LE ATTIVITA'
La cura del corpo era molto importante per gli antichi
egizi. Essi utilizzavano creme, unguenti e profumi per ammorbidire e profumare
la pelle. Le donne si schiarivano la pelle con un composto cremoso ricavato
dalla biacca, disponibile in colori diversi, dalla più pallida alla più
ambrata generalmente destinata alle labbra.
Evidenziavano il contorno degli occhi con il kohl nero
o verde, rispettivamente estratti dalla golena e dalla malachite. Le unghie
venivano tinte così come le palme delle mani e dei piedi e a volte anche i
capelli con una pasta a base di hennè. Utilizzavano specchi, pinzette per la
depilazione e attrezzi per la manicure. I profumi (utilizzati da uomini e donne
come le creme), venivano estratti da fiori, fatti macerare e pigiati. Tutte le
essenze odorose avevano nel dio Shesmu il loro protettore. Venivano prodotti in
laboratori associati ai templi e conservati in vasetti di pasta vetrosa, la
faience.
I trucchi, per gli Antichi Egizi, avevano il fine di
proteggere la pelle da riverberi e irritazioni causati dal clima asciutto e
dalla sabbia. Dai papiri ritrovati si è scoperto come ad esempio la malachite
(un minerale color verde smeraldo) e la galena (un composto del piombo colore
grigio scuro) venivano applicate sulle palpebre per curare il tracoma (infezione
dell'occhio), l'emeralopia (riduzione della vista) e la congiuntivite, mentre
l'ocra rossa era utilizzata per le labbra e le guance come i moderni rossetti e
fard. Recenti studi hanno rivelato la composizione chimica delle polveri: galena
nera, cerussite bianca, laurionite e fosgenite.
Queste ultime due sostanze non si trovano in natura, ma
sono il risultato di processi chimici che, quindi, lasciano intravedere una
grande conoscenza in materia. Le dettagliate istruzioni riportate dai testi
antichi illustrano i metodi utilizzati: la galena nera veniva scaldata per
produrre l'ossido di piombo (sostanza di colore rosso) che veniva macinata e
mescolata con sale e acqua.
Tutti i giorni seguenti, per un totale di quaranta, la
mistura veniva filtrata e mescolata nuovamente con del sale in modo da ottenere
la bianchissima polvere di laurionite. La fosgenite, invece, veniva ottenuta con
lo stesso procedimento tranne che per l'aggiunta supplementare di natron (un
tipo di carbonato di sodio facilmente ricavabile dai sali presenti nelle rocce).
La varietà delle lavorazioni di queste sostanze (macinazioni più o meno fini)
permettevano di ottenere diverse tonalità di colori e di lucentezza in modo che
ognuno poteva personalizzare il proprio trucco.
La laurionite e la fosgenite, a seconda del dosaggio,
unite alla galena nera producevano la varie tonalità di grigio. A tali sostanze
venivano poi aggiunti grassi animali, cera d'api o resine che esaltavano la
densità e le proprietà curative dei prodotti. Per problemi di vista, ad
esempio, veniva aggiunta dell'ocra rossa alla galena, mentre per il comune
orzaiolo si applicava un miscuglio di malachite e legno putrefatto. I trucchi
erano considerati "fluidi divini" e perciò appartenevano al corredo
funerario del defunto. Alcune di queste sostanze sono giunte fino a noi
perfettamente conservate.
La scuola egiziana fu fondata attorno al 2000 a.C. con
lo scopo di formare giovani esperti da destinare alle funzioni amministrative
dello Stato. Era una scuola rigida e poco permissiva, spesso venivano inflitte
punizioni corporali. Le lezioni si svolgevano generalmente all'aperto. Gli
alunni stavano accovacciati su stuoie intrecciate ed erano muniti di pennelli o
cannucce e di cocci di terracotta sui quali scrivevano.
Allo studio delle lettere erano ritenuti funzionali
l'esercizio ripetuto della ricopiatura e della dettatura. Il giovane che voleva
avere accesso ai più alti gradi dell'amministrazione doveva conoscere almeno
una lingua straniera, così come chi voleva intraprendere con successo la
carriera diplomatica doveva conoscere il babilonese. Importante era anche la
preparazione fisica, curata mediante esercizi ginnici.
