ROMA

 

Roma etrusca

Le relazioni fra Roma e gli Etruschi si situano in un orizzonte di alta antichità e sono trasparentemente conservate e tradite dalle fonti storiografiche, le quali condensarono nelle vicende legate alla dinastia dei Tarquinii, all'interno della sequenza dei sette re di Roma, una serie di eventi storici che incisero in termini profondamente significativi sulle sorti e gli sviluppi della città, intesa anche nelle sue forme politico-istituzionali, prima della sua conversione dalla fase monarchica a quella repubblicana. Le testimonianze congiunte dell'annalistica romana, da un canto, e della documentazione archeologica ed epigrafica, dall'altro, non di rado hanno permesso di ricreare un quadro unitario, che per la definizione della presenza etrusca a Roma poggia su una serie di interessanti convergenze: per la prima età del Ferro, ad esempio, le ricerche archeologiche hanno provato che gli influssi della cultura tardo-villanoviana in Lazio furono indubitabilmente notevoli e trovano un riflesso anche nel- la tradizione letteraria, la quale preserva una sbiadita memoria perfino di relazioni intessute dal re di Alba Longa Amulio

(797- 753 a.C., secondo la Cronaca di Gerolamo) con un probabile re di Veio il cui nome può ricostruirsi come Vel, Vipe, Vel Vipie o simili (la fonte è un brano di Pesto piuttosto corrotto).

 

Anche le testimonianze offerte dalle iscrizioni rappresentano un ausilio prezioso che ci illumina circa i rapporti di ospitalità e rango sociale intercorsi: dall'area sacra di Sant'Omobono proviene infatti una tesserina ospitale in avorio a sagoma di leone che reca il nome etrusco di Araz Silqetenas (non è escluso che si potesse trattare di un cittadino romano, forse dell'entourage dei Tarquini: in latino sarebbe Arruns Silgetenna, Silquetenna o simili), qualificato come ospite degli Spurianas, noto e importante gruppo gentilizio tarquiniese. Tale tesserina (databile agli ultimi decenni del VI secolo a.C.) doveva unirsi con un'altra simile.

Un vicus Tuscus, che come eloquentemente indica il nome alludeva alla presenza di una zona "etrusca" nel corpo urbano di Roma, esisteva del resto sul lato sud-occidentale della piazza del futuro Foro, tra il Campidoglio e il Palatino, a poca distanza dall'area sacra di Sant'Omobono.

 

Egualmente iscrizioni in lingua etrusca rinvenute nei depositi votivi del Foro Boario e ai piedi del Campidoglio provano che durante il VI secolo a.C. individui di lingua e cultura etrusca vivevano a Roma, partecipando anche dei suoi culti. E, ancora, l'elenco di prove addotte potrebbe farsi più nutrito ricordando che dopo la prima età regia (con i primi quattro re Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marcio che la tradizione situa fra il 753, data della mitica fondazione di Roma, e il 616 a.C.) fece seguito la cosiddetta seconda età regia, ossia il periodo in cui regnarono, fra il 616 e il 509 a.C. Tarquinio Prisco (616-578 a.C.), Servio Tullio (578-534 a.C.) e Tarquinio il Superbo (534-506 a.C.): è questo il momento della monarchia etrusca. Del resto lo stesso re Servio Tullio è menzionato secoli dopo dall'imperatore Claudio, in un discorso al senato, con il suo soprannome, cioè cognomen nel senso originario, Mastarna (etr. Macstrna<*Macistrena) e come fedele compagno del condottiero vulcente Celio Vibenna (Caile Vipinas). Quest'ultimo è effigiato col fratello Aule e con Mastama nelle pitture della tomba Francois di Vulci, che raffigurano scene di una saga (ignorata dagli annalisti di Roma) in cui era coinvolto, come avversario dei Vibenna, anche un Cneve Tarchunies (Gneo Tarquinio), della famiglia reale romana. A Servio viene attribuita anche la costruzione della prima cinta muranea urbica con il suo limite inviolabile sul piano sacrale e giuridico, il pomerium (Livio, Storia di Roma, 144, 4-5). Egli fu inoltre promotore della nascita del santuario federale di Diana sull' Aventino, che si affiancava al Lucus Feroniae, il sacro luogo delle riunioni della Lega Latina. Fu ancora proprio Servio Tullio, secondo la tradizione, a suddividere in quattro parti la città: Suburana (che comprendeva il Celio), Esquilina (che comprendeva l'Oppio, il Cispio, e il Fagutal), Collina (che comprendeva il Viminale e il Quirinale) e Palatina (che comprendeva il Palatium, il Cermalus e la Velia); rimasero esclusi Aventino e Campidoglio, la cui sorte fu soprattutto legata al periodo imperiale. Le quattro Regioni coprivano una estensione cittadina di quasi trecento ettari, parte dei quali non ancora stabilmente abitati, con una popolazione stimabile approssimativamente tra i quaranta e gli ottantamila abitanti. A Servio e ai Tarquini la tradizione attribuisce una grande stagione edilizia con serie di interventi urbanistici di notevole respiro, tra i quali figurano la bonifica della Valle del Foro e il convoglio delle acque malsane nella Cloaca Maxima, una serie di complessi santuariali dei quali il più celebre è quello di Fortuna e Mater Matuta nel Foro Boario, nell'area prossima al fiume Tevere e all'Isola Tiberina, quello di Diana sull’Aventino nonché quello celeberrimo di Giove Capitolino, dedicato alla triade capitolina di Giove, Giunone e Minerva. Laddove Anco Marcio aveva provveduto a compiere opere di bonifica, nella zona in cui sarebbe poi sorto il Foro Romano, Tarquinio Prisco fece realizzare la Cloaca Maxima, che dal quartiere della Subura attraverso il Foro portava con se le acque da smaltire: lo ricorda Plinio (Storia Naturale, 36, 104), che attribuisce il merito di questa iniziativa a un Tarquinio (Prisco o il Superbo; la tradizione è sovente incline a confondere le opere realizzate dai due Tarquini). In realtà è più verisimile che la costruzione di un vero e proprio collettore per le acque dai caratteri ingegneristici sia da ricondurre all'epoca Repubblicana, mentre in precedenza potrebbe essere esistito un canale a cielo aperto o coperto da una semplice volta. Tarquinio Prisco, che la tradizione voleva figlio del nobile esule greco Demarato e consorte dell'altrettanto ben nata Tanaquilla (etr. Thanachvil), originaria di Tarquinia, fu chiamato a Roma dallo stesso Anco Marcio che ne fece il suo successore al potere regale nel 617 a.C. A lui lo storico romano Livio (Storia di Roma, 1,38,3) attribuisce anche il primo trionfo ottenuto sui Sabini sconfitti.

