donna l'anello di congiunzione fra Tebe e Tanis. Sotto Smendes in Egitto riprese
una certa attività edilizia, con restauri e nuove costruzioni, segno di grande
potere.
Il nome di Tebe non ricorre più negli elenchi di
dinastie di Manetone e tutte le date trovate nelle epigrafi si riferiscono
evidentemente ai regni taniti. I sovrani non ambivano più a esser sepolti a
Biban el-Muluk, e gli scavi archeologici a Tanis hanno riportato alla luce le
tombe di Psusennes I e di Amenemope, rispettivamente secondo e terzo re della
XXI dinastia, tralasciando Neferkara, il cui regno fu probabilmente effimero.
Questi sepolcri comunque sono delle costruzioni misere e modeste se paragonati
alle grandi tombe sotterranee a occidente di Tebe, per non citare le imponenti
piramidi dei tempi più antichi.
A Tebe il modello di governo lasciato in eredità da Hrihor
ai suoi discendenti fu mantenuto con pochi mutamenti. Alla morte di Smendes,
come a quella di Hrihor, infatti nulla cambiò in Egitto. Come già detto,
seguirono lotte.
L'alto sacerdozio a Tebe fu quindi successivamente
ricoperto da Piankhi, Pinudjem I, Masaherta, Menkheperra e Pinudjem II,
passando di padre in figlio eccettuato nel caso di Menkheperra, fratello del suo
predecessore. Insieme al titolo sacerdotale questi pontefici assumevano quello
di "Gran Comandante dell'Esercito" o "Gran Comandante
dell'Esercito di tutto il paese", chiaro indizio dell'instabile situazione
dell'Egitto; i titoli di "Visir" o di "Figlio del re di Cush"
erano aggiunti talvolta, probabilmente solo in ossequio alla tradizione.
Mentre la sequenza dei sacerdoti tebani e i reciproci
rapporti di parentela sono stati stabiliti con certezza, questo non è stato
possibile per i sovrani di Tanis. Per i primi quattro si può probabilmente
accettare l'ordine di successione fornito da Manetone: Smendes, Psusennes,
Nephercheres e Amenaophthis ma il quinto nome, Osochor, è forse preso a
prestito dalla XXII dinastia, mentre il successivo, Psinaches, non è stato
individuato in alcun geroglifico.
A questo punto comunque va inserito Siamun, il
faraone che pose i suggelli al grande "nascondiglio" di Deir
el-Bahri, e del quale si sa che regnò diciassette anni: Alla fine della
dinastia Manetone nomina un secondo Psusennes, e questo è confermato dai
monumenti. Si è, però, talvolta supposta l'esistenza di un terzo Psusennes, da
non confondersi col secondo. La cronologia della XXI dinastia è ancor più
controversa che non l'ordine di successione dei suoi monarchi. Sesto Africano
attribuisce 26 anni di regno a Smendes, 46 a Psusennes I, 14 a Psusennes II, e
periodi molto più brevi agli altri; ma le fonti più antiche tacciono su tutti
e tre i regni.
Fu durante la XXI dinastia che i sacerdoti di Amon
predisposero quello che ai giorni nostri viene comunemente chiamato
"nascondiglio di Deir el-Bahri". Ammonticchiati in questo modesto
sepolcro furono trovati sarcofagi, mummie, e vari arredi funebri, portati là
dopo lunghe peregrinazioni dai successori di Hrihor.
Quasi subito dopo i funerali, i potenti re delle
dinastie che vanno dalla XVIII alla XX rimanevano esposti a violazioni e furti
da parte dei rapaci abitanti della necropoli tebana, e fu solo in un ultimo
disperato tentativo di porre fine a questi atti sacrileghi che intervennero i
gran sacerdoti della XXI dinastia. Ormai potevano farlo con piena fiducia nella
riuscita in quanto gli ornamenti d'oro e gli altri oggetti preziosi erano già
da tempo scomparsi e ben poco rimaneva da salvare oltre alle bare e alle salme.
Oltre alle mummie di nove re furono scoperte quelle di
numerose regine, di qualche principe e personaggi minori. Su alcune bare e sui
bendaggi delle mummie, sigilli in caratteri ieratici rivelavano la data
dell'inumazione e i nomi delle autorità che l'avevano predisposta. Più
importanti da un punto di vista strettamente storico erano i sarcofagi intatti
di gran sacerdoti della XXI dinastia e delle loro donne. Fra le ultime salme
sepolte erano quelle di Pinudjem II e di sua moglie Neskhons. Dopo di loro, nel
decimo anno di regno del sovrano tanita Siamun, il "nascondiglio" fu
sigillato, ma fu poi riaperto sotto il regno di Shoshenk I per seppellirvi un
sacerdote di Amon di nome Djedptahefronkh.
