BOLSENA 

           

 

Nova Volsinii

 

Bolsena (Nova Volsinii) fu importante centro etrusco, il ritrovamento di tratti di un' imponente cinta muraria risalente a questo periodo che presumibilmente si sviluppava per un perimetro di circa cinque chilometri ha fatto ritenere che qui sorgesse l'antica e potente città etrusca di Velzna. Gli storiografi antichi inoltre indicano in Bolsena la sede del Fanum di Vultumna dio della nazione etrusca e luogo di riunione della confederazione dei 12 popoli, la lega sacra che riuniva le più importanti città dell'Etruria. Molti archeologi ed etruscologi odierni però mettono in discussione questa tesi identificando Velzna con la vicina Orvieto. La notevole estensione della città etrusca che sorgeva sulla rupe orvietana, la ricchezza delle sue necropoli e il numero considerevole di templi e luoghi di culto ritrovati inducono a ritenere che qui realmente sorgesse l'antica Velzna.

Bolsena o meglio Volsinii Novi (questo è il nome romano di Bolsena) fu dunque un centro etrusco dipendente da Velzna. Esso registrò un notevole sviluppo dopo l'invasione romana del territorio e la totale distruzione di Velzna avvenuta ad opera delle legioni romane nel 265 a.C.; Volsinii probabilmente accolse i suoi profughi. Nel periodo romano Volsinii si sviluppò enormemente grazie alla sua posizione lungo la consolare Cassia, alla bontà del clima, ad una fiorente agricoltura e ad un notevole sviluppo dell'artigianato (ceramica volsinense). Gli scavi condotti dalla scuola archeologica francese nell'area archeologica di Volsinii hanno messo in luce splendidi edifici, un ampio foro e un grande anfiteatro che insieme con il notevole sviluppo urbano attestano la floridezza della città. Gli scavi a Bolsena (Poggio Moscini) hanno scoperto pareti di lunghezza enormi da 4 chilometri, costruite di grandi blocchi geometrici del tufa vulcanico che circondano il gruppo di piccola eccedenza delle colline che la città è stata sviluppata.

  

Area Archeologica

 

La cinta muraria della città, in opus quadratum, si estendeva per oltre quattro chilometri cingendo un gruppo di quattro colli. I blocchi delle mura presentano, a volte, lettere etrusche o simboli incisi interpretabili come segni di cava o di posa. Sinora è stato possibile identificare solo due dei vari ingressi indicati dai tracciati stradali: uno nella parte bassa, in corrispondenza di una depressione naturale del terreno, e l'altro sul versante occidentale della città in relazione ad un ponte scavato nel tufo lungo il corso medio-basso del fosso della Cavallaccia.


 Planimetria generale della città

 

 

 

 

 

 

........Cinta muraria

___ Sistema viario

1 Mozzeta di Vietena (scavi R.Bloch)

2 Santuario del Pozzarello

3 Tempio di poggio Casetta

4 Casa di Laberio Gallo

5 Anfiteatro

6 Domus
(scavi Paparozzi)

7 Ponte scavato nel tufo

8 Foro e zone adiacenti (scavi scuola Francese)

9 Grande cisterna

10 Terme di L. Seio Strabone

11 Ponte Romano

12 Santuario del Poggetto

13 Necropoli poggio Pesce

14 Necropoli poggio Battaglini

15 Catacombe di S. Cristina

16 Nucleo abitativo di Ponte del Diavolo

17 Catacombe di Gratte

18 Stazione di posta

19 Area urbana loc. Pietre Lisce

20 Domus loc. Cappuccetto Rosso

 

 

 

La città romana è stata riportata alla luce dagli scavi francesi, ed è, in parte visitabile. L'ingresso dell'area archeologica è situato a cento metri circa dalla Rocca Monaldeschi della Cervara, che ospita il Museo Territoriale. Appena al di là dell'ingresso, sono visibili alcuni ambienti pertinenti alle terme. Proseguendo il percorso si giunge al foro di epoca flavia, delimitato da due strade parallele sui lati est e ovest, e da una basilica trasformata poi in chiesa cristiana. Oltrepassato il foro, girando a destra, si arriva di fronte a tre ambienti, riconosciuti come botteghe. Si raggiunge quindi una domus, con due vani ancora affrescati; di seguito si possono osservare i resti di una "domus con atrium", caratterizzata dalla presenza di un ninfeo e di pavimenti con mosaici.