Il Nilo era la più importante via di comunicazione, la
più rapida e la più facile. Anche nella stagione della siccità, quando le
acque del Nilo erano basse, la sua navigazione era resa possibile dal vento di
tramontana. Le imbarcazioni del periodo più antico erano zattere in fibra di
papiro intrecciato.
Erano leggere, ma poco adatte al trasporto di grandi
quantitativi di merci, per questo furono sostituite con barche di legno,
generalmente in cedro del Libano. Lo scafo era rettangolare o triangolare ed era
spesso decorato. In particolare venivano raffigurati sul moscone gli occhi che
consentivano alla barca di "vedere". Numerose barche solari furono
ritrovate affiancate a tombe reali, infossate in grandi buche. Erano destinate a
crociere ultraterrene. La più famosa é quella di Cheope. Oggi l'imbarcazione
più usata per la navigazione sul Nilo é la Feluca, piccolo veliero con lo
scafo di legno.
Il
barbiere forse era l'unico che non disponesse di una sede propria e per
guadagnarsi da vivere girava da un quartiere all'altro con i suoi attrezzi
fermandosi di tanto in tanto in qualche piazza rimanendo in attesa dei clienti.
Seduto
su di un semplice sgabello, il cliente si concedeva alle attenzioni del barbiere
che operava con un catino d'acqua saponata, un rasoio e delle forbici.
Il barbiere aveva clienti assicurati in quanto gli egiziani non amavano portare
la barba o i baffi e se nei dipinti di qualche tomba vediamo raffigurato un uomo
con la barba questa viene utilizzata solo per fare notare la condizione precaria
dell'individuo oppure per raffigurare uno straniero. I barbieri del Re avevano
un rango ben determinato all'interno della corte, infatti ogni mento ben nato
doveva essere assolutamente glabro. Ad ogni modo non è molto chiaro che la
barba non sia stata un segno di potenza mascolina.
Soltanto
in pochissimi casi un uomo poteva essere raffigurato con la barba; per esempio
il lutto (che ci ha fruttato alcune rappresentazioni di defunti con il mento
picchiettato di nero) oppure una partenza per l'estero.
Al
contrario degli esseri umani, gli dei vengono invece vantati per la loro fluente
barba lunga e finemente intrecciata. Al momento della morte a personaggi
importanti come il faraone oppure a personaggi meno nobili veniva applicata al
mento una barba posticcia : queste appendici, un lusso del sovrannaturale,
avevano uno scopo puramente rituale.
Il
mercato era il luogo comune, il punto di raccolta per produttori, compratori e
venditori, dove si svolgevano generalmente tutte le attività commerciali. In
molti casi i commercianti egiziani entravano in contatto con i mercanti siriani
e fenici a cui vendevano le eccedenze dei loro prodotti e che non erano riusciti
a piazzare sul mercato interno.
La grande esportazione dipendeva senz'altro
dal tipo di governo regio che se ne serviva e molto spesso questa veniva
utilizzata soprattutto come strumento politico per mantenere aperti i contatti
con le popolazioni vicine: cereali agli Ittiti o agli Ateniesi, oro per l'Asia,
ecc. Ad ogni modo le frontiere egiziane si schiudevano appena per i mercanti
stranieri e tutto quello che entrava nel paese, dai mercanti ai prodotti, veniva
posto sotto un rigido controllo amministrativo. I frutteti, le cave, le miniere
del deserto erano comunque tutte monopolio del re.
Fin dai tempi più antichi sono sempre state
fatte spedizioni per mare o per terra allo scopo di raggiungere altri paesi
ricchi di prodotti e di cui l'Egitto scarseggiava. Nel Nuovo Regno questi
prodotti-chiave che mancavano all'Egitto ( come il legno del Libano oppure il
rame dell'Asia ) non vengono presi come bottino o reclamati come tributo ma
venivano negoziati da mandatari per conto del sovrano o dei templi che allora,
potevano disporre di una flotta mercantile in proprio.