Elenco dei re della XXI dinastia (secondo
Manetone)
Nome |
Prenome e Nome |
Data
più arretrata |
Date
congetturali a.C. |
Smendes |
Hedjkheperra-setpenra
Nesbanebded-meramun |
26 |
1078-1043 |
Psusennes
I |
Akheperra-setpenamun
Psibkhaemne-meramun |
46 |
1043-997 |
Nephercheres |
Neferkara-hekawise
Amenemnesu-meramun |
4 |
997-993 |
Amenophthis |
Usimara-setpenamun
Amenemope-meramun |
9 |
993-984 |
Osochor |
Non
identificato |
6 |
984-978 |
Psinaches |
Non
identificato |
9 |
978-959 |
Psusennes
II |
Titkheprura-setpenra
Psibkhaemne-meramun |
14 |
959-945 |
(945-730 a.C.) Non molti anni dopo il 950 a. C. lo
scettro dei faraoni passò nelle mani di una famiglia straniera. I primi re di
questa stirpe si attribuivano il titolo di "capi dei Meshwesh",
spesso abbreviato in "capi dei Ma", e talvolta parafrasato in
"capi degli stranieri". Questi erano evidentemente molto affini a quei
Libi respinti con tanta difficoltà da Merenptah e Ramses III. Ma non sarebbe
giusto considerarli nuovi invasori; la teoria più plausibile è che fossero
discendenti di prigionieri di guerra o di coloni stabilitisi volontariamente in
Egitto, ai quali, come agli Sherden, erano state concesse terre in proprietà a
condizione che prestassero servizio militare.
Comunque sia, essi erano divenuti così numerosi ed
importanti da potersi impadronire del governo, quasi senza provocare attriti.
Come gli Hyksos d'altri tempi, ambivano ad apparire egizi di nascita, pur
continuando ad ornarsi il capo delle piume che erano sempre state una
caratteristica del loro costume. La famiglia dei Sheshonq, alla quale
appartenevano i re di questa dinastia, fornisce un eccellente esempio di questo
processo di assimilazione.
Stabilitisi nella regione di Eracleopoli, da
sempre zona libica per eccellenza, i Sheshonq, il cui nome non è
egiziano, dovevano essere, all'origine, puramente libici, ma diventarono
egiziani ancora prima di salire al potere. Dopo essere stati capi militari,
divennero sacerdoti e, a questo titolo, pretesero di essere sepolti a Abido come
gli egiziani.
Il potere della famiglia si estese fino a Bubastis, nel
delta. La dittatura militare libica fu anche causa di disordini nel paese,
soprattutto nella zona di Tebe, ed è persino possibile, anche se non se ne
hanno le prove, che parte del clero di Amon si sia volontariamente esiliato nel
Sudan. L'origine straniera era anche tradita dai nomi barbarici: Sheshonq,
Osorkon, e Takelot, per non citare che quelli portati da sovrani veri e
propri. Questi tre nomi erano noti a Manetone perché si trovano nella sua XXII
dinastia insieme ad altri sei re innominati. Gli egittologi, dal canto loro,
hanno creduto bene di dover distinguere almeno cinque Sheshonq, quattro Osorkon
e tre Takelot. L'intero periodo è dei più oscuri .
In linea generale si può dire che il carattere di
queste ultime dinastie si mantenne assai simile a quello della XXI. La capitale
principale era nel Nord, a Tanis o a Bubastis, ma a Tebe i gran sacerdoti
esercitavano ancora un indiscusso potere religioso, mentre i rapporti fra le due
metà del paese oscillavano continuamente fra l'amicizia e l'ostilità. Fu
un'epoca di confusione e ribellioni per la conoscenza della quale gli storici
non dispongono che di scarse fonti.
Particolare importanza sotto la XXII dinastia ebbe la
città di Eracleopoli; molti membri di questa dinastia ricoprirono
cariche sacerdotali in questa città e, durante tutto il regno, i governatori
della Tebaide vennero spesso scelti fra i suoi abitanti. Potrebbe darsi che i
Meshwesh, innalzatisi ora fino al potere regale, si fossero stabiliti nei secoli
precedenti in quei paraggi, sulla via diretta che attraversava le oasi a partire
dalla Libia, loro patria d'origine.
Manetone dice originari di Bubastis i re della XXII
dinastia e di Tanis quelli della XXIII, ed esistono probanti indizi che li
ricollegano a queste fiorenti città del delta orientale. Ad ogni modo,
inevitabilmente attirati verso il nord, vero centro di gravità dell'Egitto, i
libici abbandonarono Eracleopoli e si installarono nel delta.
Dopo Sheshonq I ci fu molto disordine nel paese. I
faraoni cercarono di diminuire l'influenza della casta sacerdotale di Amon,
creando un nuovo titolo religioso ("Sposa del dio"); il risultato però,
fu che esse acquisirono altrettanto potere di quello dei grandi sacerdoti, senza
peraltro essere più fedeli al re. L'anarchia continuò a crescere.
Manetone assegna alla XXII dinastia una durata di soli
centoventi anni, ma secondo i calcoli degli studiosi di cronologia si devono
attribuirle due interi secoli, dal 950 al 730 a. C..
