Situata all'angolo tra via del Teatro di Marcello e il Vico Iugario, è visibile un'area di scavi che prende il nome di Area Sacra di San Omobono dal nome della chiesa che i è sopra. Durante gli scavi sono stati rimessi in luce i resti del santuario di Fortuna e Mater Matuta fondato da Servio Tullio.
Per volontà
di Servio Tullio vi sorse un importante santuario emporico dedicato alle dee
Fortuna e Mater Matuta, divinità di antichissima origine protettrice
delle nascite e della luce. La questione della dea Fortuna appare intimamente
connessa alla figura di Servio Tullio, il quale ne fece la propria divinità
tutelare ponendo sotto i suoi auspici il proprio operato, tanto che le fonti
attribuiscono alla sua figura la fondazione di numerosi santuari sui colli di
Roma dedicati alla dea.
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La
storia della scoperta del santuario di Fortuna e Mater Matuta, ubicato
sotto la chiesa di Sant'Omobono, risale agli anni Trenta: da allora le
indagini e i sondaggi eseguiti hanno permesso di ricostruire il quadro
delle sequenze edilizie avvicendatesi in guesta zona prima dell'età
Repubblicana; ne è emerso che in un primo tempo doveva sorgervi un
tempio etrusco di tipo "tuscanico", inteso secondo la
definizione di Varrone, provvisto sul lato posteriore di tre celle o di
una cella inquadrata da due spazi laterali definiti da muri (alae). |
Tale
edificio conobbe almeno due fasi edilizie e fu decorato con un programma
architettonico di lastre fittili. La prima costruzione del tempio sarebbe da
porsi intorno al 580 a.C., come peraltro indicano anche le fonti storiche. Uno
solo è infatti l'edificio sinora documentato e si ritiene che esso fosse quello
titolato a Mater Matuta. La continuità del doppio culto appare
confermata anche in età Repubblicana con la presenza di due edifici affiancati
intervallati da uno spazio lasciato vuoto. Circa un cinquantennio dopo la
costruzione dell'edificio si provvide a rinnovare la decorazione architettonica,
nell'ambito della quale trovò posto uno splendido gruppo scultoreo in
terracotta che rappresentava Ercole e Minerva, con l'eroe effigiato nel momento
in cui viene introdotto dalla dea nell'Olimpo.
Alcuni studiosi ritengono invece trattarsi non di un gruppo acroteriale, da porsi cioè sul culmine del tetto, bensì di un donario. Lo stile mostra chiari riferimenti al mondo greco-orientale. La costruzione del secondo santuario, che le fonti porrebbero in concomitanza con la caduta di Veio, avvenne forse su un grande riporto di terreno che obliterò la distruzione del primo tempio.
Diversamente è stato anche ipotizzato che unica fu la fase di costruzione, intorno al 530 a.C. Certo è che l'area sacra ebbe a subire, a partire dalla metà del VII secolo sino alla metà del V, una serie di pavimentazioni e ripavimentazioni, mentre la costruzione del tempio munito di scalinata che consentiva l'ascesa del podio sul quale l'edificio, secondo il modello tuscanico era impostato, sarebbe da porsi nella seconda metà del VI secolo a.C. Ai decenni intorno al 530 a.C. o poco dopo dovrebbero riferirsi alcuni interventi di ristrutturazione, mentre alla prima metà del V secolo potrebbe ascriversi la distruzione della sacra struttura. In generale non è forse un caso che Roma proprio nel VI secolo a.C. presenti questi forti tratti etruschi sul piano politico e culturale ed è a tal proposito molto significativa la coincidenza fra la data convenzionalmente assegnata all'inizio dell'arte arcaica in Etruria (580 a.C. circa) e l'esordio della regalità di Servio Tullio.
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