CAERE

 

La Storia

            Il geografo greco Strabone (Geografia, 5,2-3 e 8) attribuiva la nascita di Cere (Cisra per gli Etruschi, Agylla per i Greci, Caere per i Romani), ai mitici Pelasgi, i quali avrebbero fondato altre città su suolo italico proprio lungo la fascia costiera etrusca e nell'immediato entroterra tirrenico. Il nome etrusco originario della città era Kaiseri- (neoetr. Caisri-, Ceisri-), trascritto anche sulla lamina aurea in punico di Pyrgi come K(a)ft(e)rj; in latino avvenne il passaggio Kaiseri> Cairere> Caere (indeclinabile), da cui l'attuale denominazione di Cere o Cerveteri (Caere yetus). Le fonti greche (già Erodoto) designavano Cere col nome di Agulla (in lat. trascritto Agylla), che ritenevano la denominazione primitiva, "pelasgica". Strabone (Geografia, 5, 3) esplicita: «prima infatti Cere era chiamata "Agylla" e si dice fosse fondazione dei Pelasgi venuti dalla Tessaglia; quando i Lidi, che poi furono chiamati Tirreni, attaccarono gli Agillei, si dice che un tale, giunto alle mura, chiedesse il nome della città. Una delle sentinelle tessale, invece di rispondere alla domanda lo salutò chairef e, avendo accolto ciò come presagio, i Tirreni cambiarono così il nome della città conquistata». Questa breve leggenda cercava ingenuamente di dar conto dal latino Caere. Esiste anche un gentilizio etrusco, Che(i)ritna, che sembra formato sull'etnico latino Caerit- 'abitante di Cere'; in questo caso l'etrusco Che(i)ri- riprodurrebbe la fonna latina con una Ch- aspirata iniziale, derivante forse da una grecizzazione del nome sulla base della leggendaria associazione con gr. chaire. È da reputare altamente verosimile che il cognomen "Caesar" sia stato tratto dal nome etrusco di Cere.

 

 La città sorgeva su un pianoro tufaceo di natura erosiva a circa sei chilometri dal litorale marino, laddove confluiscono i corsi d'acqua del Manganello e della Mola. Nei periodi di apogeo, la città crebbe a tal punto in floridezza culturale e potenza che il suo territorio stesso era notevolmente esteso, conside rando che gravitavano su Cere una serie di centri minori distribuiti lungo la fascia costiera i quali oltrepassavano il confine settentrionale di Civitavecchia: esso difatti si estendeva dalla foce del Mignone (l'antico Minio) sino a quella dell'Arrone, lambendo verso l'interno da un lato la valle tiberina, sul versante meridionale, dall'altro il lago di Bracciano su quello settentrionale, ivi compresi i Monti della Tolfa con i ricchi giacimenti metalliferi.

Fu l'unica città etrusca a possedere un thesauròs (piccolo sacello) nel santuario greco a Delfi dedicato ad Apollo, a ratificare la sua potenza e lo stretto legame con il mondo ellenico che la città istituì, abbondantemente testimoniato dalle numerosissime importazioni greche di materiali e suppellettili ceramiche. Virgilio fornisce velati riferimenti al periodo regio di Cere, proiettando la figura di un feroce re Mezenzio addirittura fino ai tempi del presunto arrivo di Enea (inizio del XII secolo a.C.). In effetti le notizie semi leggendarie dell' Eneide sulla rivolta dei Ceriti contro il crudele Mezenzio, che fu deposto e costretto all'esilio, potrebbero celare un nucleo di verità (anche se la cronologia degli avvenimenti andrebbe drasticamente abbassata, forse al VII secolo a.C.), dato che recentemente su un vaso ceretano del 700-650 a.C. si è riusciti a leggere l'epigrafe mi laucies mezenties 'io (sono) di Laucie Mezenties'. Ciò dimostra, come minimo, l'esistenza di una importante gens Mezenties (lat. Mezentius) a Cere in pieno VII secolo a.C. Dalle lamine di Pyrgi sappiamo che verso il 500 a.C. Cere era retta daThefarie Velianas, che, nonostante sia titolato 're di Cere' nella traduzione fenicia, doveva probabilmente ricoprire una magistratura suprema più simile a una dittatura, che a una monarchia. Lo stesso riferimento nel testo etrusco, zilac- se- leita-, è per varie ragioni plausibilmente avvicinabile al praetor maximus romano dei primi decenni della repubblica. A Roma il rapporto tra praetor maximus e praetor minor (in seguito la praetura maxima fu raddoppiata e i titolari furono chiamati consules, mentre il praetor minor fu detto semplicemente praetor) era direttamente proporzionale a quello intercorrente tra le cariche militari del dictator e del magister equitum. Dunque sembra che il magistrato supremo municipale di Cere dell'età romana (i dati ci provengono dall'epigrafia), nella sua unicità e nella sua titolatura (dictator, appunto), possa aver in qualche misura riprodotto l'antico ordinamento istituzionale repubblicano etrusco.