Elenco dei re della XXII dinastia (secondo
Manetone)
Nome |
Prenome e Nome |
Data
più arretrata |
Date
congetturali a.C. |
Sheshonq
I |
Hedjkheperra-setpenra
Shoshenk-meramun |
21 |
945-924 |
Osorkon
II |
Sekhemkheperra-setpenra
Osorkon-meramun |
36 |
924-889 |
Takelot
I |
Usimara
Takelot |
7?
23? |
889-874 |
Sheshonq
II |
Hekakheperra-setpenra
Shoshenk-meramun |
1 |
889-889 |
Osorkon
III |
Usimara-setpenamun
Osorkon-meramun |
24 |
874-850 |
Takelot
II |
Hedjkheperra-setpenra
Takelot-siese-meramun |
25 |
850-825 |
Sheshonq
III |
Usimara-setpenamun
Shoshenk-sibast-meramun |
52 |
825-773 |
Pamy |
Usimara-setpenamun
Pemay-meramun |
6 |
773-767 |
Sheshonq
V |
Akheperra
Shoshenk |
37 |
767-730 |
(818-730 a.C.) La XXIII dinastia di Manetone non
comprende che quattro re, il terzo dei quali (Psammùs) non è stato
identificato, e il quarto (Zét) è citato solo da Sesto Africano,
probabilmente per errore.
Sotto gli ultimi re della XXII dinastia, Sheshonq III, Pemay e Sheshonq V,
l'anarchia continuò a crescere e l'Egitto mostrò una tendenza sempre maggiore
al frazionamento, soprattutto nella zona del delta. La XIII dinastia venne
fondata prima che la XXII si fosse estinta, e le due dinastie furono in parte
parallele.
È possibile anche, a giudicare dai loro nomi, che i
faraoni della XXIII dinastia ( Petubasti, Osorkon IV, Takelot III, Rudamon,
Osorkon V ) fossero imparentati con quelli della XXII.
La capitale della nuova dinastia fu Bubastis,
dove la famiglia dei Sheshonq si era installata molto prima di prendere il
potere, e così la divisione nord-sud si complicò ulteriormente, creando una
nuova frammentazione est-ovest nel delta.
Elenco dei re della XXIII dinastia (secondo
Manetone)
Nome |
Manetone |
Prenome e Nome |
Data
più arretrata |
Date
congetturali a.C. |
Petubastis |
Petubates
[40] |
Usimara-setpenamun
Pedubast-meramun |
23 |
818-793 |
Osorkon
IV |
Osorcho
[8] |
|
|
787-757 |
|
Psammus
[10] |
|
|
|
|
Zet
[31] |
|
|
|
Takelot
III |
|
|
|
764-757 |
Rudamon |
|
|
|
757-754 |
Osorkon
V |
|
|
|
730 |
(730-715 a.C.) La XIII dinastia venne fondata prima che
la XXII si fosse estinta, e le due dinastie furono in parte parallele. Ma a
fianco di queste due dinastie parallele, sembra che le dinastie locali si siano
moltiplicate, al nord, fino all'avvento della XXIV dinastia.
Verso il 730 a.C. la situazione era molto confusa: nel
delta il potere era diviso, da una parte tra i faraoni della XXII e quelli della
XXIII dinastia, e dall'altra fra usurpatori per lo più libici, fondatori della
XXIV dinastia, che avevano preso il potere localmente.
Tefnakht fu il fondatore della XXIV dinastia,
che fu formata da due soli re: Tefnakht e Boccoris.
Questa dinastia regnò nel nord mentre Piankhy,
con la XXV dinastia etiope, governò parallelamente al sud, estendendo forse il
suo potere fino a Menfi.
Boccoris, figlio Tefnakht, morì durante i combattimenti per la conquista del
delta da parte di Shabaka (XXV dinastia) e con lui ebbe termine la storia di
questa breve dinastia.
Elenco dei re della XXIV dinastia
Nome |
Manetone |
Prenome e Nome |
Data
più arretrata |
Date
congetturali a.C. |
Tefnakht |
Tnephachthos,
Technactis |
Shepsesra
Tefnakhte |
8 |
730-720 |
Boccoris |
Bochchoris |
Wahkara
Bekenrinef |
6 |
720-715 |
(760-656 a.C.) I dati registrati da Manetone per questo
periodo, e riportati da Sesto Africano, sono di un interesse e di una brevità
tale che è possibile citarli per esteso: " XXV dinastia di tre re etiopi:
a)
Sabacon che dopo aver catturato Boccoris lo bruciò vivo, e regnò a 8
(12) anni;
b)
Sebichos, suo figlio, 14(12) anni;
c)
Tarcos, 18 (20) anni; totale 40 anni".
Si trova qualche affinità con la storia autentica,
anche se naturalmente non si deve prendere in considerazione l'allusione, di
marca tipicamente manetoniana, alla conquista e l'asservimento dell'Egitto a
opera degli Assiri.