All'interno del Paese la circolazione dei
beni dipendeva essenzialmente dal commercio. Sui mercati rurali si barattava
semplicemente : una collana per dei legumi, mentre per un acquisto un po' più
elevato bisognava utilizzare un'infinità di misure.
Venduto
ad Hay dalla guardia Nebsmen : un bue, corrispondente a 120 deben di rame.
Ricevuto in cambio due vasi di grassi equivalenti a 60 debem; cinque perizomi di
tessuto fine, cioè 25 debem, un vestito di lino meridionale cioè 20 debem, un
cuoio cioè 15 deben.
Questo caso, oltre a mostrarci come poteva essere complicato il computo della somma da pagare ci mostra anche come il metallo (rame, oro e argento) servisse da valore tipo per stima.
I
fabbricanti di mobilio nell'Antico Egitto era eccellenti artigiani se si
considera il fatto che data la scarsità del legname locale questo doveva essere
per la maggior parte importato.
Così, scarseggiando in Egitto le piante di alto fusto,
gli artigiani, utilizzando i tronchi degli alberi che avevano a disposizione
come l'acacia o il carrubo, inventarono abili incastri per unire più pezzi di
legno e ottenere così superfici più grandi. Non venivano utilizzati chiodi di
nessun genere ma piccoli pioli di legno. Incastri, buchi e imperfezioni venivano
poi abilmente stuccati e laccati per renderli invisibili. A volte gli incastri
erano così perfetti che non era nemmeno necessario utilizzare la colla. Gli
attrezzi dei falegnami erano alquanto semplici (gli strumenti di metalli erano
di rame di bronzo): con delle seghe a mano venivano segati i tronchi degli
alberi a disposizione, si usava l'ascia per abbozzare il legno ed un coltello
ricurvo per modellarlo. L'azza veniva utilizzata per piallare mentre una pietra
abrasiva aveva lo scopo di levigare e rendere lisce le superfici. C'erano
inoltre scalpelli, punteruoli e trapani.
Il trapano era ad archetto, un tipo molto comune ancora in uso in Egitto ed il
molti altri paesi del Mediterraneo. Questo strumento manuale di origine molto
antica con cui, attraverso un moto rotatorio, si possono praticare fori in vari
materiali come legno, pietra e metallo. Il tipo ad arco prende il nome dalla
corda testa alle estremità dell'asta a cui viene applicata la punta utilizzata
per la perforazione e destinata ad aumentare la velocità di rotazione
dell'utensile.
Di
tutti i gioielli che sono stati trovati non possiamo altro che approvare la
bravura dei gioiellieri egizi che con il passare dei secoli è diventata sempre
più raffinata e proverbiale. I famosi gioiellieri egiziani erano in grado di
passare con facilità dalla lavorazione dell'oro a quella delle pietre dure
creando magnifici oggetti grandi a volte pochi millimetri ma sempre
perfettamente proporzionati. I gioiellieri del Faraone erano uomini tenuti in
alto onore e, questi personaggi custodivano segreti che li avvicinavano alle
divinità. Il mestiere, ereditario, si tramandava di padre in figlio insieme ai
segreti della lavorazione dell'oro, rimaneva quindi un privilegio di famiglia la
facoltà di creare le immagini degli dei o di preparare stupendi gioielli reali.
Da tutto quello che ci è rimasto : dipinti, sculture, monili ritrovati nelle tombe delle varie epoche storiche, riusciamo a farci una chiara idea dell'evoluzione della gioielleria egiziana: la tipologia dei monili risulta numerosissima grazie alle mani esperte degli antichi orafi egiziani: materiali, fogge, disegni, decorazioni e lavorazioni sono tantissime e i moltissimi esempi di gioielli ritrovati ci mostrano l'abilità di questi antichi artigiani. L'altissimo livello tecnico raggiunto dagli orafi egizi portò questi artigiani ad eccellere nei lavori di fonderia e saldatura, battitura (si avevano foglie d'oro da 1/200° di mm.) e calco, ancora oggi sono insuperabili le antiche tecniche che andavano dall'incisione all'incrostazione, dalla doratura per stampaggio, alla cesellatura, pulitura e coloritura, senza dimenticare l'impiego della granulatura e della filigrana.