 

Anfiteatro

 

In località Mercatello, lungo la via orvietana, ci sono i resti monumentali dell'anfiteatro romano. Monumento di grandissimo rilievo tra quanti sono giunti fino a noi della antica Volsinii, esso ha suscitato sempre vivo interesse tra gli studiosi che si sono occupati delle antichità volsiniesi negli ultimi due secoli; dagli studi del '700 del Pennazzi e dell'Adami, fino agli studi e alle misurazioni architettoniche delle rovine emergenti del Bloch e degli altri studiosi di Bolsena Fioravanti e Buchicchio.

Tra le indagini archeologiche ivi effettuate meritano una menzione gli scavi condotti dal Bianconi e pubblicati dal Gabrici nel 1906 che permisero di datare il monumento alla seconda metà del I secolo d.C., in età flavia che per Poggio Moscini segna un momento di grande sviluppo della città. Nel corso degli scavi del 1905 fu rinvenuta ed in parte esplorata una galleria (larga m 2,60 ed alta m 3 circa) in corrispondenza dell'asse maggiore dell'arena, con una botola nella volta che immetteva nella arena, aprendosi con un meccanismo di contrappesi. In tempi più recenti, una lunga campagna di scavo condotta dalla Soprintendenza Archeologica per l'Etruria Meridionale, dalla fine del 1988 all'inizio del 1990, ha riportato in luce circa un sedicesimo del monumento.

Partendo dall'ingresso nord, si è indagata la struttura fin nei suoi strati di fondazione. Di particolare interesse è stato così il rinvenimento al di sotto della sottofondazione romana di un'abitazione etrusca: si tratta di parte di un ambiente con muri costituiti da grossi ciottoli fluviali e scaglie di tufo, presso il quale è un vano sotterraneo cui si accede tramite un ripido corridoio con gradini ricavati nel banco di tufo e con soffitto costituito da grossi blocchi squadrati di tufo giallo, disposti alla cappuccina. L'ambiente a pianta quadrangolare con soffitto ad arco leggermente ribassato, in gran parte rovinato, dovette essere utilizzato come cantina o ambiente di servizio per la casa soprastante (la ceramica rinvenuta nel corso dello scavo sembra datare l'utilizzo all'età tardo etrusca).

Dell'anfiteatro è stato riportato alla luce l'ambulacro esterno, dove sono stati identificati gli alloggiamenti dei pilastri esterni con ancora visibili le impronte dei blocchi, nonché i pilastri interni, con rivestimento a cortina laterizia, con le scale, ancora in posto, che consentivano l'accesso ai piani della cavea. E' stato portato a compimento lo scavo dell'ingresso nord ovest e si è dato luogo allo scavo della cavea. Nei tratti dei corridoi scavati, nelle nicchie e nelle pareti finora rimesse in luce, si affacciano problemi di grande interesse; presentandosi rifacimenti, rattoppi, restauri antichi che potrebbero far pensare ad una risistemazione e ad un riutilizzo dell'edificio in età tarda.  L'anfiteatro doveva presentarsi all'esterno come un insieme di opera laterizia ad opera quadrata di blocchi di pietra vulcanica, sviluppandosi su almeno due livelli di arcate. Il grosso vano di accesso alla arena, da nord-ovest, doveva essere coperto da volta a botte e presentare sulle facciate, interna ed esterna, un poderoso arco, conci del sono stati raccolti presso il monumento.