E' strano tuttavia che Manetone non parli del grande
guerriero sudanese o cushita Piankhy che verso il 730 a. C. cambiò
all'improvviso l'intero corso delle vicende egizie. Era questi il figlio di un
capotribù o re chiamato Kashta, e fratello, pare, di Shabako, chiamato da
Manetone Sabacon. Partito da Napata, Piankhy scese il corso del Nilo e, nel
corso di una campagna militare documentata da una famosa stele commemorativa a
Gebel Barkal, sconfisse il rivale di origine siriana Tefnakht (XXIV Dinastia) e
diede all'Egitto, dopo diversi decenni, una parvenza di unità.
Ma per ottenere una prospettiva più o meno esatta della nuova situazione,
occorre tornare indietro di circa settecento anni. Già sotto i Tuthmosidi era
sorta una fiorente città o colonia egizia presso il massiccio roccioso del
Gebel Barkal, non molto alto ma imponente perché isolato in mezzo alla pianura
a circa un chilometro e mezzo dal Nilo. La capitale provinciale di Napata,
situata a breve distanza dalla quarta cateratta a valle del fiume e ai piedi
della «Montagna Sacra», come la chiamavano gli Egizi, era abbastanza lontana
da potersi sviluppare senza gran pericolo d'interferenze. All'epoca di
Tutankhamon la città segnava il limite amministrativo del vicereame nubiano.
E’ indubbio che la cultura egizia, seppure latente, continuava a esercitare la
sua influenza e ad essa si univa un'appassionata devozione ad Amon-Ra, il dio
della città madre, Tebe. Fu probabilmente questa devozione a provocare
l'improvvisa incursione di Piankhy nella terra sconvolta dei suoi avversari
libici.
Frattanto un nuovo nemico era comparso in Oriente: gli
Assiri.
Da secoli i piccoli reami della Siria e della Palestina
erano riusciti a sopravvivere senza grandi ingerenze straniere; ma adesso si
trovavano di fronte la rinata potenza di un'Assiria ambiziosa e dispotica.
Con una serie di campagne militari in Occidente Tiglath-pileser
III (745-727 a. C.) aveva saccheggiato Damasco e deportato nell'Assiria gran
parte degli abitanti; lo stesso aveva fatto in Israele, deponendo il re Pekah e
sostituendolo con Hoshea nel 732 a. C..
Per questi avvenimenti e per quelli dei cinquant'anni
seguenti le uniche fonti sono l'Antico Testamento e le iscrizioni cuneiformi,
mentre i testi egizi non nominano mai l'Assiria, anche se alla fine Tebe stessa
doveva cadere temporaneamente vittima dell'assai più forte potenza asiatica.
Tuttavia era chiaro che i signorotti della Palestina guardavano all'Egitto come
difensore contro gli invasori settentrionali. Durante il breve regno del figlio
di Tiglath-pileser III, Shalmaneser, prematuramente scomparso, Hoshea si
sollevò in aperta ribellione; il tragico risultato fu la cattura e distruzione
finale della Samaria, difesasi strenuamente per tre anni e caduta solo nel 721
a.C. quando il successore di Shalmaneser, Sargon II, «deportò gli
Israeliti in Assiria» e «fece imprigionare e mettere in catene»
Hoshea.
Secondo il racconto biblico, questi «aveva inviato
messi a So, re d'Egitto, e non pagava più il consueto tributo annuo al re d'Assiria».
Gli studiosi sono concordi nell'identificare So con Sib'e,
turtan d'Egitto, che secondo gli annali di Sargon era partito da Rapihu
(Rafia, sul confine palestinese) insieme ad Hanno re di Gaza, allo scopo di
vibrare un colpo decisivo. Sotto Tiglath-pileser questo stesso Hanno era fuggito
davanti all'esercito assiro ed era «riparato in Egitto»; Sargon riferisce che
la stessa cosa fece Sib'e:
«come
un pastore cui è stato rubato il gregge, fuggì da solo e scomparve; io
catturai personalmente Hanno I e lo portai in catene nella mia città di Ashur;
distrussi Rapihu, la rasi al suolo e la bruciai».
Per ragioni fonetiche, oltre che cronologiche, So-Sib'e
non può essere il re etiopico Shabako, per cui si suppone che questi nomi si
riferiscano a un generale. Ciò sembra convalidato dal testo assiro che
prosegue: «Io ricevetti il tributo del Pir'u di Musru», il che non può
significare altro che «il faraone d'Egitto».
La latente ostilità delle due grandi potenze, Assiria
ed Egitto, tornò a divampare sotto Sennacherib che iniziò la sua terza
campagna militare con la conquista delle città costiere fenicie. L'agitazione
era però scoppiata più a sud; la popolazione della città filistea di Ekron
aveva scacciato il proprio re, Padi, per la sua lealtà verso l'Assiria;
Ezechia, re di Giuda, dopo averlo accolto, lo aveva fatto prigioniero, ma poi,
preso dalla paura, aveva chiesto aiuto all'Egitto.