Come
quella dei gioiellieri, anche la categoria degli orafi era molto apprezzata in
Egitto soprattutto per le svariate opere pubbliche che necessitavano della loro
arte. Se i gioiellieri si occupavano esclusivamente nella creazione di
straordinari monili, l'opera degli orafi era indirizzata soprattutto alle
decorazioni delle porte dei templi, delle regge e degli innumerevoli tesori di
proprietà dei faraoni.
Nei loro laboratori il lavoro cominciava con una complessa tecnica di
lavorazione dei metalli pregiati che venivano selezionati, fusi in forni a cielo
aperto e colati dal crogiolo in stampi per lingotti di varie dimensioni. Questi
lingotti venivano poi lavorati per mezzo di incudine e martello e utilizzati per
i vari scopi.
La scienza medica in Egitto era conosciuta e
rispettata anche in altri paesi ed era praticata soprattutto da specialisti
generalmente appartenenti alla casta dei sacerdoti o addirittura degli scribi.
Nell'Antico Egitto esisteva un termine generico per indicare il medico: egli era
il "Sunu" e cioè "colui di quelli che soffrono". Il
geroglifico che rappresenta la professione, come si vede chi sotto, è composto
da una freccia e da un vaso. La freccia indica il fatto di andare al bersaglio,
ovvero di ottenere la precisione diagnostica (oppure lo strumento che serviva
per incidere le carni del malato), mentre il vaso contiene i giusti rimedi per
la guarigione.
Per la medicina egizia il
centro di tutto l'organismo era il cuore da cui partivano tutti i vasi
all'interno dei quali scorrevano i fluidi e gli umori necessari alla vita. In
Egitto alcune delle malattie grave conosciute erano la polmonite e la
tubercolosi e altre malattie parassitarie e l'artrosi.
Anche considerando il
termine generico che riconosceva il medico, vari documenti che sono stati
ritrovati ci informano che esistevano molte specializzazioni e anche Erodoto ci
informa di questo fatto :
La
medicina è ripartita in Egitto in questo modo : ogni medico cura una sola
malattia e non più malattie.
Così, in Egitto non esiste un medico
"generico" ma troviamo così l'oculista, il dentista, l'internista e
addirittura il "pastore dell'ano" (specializzato nell'introduzione per
via rettale dei diversi rimedi). Come per altre classi anche all'interno della
casta dei medici esisteva una precisa gerarchia nell'ambito di ogni
specializzazione. Esisteva quindi il medico, il grande medico, l'ispettore dei
medici, il direttore dei medici fino ad arrivare al decano dei medici. Nello
stesso modo esistevano dentisti, capi dentisti, direttori dentisti, ecc. Inoltre
esistevano le varie organizzazioni locali che andavano dai corpi medici delle
cave e delle miniere, a quelli dei villaggi operai o delle grandi proprietà
terriere fino ad arrivare ai medici legali.
Nonostante le varie associazioni minori, in Egitto, la
figura del medico non era assolutamente legata a strutture di tipo corporativo e
la sua condizione sociale variava a seconda dell'ambiente in cui operava. Se un
medico era a disposizione di una cava o di una città operaia, in moltissimi
casi, non godeva di nessun privilegio particolare e alcune volte era addirittura
socialmente al di sotto di ispettori oppure di capi operai.
Naturalmente se un medico operava all'interno del
palazzo reale o nei tempi, questo godeva dei privilegi adeguati al proprio rango
e visto che in Egitto era in uso il sistema di sommare le varie cariche, molte
volte un medico poteva anche essere un nobile oppure politicamente importante.