A seguito della sistematica opera di spoliazione del monumento avvenuta nel corso dei secoli, il monumento è andato sempre più distruggendosi abbandonato alla forza degli agenti atmosferici, là dove l'uomo aveva ormai cessato di intervenire. La cavea è così crollata sulle sottostanti gallerie che sotto il cumulo delle macerie hanno conservato le pareti. Delle due gallerie praticabili al pubblico, la maggiore presenta la parete interna modulata da nicchioni e da absidi.

 

Foro e Basilica

 

Il foro e la basilica di Poggio Moscini costituiscono un notevole esempio di pianificazione urbanistica impiantata in un settore della città bassa che originariamente non era destinato ad uso pubblico. In epoca repubblicana, il foro era situato ad un livello decisamente più alto, probabilmente sulla terrazza del Mercatello, dove la fotografia aerea sembra rivelare tracce di un Capitolium. L' installazione del complesso edilizio su di una piattaforma situata in prossimità del limite Sud-Ovest della città, alla quota di livello 363, risale alla fine del terzo quarto del I secolo d.C. Il foro è delimitato ad Est e ad Ovest da vie parallele, mentre al suo margine meridionale, verso il lago, s'innalzava una basilica che occupava tutta la larghezza della piazza. Il margine settentrionale di quest'ultima non è stato scavato ma l'estensione esatta del foro in questa direzione può essere restituita in quanto ci è perfettamente nota la situazione della strada che lo delimitava a Nord. In origine quest'area era interamente lastricata, e occupava una superficie di circa 4450 mq.; lo spiazzo, considerato nel suo insieme, presentava proporzioni notevoli. Se vi si include in effetti la basilica e le vie limitrofe a Nord, Est ed Ovest, che nessun portico separava d'altronde dalla piazza stessa, si ottengono le seguenti misure: m. 71,20 x 105,60, che corrispondono a 2 actus di larghezza per 3 di lunghezza.

Questo rapporto, se espresso in piedi romani, è di 240/360 e si avvicina a quello che Vitruvio raccomanda nel suo trattato, sulla base probabilmente delle norme adottate per le fondazioni municipali posteriori alla Guerra Sociale. Le strade limitrofe furono parzialmente invase da edifici annessi alla piazza stessa; fori per pali e tracce di anelli metallici ritrovati alla periferia dell'area lastricata del foro suggeriscono che una specie di velum poteva essere approntato al fine di riparare i passanti dal sole, sopperendo all' assenza di portici in questa vasta area pubblica. Quest' aspetto di piazza chiusa, riservata essenzialmente a funzioni amministrative e giudiziarie basterebbe a designare il foro di Poggio Moscini come creazione relativamente tardiva; dei saggi di scavo hanno permesso di situare la sua installazione attorno agli anni 70-80 d.C.

A questa data risale anche la basilica, ampio quadrilatero di m. 25,70 x 57, diviso in una navata centrale e due laterali da un Colonnato interno che forma rettangolo concentrico a quello dei muri esterni. Provvista di un ordine decorativo in facciata, di cui un capitello ionico intatto è stato ritrovato, questa basilica si apriva sul foro con tre scalinate porticate di cui rimane solo la struttura interna in opera a sacco. La posizione di quest' edificio rispetto alla piazza lo pone nella serie delle grandi basiliche provinciali dell'inizio dell'Impero. Alla sua funzione, come sala destinata ad accogliere il tribunale ma anche alcuni commercianti, e a riparare i passanti in caso di intemperie, si aggiungeva l'aspetto monumentale, poiché serviva da quinta all'insieme della terrazza del foro. Questo complesso foro-basilica di epoca flavia, è caratterizzato da una curiosa mescolanza di grandiosità planimetrica (lo spazio così occupato è molto più vasto di quello dei fori di Luni, Cosa o Rusellae), e di povertà strutturale (ad esempio, assenza di portici periferici). Sembra rivelare l'ostentazione di un promotore aristocratico, appartenente probabilmente ad una delle grandi famiglie regionali giunte, nel corso del I° secolo, alle più alte dignità della carriera equestre o senatoriale. Nel corso del IV secolo, la basilica civile fu trasformata in una basilica cristiana come attesta l'abside che, sull'asse della navata centrale, invade la strada adiacente. Il nuovo edificio riutilizzò solo una parte dello spazio occupato dal precedente; il limite ne è indicato da tombe tardive che occupano vaste aree nelle navate laterali della costruzione primitiva.