A Eltekeh le truppe egizie ed etiopiche subirono una
grave sconfitta; Padi fu ristabilito sul trono e molte città di Giudea furono
saccheggiate, anche se Gerusalemme sfuggì alla cattura. Per evitarla Ezechia si
era rassegnato a pagare un pesante tributo. Si è molto discusso se questo sia
stato l'unico scontro di Sennacherib con l'Egitto, ma la lettura diretta della
Bibbia porta a concludere che ce ne fu un altro; infatti, vi si legge che «Tirhakah,
re dell 'Etiopia» era uscito a combattere contro gli Assiri, ma durante la
notte l'angelo del Signore ne colpì un gran numero, cosicché «al mattino
erano tutti cadaveri». Nei due versetti successivi si afferma che Sennacherib
ritornò allora a Ninive dove rimase finchè non fu assassinato.
Nel fantasioso, ma divertente racconto che Erodoto fa
di questo fallito attacco contro l'Egitto, la ritirata degli Assiri, dopo che già
avevano raggiunto Pelusio, fu causata non dalla peste, come insinua l'Antico
Testamento, ma da nidiate di topi che rosicchiarono le faretre e gli archi degli
invasori.
Dato che Taharqa non salì al trono che nel 689 a.C.,
non può esser questi il nemico sconfitto da Sennacherib a Eltekeh e, a meno di
negare l'esattezza del racconto biblico, se ne deve concludere che il re assiro
mirasse a far seguire la vittoria da un colpo decisivo impedito, però, dalle
circostanze. Dunque i nemici non devono essersi incontrati.
Da tempo si era fatta evidente la necessità di
giungere a una conclusione fra i sovrani dell'Assiria e dell'Etiopia, ugualmente
ostinati, ma di fatto fu un terzo contendente a riportare la vittoria decisiva.
Come ai tempi di Piankhy, il Basso Egitto e una parte del Medio si erano
frantumati in numerosi piccoli principati, sempre pronti a schierarsi con quella
delle due grandi potenze che con maggior probabilità avrebbe rispettato la loro
indipendenza. Uno di questi doveva di lì a poco conquistare la supremazia, ma
per il momento fu l'Assiria ad avere il sopravvento.
Esarhaddon, figlio
di Sennacherib (680-669 a. C.), continuò con successo anche maggiore la
politica aggressiva del padre. I documenti egizi tacciono, ma stele e tavolette
in caratteri cuneiformi danno particolareggiati resoconti della campagna in cui,
dopo aver soggiogato la Siria, egli costrinse Taharqa a ripiegare a sud.
Nell'iscrizione meglio conservata, dopo aver elencato il bottino portato in
Assiria, così prosegue:
Deportai
dall'Egitto tutti gli Etiopi, non lasciandone neppure uno a rendermi omaggio. In
tutto l'Egitto nominai nuovi re, governatori, ufficiali, ispettori portuali,
funzionari e personale amministrativo.
Poco dopo esser partito per un altra campagna,
Esarhaddon cadde ammalato ad Harran e morì, dando modo a Taharqa di
riconquistare Menfi e occuparla, finché non ne fu di nuovo cacciato da Ashurbanipal
durante la sua prima campagna (667 a. C.).
Il nuovo re assiro scoprì che «i re, governatori e
reggenti» nominati da suo padre in Egitto erano fuggiti e occorreva
reintegrarli nelle loro cariche. Tebe fu occupata per la prima volta, ma solo
per essere temporaneamente abbandonata:
Il
terrore della sacra arma di Ashur, mio signore, sconfisse Tarku nel suo rifugio
e di lui non si seppe mai più nulla. In seguito, Urdamane, figlio di Shabako,
sedette sul trono del suo reame. Fortificò Tebe ed Eliopoli e vi radunò le sue
forze armate.
Il racconto prosegue dicendo come Urdamane (nome dato
dagli Assiri al re etiope Tanuatamun ) rioccupasse Menfi; solo dopo il ritorno
di Ashurbanipal da Ninive e l'inizio della sua seconda campagna, l'etiope
abbandonò prima Menfi e poi Tebe, e «fuggì a Kipkipi». Questa è l'ultima
notizia sul suo conto fornita dai testi cuneiformi.
Ashurbanipal afferma di aver completamente soggiogato
Tebe e aver portato a Ninive un grosso bottino, ma pare che questa sia stata
l'ultima sua comparsa in Egitto (663 a. C.).
In poco meno di settant'anni l'avventura etiopica si
era così conclusa e ogni contatto diretto fra i due reami cessò, a quanto
pare, anche se in qualche modo si saranno mantenuti rapporti commerciali. Il
confine settentrionale del regno di Napata era probabilmente Pnubs, a sud della
terza cateratta; il tratto fra questa località e Aswan divenne forse una specie
di «terra di nessuno» abitata da tribù selvagge.