Come per molte altre professioni, anche quella del medico si tramandava di padre
in figlio. Ad ogni modo la preparazione era comunque completata
dall'apprendistato oppure dai corsi che si tenevano all'interno delle "Case
della Vita". Le varie conoscenze anatomiche era buone ma rimanevano
comunque limitate, questo perchè chi compiva l'opera di mummificazione non era
il medico ma operatori di un'altra casta, necessaria ma disprezzata e, siccome i
rapporti tra loro e il medico erano inesistenti le varie conoscenze anatomiche
erano molto scarse. In compenso oltre ad avere una buona conoscenza delle ossa,
dei muscoli e dei legamenti, si aggiungeva una discreta conoscenza degli organi
interni. Anche se il medico aveva una cognizione topografica esatta del corpo e
delle sue parti (testa, collo, tronco, addome e arti) mancava in tutto o in
parte la concezione di scheletro nella sua totalità anche se singolarmente le
ossa erano ben identificate e conosciute.
Ogni organo era conosciuto e considerato soltanto nella
sua globalità con poche distinzioni per le varie parti che lo compongono. Per
tutti possiamo citare il caso del cuore e del cervello, organi che nell'antica
medicina egizia erano ben noti : ma se il cervello era ignorato come organo le
sue funzioni ed il complesso delle attività nervose erano conosciute ma erano
attribuite al cuore, l'organo più importante del corpo umano e "principio
di tutte le membra".
Un'altra
professione di cui ci è rimasto qualcosa di veramente impressionante è quella
del muratore che, grazie all'utilizzo di vari materiali, poteva costruire
piccoli edifici oppure enormi palazzi e templi.
Di tutto quello che ci è rimasto e che oggi
possiamo ancora ammirare sono esclusivamente le costruzioni in pietra mentre gli
edifici minori che caratterizzavano i villaggi e le città sono praticamenti
scomparsi a causa del materiale poco resistente che veniva utilizzato. Per
questi edifici il muratore utilizzava semplicemente il limo del Nilo che,
mescolato a sabbia e paglia tritata, poteva produrre il comune materiale da
costruzione. Questo procedimento era molto lungo ed una volta che l'impasto era
pronto, questo veniva posto in uno stampo per diversi giorni dove il
"mattone" diventava solido ed infine poteva essere utilizzato per la
messa in opera.
Nonostante
la tecnica rudimentale ed il materiale scadente, ancora oggi, in alcune zone,
questo metodo ortodosso è ancora in uso e spesso si possono vedere questi
"mattonifici" a cielo aperto oppure vedere case fabbricate con il
sistema in voga secoli fa.
Generalmente
la produzione dei profumi avveniva in laboratori specializzati alle strette
dipendenze dei templi ed era il frutto di abili esperti del settore (per
esempio, ad Edfu, il suo tempio possiede ancora una di queste officine dove, dai
muri coperti dalle iscrizioni sono state trascritte le ricette di fabbrica dei
diversi prodotti odorosi). Raramente al di fuori di questo contesto venivano
aperti laboratori non dipendenti dalla casta sacerdotale. Estratti da varie erbe
o fiori, i profumi venivano messi a macerare i appositi contenitori e infine
mischiati con pregiati legni aromatici fatti arrivare dalla Siria o dall'Arabia.
L'olibano e il terebinto, che crescevano sulle rive del Mar Rosso, erano
particolarmenti apprezzati, soprattutto per usi rituali.
Gli
olii aromatici ed i profumi venivano conservati in fasetti di pasta vetrosa, di
origine fenicia, o in fasetti di importazione tipici dell'area egea. Egizio
invece era l'uso di custodirli in vasi di alabastro.
Nell'antico
Egitto la tessitura delle vesti era un'arte praticamente femminile e quindi ogni
famiglia egizia era in grado di provvedere al proprio fabbisogno personale.
Il
materiale più utilizzato era il lino che veniva a volte colorato con sostanze
vegetali o minerali disciolte nell'acqua. Durante il Neolitico, con la
produzione di stuoini per coprire i pavimenti delle capanne inzia in Medio
Oriente l'arte della tessitura: erbe di palude e canne venivano intrecciate a
mano senza l'aiuto di particolari attrezzature. Da questi inizi, attraverso un
continuo processo di raffinamento della tecnica, si arriva presto alla tessitura
delle fibre di lino e della lana delle pecore. Una volta scoperte le tecniche
necessarie per estrarre le fibre dal lino e dalla canapa, gli egiziani si
cimentaro nella produzione di stoffe sempre più fini e sempre più candide.