  

Tempio dionisiaco

 

Due sale sotterranee sono situate sotto l'atrio della domusII e sotto il suo impluvium; sono state scavate nel tufo alla fine del III secolo a.C., anteriormente alla domus II. La sala inferiore romboidale è una cisterna dal suolo rivestito da un intonaco a tenuta stagna in opus signinum. Un'altra sala sotterranea, situata ad un livello superiore, è collegata alla superficie con un lungo corridoio in pendio (dromos) orientato NE-SO. Questa sala ha pianta quadrata di m. 4,60 di lato e pareti alte m. 2,50. Nel soffitto, un'apertura dal bordo modanato a quarto di cerchio dipinto in rosso, è sormontata da un'alta volta troncoconica, alta m. 2,90, che apriva in origine al livello del suolo con un oculus, di m. 1,20 di diametro, parzialmente otturato poi dall'impluvium della domus. Le due sale erano collegate da una rete intricata di corridoi sotterranei tra cui una lunga galleria di drenaggio anteriore all'urbanizzazione della zona. In superficie, lo stesso insieme comprendeva una grande vasca a forma di L e dei muri di pietra a secco. Nel settore NE zona del futuro peristilio della domus II sono stati ritrovate altre vestigia di muri e di strutture in pietra a secco. Uno strato d'incendio, conservato in modo disuguale, si stende sull'insieme del settore. In questo strato, datato dalla ceramica campana al primo quarto del II secolo a.C., furono ritrovati due frammenti appartenenti al trono.

L'incendio dell'inizio del II secolo e la distruzione contemporanea all'incendio, di un trono a soggetto bacchico, sono stati attribuiti all'applicazione del senato consulto sui riti bacchici (186 a.C.). Bolsena dovette così essere luogo di un culto di Bacco nei modi che furono condannati dallo stato romano. La sala sotterranea quadrata serviva in effetti verosimilmente alle cerimonie segrete del tiaso (associazione dei fedeli di Bacco). La sua pianta e le sue proporzioni sembrano in ogni caso in relazione con la pianta e le proporzioni del trono. Inoltre la maggior parte dei frammenti di quest'ultimo furono ritrovati in prossimità dell'uscita del dromos della sala sotterranea. Dopo la distruzione dell'insieme cultuale l'area non fu più sede di un luogo di culto ma il ricordo dovette in qualche maniera perpetuarsi. In effetti, al momento della costruzione del peristilio della domus, furono preservati e inglobati nelle sue fondazioni i frammenti del trono e delle terrecotte architettoniche pertinenti all'assetto primitivo della zona.

 

Terme

 

Procedendo nella visita nell'area di Poggio Moscini, si incontrano da sud e da est, disposti a terrazze in lieve pendio: i resti del complesso termale di Seio Strabone che un'iscrizione qui rinvenuta afferma essere state costruite al posto di un edificio privato ed offerte al pubblico beneficio del prefetto d'Egitto, Seio Strabone, dalla madre Terenzia e dalla moglie Cosconia Gallitta. Coperte in parte dalla strada orvietana a sud, le terme si sviluppano verso nord su almeno due livelli, con un caldarium costituito da una grossa aula rettangolare (m 13 x 8). Il rivestimento è a cortina in opera laterizia (opus testaceum) ed in opera reticolata (opus reticulatum); in opera incerta (opus incertum) è la cortina della muratura del criptoportico, che risulta cronologicamente così anteriore alle terme, probabilmente connesso con l'abitazione preesistente all'impianto. Di particolare interesse sono gli ambienti di servizio con la caldaia ed il praefurnium.

 

 

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