Da allora in poi l'interesse degli Etiopi incominciò a
rivolgersi a sud anziché a nord, e fu stabilita una nuova capitale a Meroe
alla confluenza dell'Atbara col Nilo, dove si poteva allevare bestiame e
coltivare campi e dove esistevano anche abbondanti giacimenti di ferro. Malgrado
la scissione politica fra Egitto ed Etiopia l'antica cultura faraonica tardò a
scomparire; i templi continuarono a esser decorati con le stesse scene
convenzionali a rilievo; le tombe reali conservarono la forma a piramide. Varie
pregevoli stele, scritte in un egizio di mezzo abbastanza corretto, furono
scoperte a Gebel Barkal insieme a quella di Piankhy. Qualche generazione dopo le
iscrizioni geroglifiche, pur facendo ancor uso della lingua egizia, erano
divenute così barbariche da essere incomprensibili.
Nel frattempo dai geroglifici egizi era venuta
formandosi una scrittura alfabetica usata per rendere graficamente la lingua
indigena, e a lato di questa si era sviluppata una scrittura di tipo lineare in
cui ogni segno corrispondeva al geroglifico originario.
Elenco dei re della XXV dinastia
Nome |
Manetone |
Prenome e Nome |
Data
più arretrata |
Date
congetturali a.C. |
Kashta |
|
Kashta |
|
760-747 |
Piankhy |
|
Usimara
Sneferra |
21 |
747-716 |
Shabaka |
Sabacon |
Neferkara
Wahibra Shabako |
15 |
716-695 |
Shebitku |
Sebichos |
Djedkaura
Menkheperra Shebitku |
3 |
695-690 |
Taharqa |
Tarcos |
Khunefertemra
Taharka |
26 |
689-664 |
Tanuatamun |
|
Bakara
Tanuatamun |
8 |
664-656 |
(672-525 a.C.) Alla fine della campagna egizia di
Ashurbanipal la potenza assira era al suo apogeo. Il grande monarca aveva
sconfitto ovunque i suoi nemici, ma questi tenevano troppo alla propria
indipendenza per lasciargli più di qualche breve periodo di respiro. Il regno
di Elam, suo secolare nemico all'Est, fu il primo a sollevarsi.
Era stato appena superato questo pericolo, ed ecco
formarsi un'altra e più vasta coalizione, della quale faceva parte anche il
fratello di Ashurbanipal, il traditore Shamashshumukin, sovrano
semindipendente di Babilonia. Era evidente che il monarca assiro poteva
mantenere il possesso del delta egiziano solo attraverso la fedeltà dei
governatori da lui nominati, anche perché aveva potuto lasciarvi scarsissime
truppe. Il sistema di sostituire i principi malfidi con altri di propria scelta
era stato inaugurato da Esarhaddon.
Tra i prescelti era un certo Neko, principe di
Sais, che Manetone nomina come terzo re della sua XXVI dinastia. Buoni motivi
storici tuttavia indicano Psammetico I, quarto re secondo Manetone, come
il vero fondatore della dinastia.
Ormai la maggior parte dell 'Egitto era governata da
principi indipendenti che avevano tutto l'interesse ad allearsi contro lo
straniero, anziché abbandonarsi a lotte fratricide. Si formò così, sotto la
guida di Psammetico, la Dodecarchia.
Psammetico compare con un nome del tutto diverso nel
racconto della terza campagna di Ashurbanipal sul cilindro di Rassam, dove le
circostanze che gli permisero di liberarsi del giogo assiro sono esposte in modo
tutto sommato attendibile. Vi si narra che Gige, re della Lidia, aggredito dalle
orde selvagge dei Cimmeri, era riuscito a ricacciarle con l'aiuto di
Ashurbanipal.
Di conseguenza, i Cimmeri
invasero e soggiogarono tutta la Lidia.
Forse è a queste truppe che, alterando i fatti, si
riferisce Erodoto, quando parla degli Ioni e dei Cari coperti di bronzo che
aiutarono Psammetico a conquistare il dominio sugli altri principi del delta.
A questo punto la storia dell'Egitto si fonde via via
con quella del Medio Oriente e della Grecia e le fonti principali, oltre ad
Erodoto, sono le cronache cuneiformi, lo storico ebreo Giuseppe Flavio e
l'Antico Testamento.
É opportuno sottolineare due fatti interconnessi, vale a dire il crescente
influsso straniero nel paese e il sorprendente grado di arcaismo presentato
dall'arte e dai testi religiosi di questo periodo, come se, quanto più si
mescolava il sangue degli abitanti, tanto maggiore si facesse sentire la
nostalgia dell'Antico Regno, quando i faraoni erano egizi autentici e i loro
monumenti ostentavano uno splendore reso ancor più evidente dalla decadenza
attuale.