Durante il Neolitico venne inventato il telaio e da quel momento le tecniche di
filatura divennero sempre più efficienti. Basti pensare che in alcune tombe gli
archeologi hanno ritrovato delle stoffe fini come seta.
La
filatura e la tessitura erano considerate attività prettamente femminili anche
se in alcuni dipinti si possono vedere uomini al telaio. Ad ogni modo, già
durante l'Antico Regno queste attività venivano svolte dai servi e dagli
schiavi ed in alcuni casi anche dalle donne contadine che lavoravano per le
classi superiori.
L'industria
della tessitura in Egitto consisteva quasi interamente nella produzione di lini.
La coltura e la preparazione della pianta era quindi della massima importanza e
occupava gran parte del lavoro contadino, al pari di quanto accade oggi per il
cotone nei paesi produttori.
Come
il muratore, anche il vasaio adoperava il fango argilloso del Nilo per la
creazione dei suoi manufatti impastando l'argilla e collocandola poi su di un
piccolo tornio azionato manualmente. Dopo aver modellato il vaso, l'artigiano lo
inseriva nel forno per la cottura. A differenza del falegname il vasaio godeva
dell'enorme privilegio di possedere una grande abbondanza di materia prima.
Questa
forma di artigianato si sviluppo enormemente già fin dalla preistoria e da quel
tempo nulla è cambiato nelle tecniche di lavorazione e nella qualità tanto che
oggi è molto difficile datare un comune vaso di terracotta egizio. Per la sua
produzione il vasaio stava seduto per terra davanti ad una semplice ruota
imperniata in un basso piedistallo e la faceva girare spingendola con una mano
mentre con l'altra dava la forma alla creta. Come oggi la forma della fornace
del vasaio era cilindrica. I vasi appena creati venivano meticolosamente
accatastati all'interno del forno e sopra ad un supporto forato sotto il quale
si accedendeva poi il fuoco. I vasi venivano poi coperti da terra o da ceramiche
rotte in modo da ottenere così il tiraggio desiderato.
In
linea di massima la ceramica di uso comune è molto povera senza decorazioni
artistiche e ornamenti, al massimo si vedevano alcune semplici linee. Anche se
non esiste nessun paragone tra la ceramica egiziana e quella di altre civiltà,
l'Egitto ha il vanto di aver inventato la tecnica dell'invetratura, tecnica che
rende la ceramica assolutamente impermeabile e che permette di poterla decorare
con colori brillanti e permanenti.
Non ci è arrivata nessuna documentazione o antico disegno che ci possa mostrare questa tecnica ed anche il suo nome egiziano è stato ormai dimenticato. Il termine utilizzato oggi, "faience" proviene dalla città di Faenza famosa per la sua industria di ceramica durante il Rinascimento. Faience è appunto l'invetratura che ricopre i vasi di ceramica detta anche "majolica", dall'isola di Majorca in Spagna. Sia a Faenza che a Majorca la tecnica dell'invetratura giunse dal mondo arabo durante il Medioevo. I più antichi oggetti di faience sono le piastrelle che decorano le camere sotterranee di Saqqara, perline per le collane e piccoli vasi. Durante il Nuovo Regno si trovano anche piccoli amuleti, statuette e bambole.
La
tecnica per la produzione, conosciuta molto bene dagli egiziani, si sviluppò
come evoluzione di quella della faience. Per ottenere una pasta vetrosa simile
al nostro vetro i vetrai egiziani fondevano polvere di quarzo e cenere. Questo
tipo di vetro era opaco ma con l'aggiunta di ossidi metallici si potevano
ottenere delle meravigliose colorazioni.
Sembra
che la produzione del vetro si sviluppo al tempo degli Hyksos grazie
forse ai contatti con il Levante e la Mesopotamia dove questa tecnica pare sia
stata inventata. Le prima realizzazioni appartengono alla XVIII Dinastia,
all'epoca degli Amenofi, ed erano dei piccoli e graziosi contenitori di profumi
costituiti da fili di vetro colorato saldati poi assieme dalla cottura.
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