Durante il suo regno, come rammenta Livio (Storia di Roma 1,36, 1; 38,6; 44,3), venne eretta la cinta muraria, il cui completamento avvenne sotto Servio Tullio. La residenza di Tarquinio Prisco, secondo le fonti storiche antiche, sorgeva tra la Sacra Via e la Nova Via: i resti della residenza regale sono forse da riconoscersi nei blocchi di cappellaccio relativi a un sacello, con relativi resti di offerte (le fonti parlano dei culti relativi a Orbona e ai Lari), venuti in luce sul lato occidentale.

         Al nome di Servio Tullio si lega invece la ristrutturazione dell'area del Foro Boario, già zona di mercato nato in relazione a un'area fluviale, che fu prescelta in epoca regia per realizzarvi una serie di opere altamente rappresentative della monarchia sul piano ideologico, religioso e politico. Originariamente adibita a zona di commercio, il Foro Boario ebbe probabilmente già a partire dal periodo arcaico anche una funzione di scalo portuale.

Numerose sono le terrecotte architettoniche arcaiche della Regia, un edificio sorto tra il Palatino e la Valle del Foro già dalla fine del VII secolo a.C. e composto da tre ambienti affacciati su un cortile a cielo aperto, secondo Solino (Miscellanea delle cose notevoli, I, 21- 6) dimora dei re di Roma e poi luogo di rappresentanza e di culto. Successivamente esso assumerà una pianta trapezoidale destinata a sopravvivere lungo il periodo Repubblicano.

Fu Tarquinio il Superbo a dare compiutezza alla costruzione del grandioso tempio di Giove Capitolino iniziata da Tarquinio Prisco, poi inaugurato l'anno successivo alla sua cacciata da Roma (509 a.C.).

 

Nelle tre celle dell'imponente monumento, che svettava su un basamento di circa cinquanta per sessanta metri di lato, trovavano posto le tre divinità, ossia la triade, sotto la cui protezione si ponevano le sorti della città: Giove, Giunone e Minerva. Di esso si sono ritrovate varie antefisse, figure frammentarie e lastre a rilievo con fregi raffiguranti tiri di cavalli. Queste terrecotte architettoniche mostrano forti analogie con Veio e, a tal proposito, non si deve dimenticare che l'immagine cultuale del dio e l'acroterio, che rappresentava una quadriga, erano attribuiti al coroplasta veiente Vulca (etr. Velxas). Ai primi anni della Repubblica, fra il 508 e il 507 a.C., si colloca il primo trattato fra Roma e Cartagine, del quale conserva memoria lo storico Polibio riferendolo a un periodo in cui anche il magistrato supremo della vicina Cere, Thefarie Velianas, faceva incidere ed esporre nel santuario di Pyrgi delle epigrafi dedicatorie in duplice versione, etrusca e cartaginese.  

 

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