Sotto la dinastia saitica furono rimessi in onore gli
antichi titoli nobiliari, mentre le sculture e i rilievi venivano copiati di
proposito da quelli dell'Antico Regno e le iscrizioni tombali erano ricavate dai
testi delle piramidi. Da qui in avanti si nota un aumento di religiosità negli
Egizi; viene sempre più assiduamente praticato il culto degli animali, e
province e villaggi limitrofi arrivano a vere e proprie lotte in difesa di
questa o quella divinità preferita. Le donazioni di terre ai templi si fanno
frequentissime, e il re è ben contento di accettare i sacrifici dei proprietari
privati per propiziarsi il clero ereditario.
Non ci sono dubbi sulla parte che in tutto ciò ebbero
i motivi politici; Psammetico, di sangue mezzo libico, mirava in tal modo ad
appagare l'ardente nazionalismo degli Egizi. Inoltre nel paese si erano
riversati Siri ed Ebrei e questi ultimi avevano costituito una colonia a
Elefantina, dove avevano ottenuto il permesso di costruire un tempio al loro dio
Yahu, il Geova della Bibbia.
Dall'epoca ramesside i Libi e altri popoli mediterranei
avevano dato, come si è visto, un forte contributo agli eserciti su cui
poggiava la monarchia egizia; in cambio dei loro servigi avevano ricevuto terre
in concessione e non sorprende che adesso le loro cure fossero rivolte piuttosto
all'agricoltura che non alla guerra.
Ma anche se esisteva una categoria ben determinata
della popolazione dedita unicamente al mestiere delle armi, non si può negare
che i Greci, deliberatamente favoriti da Psammetico, ebbero una parte notevole
in una situazione carica di pericoli esterni e interni. Nella scia delle truppe
inviate da Gige erano giunti in Egitto commercianti della Ionia, ben lieti di
ottenere uno stabile punto d'appoggio in un paese tanto fertile e ricco.
Un grande vantaggio al re saitico veniva inoltre dalla perizia marinara dei
coloni greci, le cui navi trasportavano grano egiziano al paese d'origine, che
pagava in argento.
Per capire le imprese militari in cui si trovarono
coinvolti Psammetico e Neko è necessario dare un'idea approssimativa dei fatti
accaduti dopo l'ascesa al trono del primo.
Con il ritiro del vittorioso esercito di Ashurbanipal
dall'Egitto non erano più da temere gravi rappresaglie dall'Assiria. Pare
comunque che le truppe egizie inseguissero nel cuore della Palestina gli Assiri
in ritirata, come era accaduto novecento anni prima dopo la cacciata degli
Hyksos.
Assai più pericolosa per l'Assiria fu un'invasione di
Sciti che dilagarono per tutto il paese e che, secondo lo scrittore greco, non
si arrestarono se non alla frontiera egizia grazie ai doni e alle suppliche di
Psammetico.
Una minaccia ancor più grave tuttavia era il nuovo
grande impero dei Medi sorto nell'Iran nordoccidentale a opera di Fraorte e di
suo figlio Ciassare. Nel 627 a.C. era morto Ashurbanipal, e nell'anno seguente,
dopo una sconfitta decisiva dell'esercito assiro da parte dei Babilonesi sempre
in lotta per la propria indipendenza, Nabopolassar «sedette sul trono di
Babilonia». Tutti i tentativi assiri di riguadagnare il terreno perduto
fallirono.
Nel 616 a.C. Psammetico si rese conto che un'alleanza
fra i Medi e i Babilonesi sarebbe stata più pericolosa di quanto non fosse mai
stata l'Assiria, e decise di far causa comune con gli avversari di un tempo;
decisione disgraziata, perché nel 612 a.C. Ninive cadde, e fu devastata e
saccheggiata col tradizionale impegno.
II re assiro Ashur-uballit tentò di continuare la
lotta spostandola da Harran verso occidente e per qualche anno le sorti rimasero
incerte. Dal 609 a. C. cessa ogni notizia dell'ultimo re dell'Assiria e Neko
prende il suo posto come maggiore avversario di Nabopolassar.
Negli anni 606-605 a.C. gli Egizi catturarono la
piazzaforte di Kimukhu e sconfissero i Babilonesi a Kuramati, località situate
entrambe sull'Eufrate a sud di Karkamis. Allora, secondo la Cronaca Babilonese,
Nebuchadrezzar, figlio di Nabopolassar si scontrò contro l'esercito egizio a
Karkamis e lo annientò.
La grande battaglia di Karkamis ebbe luogo nel 605 a.C., e uno o due mesi dopo
Nabopolassar morì.
Nebuchadrezzar dopo un affrettato ritorno a Babilonia
per assumere il potere riprese la campagna contro la Siria. Nel 604 i Babilonesi
attaccarono e saccheggiarono Ascalona, fatto che provocò una richiesta d'aiuto
al faraone da parte di una città della costa, ma l'appello rimase senza
risposta.