D'altronde sappiamo che il periodo repubblicano a Cere fu interrotto almeno dal "regno" di Orgolnius Velthurne[nsis], che fu cacciato dall'intervento di Aulo Spurinna, zilath di Tarquinia e probabile comandante dell' esercito tarquiniese durante la guerra con Roma del 358-351 a.C. Si può arguire che dal re Orgolnio (etr. Urxlnie o simili) di Cere sia discesa la nobile famiglia etrusca cui appartenne quell'Urgulania, che Tacito ricorda come legata da strettissima amicizia con Livia Augusta. Plautia Urgulanilla, una nipote di Urgulania, fu terza moglie dell'imperatore "etruscologo" Claudio. La grandezza di Cere trova peraltro ampio riscontro negli scritti degli antichi storici, dal momento che essa viene più volte nominata in merito alle vicende che fra il periodo arcaico e la romanizzazione interessarono lo scenario storico, politico e culturale del Mediterraneo. Si può a tal proposito ricordare che nel 540 a.C. gli Etruschi di Cere alleati dei Cartaginesi sconfissero i Greci di Focea nella battaglia di Alalia (Aleria, Corsica), ad essi sostituendosi nell' occupazione commerciale della Corsica. Le fonti non mancano di accennare alla metropoli tirrenica anche nella più tarda fase della conquista romana, quando Cere, a differenza delle altre città etrusche, sembrò a tratta palesare un atteggiamento più consenziente nei confronti della nuova potenza. Neppure la guerra fra Roma e Veio, conclusasi nel 396 a.C. con la sconfitta di quest'ultima non parve nell'immediato guastare i rapporti amichevoli che intercorrevano tra Cere e Roma, tanto che, quando nel 390 a.C. irruppero i Galli, i Romani scelsero di riparare le loro sacre reliquie proprio nella metropoli etrusca. In quell'occasione le fu conferita la civitas sine suffragio, ossia la cittadinanza romana senza diritto di voto. Ma un nuovo episodio era in procinto di minacciare la potenza cerite: nel 384 a.C. Dionigi di Siracusa guidò una incursione devastante ai danni dei porti della città, perpetrando il saccheggio nel santuario di Pyrgi. Nel 352 a.C., tuttavia, i rapporti con Roma subirono una incrinatura, in seguito del favore accordato dai Ceriti a Tarquiniesi e Falisci nella guerra contro Roma. In nome delle antiche alleanze lo scontro fu scongiurato e la potenza egemone accettò di garantire una tregua di cent'anni, secondo quanto raccontano gli storici Tito Livio e Dione Cassio, forse in cambio di una porzione cospicua del suo vasto territorio.

Nel 273, infatti, Roma si arrogò il diritto di fondare a scopo strategico una serie di colonie sul litorale ceretano (Pyrgi dopo il 264 a.C., Castrum Novum, nel 264 a.C. ed Alsium nel 247 a.C.). Assorbita nell'orbita romana, con la creazione della colonia nel 264 a.C. Cere perse ogni velleità di autonomia. Cere possedeva tre porti sul mar Tirreno: Pyrgi (Santa Severa), Alsium (Palo: poche tombe etrusche ne indiziano il minor portato insediamentale rispetto a Pyrgi) e Punicum (Santa Marinella).

   

 

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