Pare che Nebuchadrezzar non rinunciasse mai alla
speranza d'impadronirsi del confine egizio perché, sempre secondo la Cronaca
Babilonese, marciò deliberatamente contro l'Egitto, ma fu respinto con gravi
perdite e si ritirò a Babilonia. Questo pose fine per vari anni alle aperte
ostilità fra i due paesi. La sconfitta dei Babilonesi fu probabilmente la causa
della defezione di Iohachim e della sua alleanza con l'Egitto, malgrado gli
ammonimenti del profeta Geremia.
Nel 589 si ribellò il re di Giudea, Sedecia, e
Nebuchadrezzar non potendo rimanere inerte, nell'anno seguente marciò contro la
Città Santa.
Nel 589 a.C. morì Psammetico II e gli succedette il figlio Apries, il faraone
Efree della Bibbia, che subito si accinse a sovvertire la politica pacifica e
difensiva adottata dai suoi predecessori. Per opporsi al suo tentativo di
soccorrere Gerusalemme, Nebuchadrezzar interruppe l'assedio, ma lo riprese in
seguito.
Nel 587 a.C. la città cadde e fu completamente
distrutta, mentre Sedecia veniva fatto prigioniero a Gerico; la maggior parte
della popolazione ebraica fu deportata a Babilonia, mentre coloro che rimasero,
trovando intollerabile la situazione in Giudea, fuggirono qualche tempo dopo in
Egitto portando con sé il profeta Geremia. É oscura la parte sostenuta da
Apries in questi avvenimenti, perché le fonti egizie tacciono del tutto. Pare
che agli inizi del regno egli avesse mandato truppe in Palestina ad appoggiare
gli Ebrei, ma che in seguito le avesse ritirate; si parla anche di un attacco
del suo esercito contro Sidone e della flotta contro Tiro.
Nel 570 a.C. Apries fu coinvolto in una nuova e
disastrosa avventura. A Cirene, sulla lontana costa nordafricana, i Greci
avevano creato una vasta e fiorente colonia, tutt'altro che bene accetta però
agli indigeni della Libia. Un capotribù libico, Adicran, si rivolse ad Apries
chiedendogli protezione. L'esercito egizio mandato in suo aiuto subì una
schiacciante sconfitta della quale, a ragione, fu ritenuto responsabile Apries
che di conseguenza perse il trono.
Il nuovo re, Amasis, era un uomo del popolo al quale
l'accettazione della Doppia Corona era stata imposta dalle circostanze e
dall'indignazione dei suoi compatrioti. Egli ebbe l'appoggio unanime degli Egizi
indigeni, mentre i soldati rimasti fedeli ad Apries erano per lo più greci,
cosa alquanto strana dato che di recente questi aveva combattuto contro una
colonia greca.
La guerra civile che ne seguì non può esser durata più
di qualche mese e rimase limitata al delta nordoccidentale; Erodoto colloca la
battaglia decisiva a Momemfi, mentre secondo una grande stele di granito rosso
eretta in ricordo della vittoria di Amasis, essa avrebbe avuto luogo a
Sekhetmafka presso Terana, sul ramo canopico del Nilo.
Un frammento cuneiforme al British Museum fa risalire
allo stesso anno, il trentasettesimo del regno di Nebuchadrezzar, una sorta di
azione militare contro Amasis, ma è improbabile che le due potenze siano mai
venute a conflitto né allora né dopo, quando al grande monarca babilonese
succedettero tre deboli sovrani, seguiti da un quarto, Nabonido che, nelle
traversie della sua esistenza, mai si spinse in regioni più prossime all'Egitto
della Siria settentrionale e di Edom. In complesso Amasis si dimostrò un
sovrano pacifico. In Occidente concluse un trattato di alleanza con Cirene, e se
sottomise alcune città dell'isola di Cipro, fu questa la sua sola conquista.
Fu un periodo di pace per l'Egitto, destinato però a
terminare subito dopo la morte di Amasis.
Da lungo tempo si sentiva la necessità di unificare un
mondo lacerato da continui conflitti e questa unificazione doveva ora esser
tentata su vasta scala. L'iniziativa venne dalla parte più inattesa, la Persia.
Elenco dei re della XXVI dinastia
Nome |
Manetone |
Prenome e Nome |
Data
più arretrata |
Date
congetturali a.C. |
|
Ammeris l'Etiope |
|
|
|
|
Stephinathis |
|
|
|
|
Nechepsos |
|
|
|
Neko I |
Nechao |
|
8 |
672-664 |
Psammetico I |
Psammetico |
Wahibra Psamtek |
54 |
664-610 |
Neko II |
Nechao II |
Wehemibra Neko |
15 |
610-595 |
Psammetico II |
Psammuthis II |
Neferibra Psamtek |
6 |
595-589 |
Apries |
Uaphris |
Hacacibra Wahibra |
19 |
589-570 |
Amasis |
Amosis |
Khnemibra Ahmose-si-Neit |
44 |
570-526 |
Psammetico III |
Psammecherites |
Ankhkaenra Psamtek |
1 |
526-525 |
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