Per parlare della storia e della cultura della città di Tarquinia impiegheremo diverse pagine in quanto si tratta di una città fondamentale per la costruzione delle società etrusca e romana: è da questo centro che ha origine la famiglia reale romana dei Tarquini ed è in questa città che nasce il mito etrusco di Tagete e Tarconte, fondatore della decadopoli dell’Etruria Meridionale.
(Cicerone, de divinatione, II, 23) ...Dicono che nell'agro Tarquiniese, mentre si lavorava la terra e un solco era impresso più profondamente, saltò fuori all'improvviso un certo Tages, e parlò a colui che arava. Questo Tages poi, come è (scritto) nei libri degli Etruschi, si dice si fosse manifestato d'aspetto fanciullesco, ma di saggezza da vecchio. Mentre il bifolco si sbalordì alla sua vista e mandò un forte grido di meraviglia, si fece un tumulto, e in breve tempo tutta l'Etruria si radunò in quel luogo,. allora egli parlò motto dinanzi a molti uditori, affinchè imparassero e affidassero alla scrittura tutte le sue parole; tutto poi il suo discorso fu quello, nel quale era contenuto l'insegnamento dell'aruspicina;... .
Oltre queste notizie leggendarie, le uniche altre informazioni che le fonti classiche ci hanno tramandato sulla storia di Tarquinia si riferiscono, come si è detto, ai rapporti che la città etrusca ebbe con Roma e si concentrano fondamentalmente su tre momenti:
- origine della dinastia etrusca dei Tarquinii a Roma, alla fine del VII sec. a.C.
- contese tra le due città in occasione della guerra tra Veio e Roma, agli inizi del IV sec. a.C.
- scontro finale tra Tarquinia e Roma, a partire dal 358 a.C.
Cicerone,
Livio, Dionigi di Alicarnasso, Strabone e Plinio riferiscono sull'episodio che
collega Tarquinia all'origine della dinastia etrusca che regnò a Roma tra la
fine del VII ed il VI sec. a.C: la dinastia dei Tarquinii. L'episodio è
quello legato alla vicenda di Demarato, un nobile di Corinto, costretto per
ragioni politiche a rifugiarsi a Tarquinia.
(Cicerone, de republica, II, XI. 34) ...Dicono infatti che vi fosse stato un certo Demarato Corinzio, senza dubbio primo della propria città per la stima, per l'autorità e per le ricchezze. Egli, poiche non poteva sopportare Cipselo, il tiranno dei Corinzi, fuggì, come dicono, e si recò a Tarquinia, la città più ricca dell'Etruria. E quando sentì che la signoria di Cipselo si era affermata, divenne fuoruscito della patria egli, uomo libero e valoroso, e fu riconosciuto cittadino dai Tarquiniesi,. e in quella città stabilì il proprio domicilio. Ivi avendo generato da una matrona Tarquiniese due figli, insegnò a loro tutte le arti e la disciplina dei Greci... .
Sposatosi dunque con una donna
etrusca Demarato vi generò due figli, il più piccolo dei quali, Lucomone, si
stabilì a Roma e qui divenne re assumendo il nome di Lucio Tarquinio. Dopo la
cacciata dei Tarquini da Roma, alla fine del VI sec. a.C., Tarquinia viene
coinvolta nelle contese tra Etruschi e Romani che culminano, agli inizi del IV
sec., con la caduta di Veio, avvenimenti narrati soprattutto da Tito Livio. Dopo
di ciò le fonti classiche non parlano più di scontri tra Roma e Tarquinia fino
alla guerra decisiva tra le due città iniziata nel 358 a.C. (Livio e Diodoro) e
articolata in due episodi (358/351 e 312/308 a.C.), seguiti entrambi da una
tregua di 40 anni. La contesa è contraddistinta da fatti drammatici come il
massacro dei 307 prigionieri di guerra romani nel foro di Tarquinia, seguito per
rappresaglia dal sacrificio di 358 prigionieri tarquiniesi giustiziati nel foro
Romano. Dopo tali vicende, la tradizione letteraria tace sulle sorti della città
e la sua storia non è più distinguibile da quella degli altri centri etruschi.
Sappiamo però che nel 181 a.C. Roma doveva aver già confiscato tutta la fascia
costiera del territorio Tarquiniese se vi pote dedurre la colonia marittima di
Gravisca. Nel 90 a.C. infine i Tarquiniesi, come gli altri popoli etruschi,
persa l'autonomia politica, ottengono il diritto di cittadinanza romana e la
città diviene un municipio retto da un collegio di quattro magistrati (quattuorviri).
Tra la fine dell'età del bronzo e gli inizi dell' età del ferro, come in gran parte dell'Etruria meridionale tirrenica, anche a Tarquinia i numerosi villaggi sorti nel territorio in epoca precedente vengono abbandonati e la popolazione si concentra su quella che sarà la sede della futura città storica già frequentata comunque fin da epoca protovillanoviana. La tendenza a concentrare la popolazione in un grande abitato vicino a terreni facilmente coltivabili e a vie naturali di comunicazione, come la piana costiera, la valle del Marta e le valli minori dei suoi affluenti, denunzia certo un grande mutamento nella struttura socio-economica di queste comunità primitive.
L 'iniziale processo di formazione "urbana" di età villanoviana (IX- VIII sec. a.C.) si realizza in un quadro topografico ben più ampio di quello della futura città storica che occuperà i pianori contingui di Pian di Civita e Pian della Regina. Sembra infatti che nel IX secolo e almeno fino alla metà dell'VIII, all'abitato sulla Civita, la cui estensione risulta peraltro maggiore di quella delimitata in età storica dalla cinta fortificata (150 ettari rispetto a 135), si affiancasse una serie di insediamenti situati sul vicino colle dei Monterozzi dove, a partire dal VII secolo, si svilupperà la grande necropoli cittadina. All'insediamento principale sulla Civita si riferiscono le necropoli poste a corona sui colli circostanti (Poggio Gallinaro, Poggio Selciatello, Poggio Selciatello di Sopra, Poggio dell'Impiccato, Poggio della Sorgente, Poggio Quarto degli Archi) e nella valle del S. Savino. Sul colle dei Monterozzi sono riconoscibili invece almeno tre nuclei abitativi: in corrispondenza dell'estremo sperone occidentale nei pressi della medioevale Chiesa di S. Maria in Castello, in località Calvario e in località Infernaccio, cui corrispondono verosimilmente le necropoli delle Rose, delle Arcatelle e di Villa Falgari; recentemente, ad est di Villa Falgari, in località Acquetta è stato individuato un quarto abitato con il relativo sepolcreto.
Materiale dell'età del ferro è stato trovato anche sulla costa, nei pressi delle Saline, a sottolineare quella vocazione dei traffici marittimi che caratterizza Tarquinia fin da questo periodo. Nei decenni centrali dell'VIII sec. a.C. la struttura societaria subisce una sostanziale modifica, a causa del contatto con il mondo greco che diventerà determinante con la fondazione dei più settentrionali stanziamenti euboici in occidente: l'emporio di Pithecusa (lschia, 770 a.C.) e la colonia di Cuma (metà dell'VIII sec. a.C.), sorti ai margini dell'area dominata dalla cultura villanoviana. Tarquinia deve aver svolto un ruolo di primaria importanza nel commercio del ferro, del piombo, del rame e dello zinco dei monti della Tolfa, di cui sembrerebbe che la città abbia avuto il controllo almeno fino all'emergere di Caere alla fine dell'VIII secolo; probabile è anche il suo ruolo di mediatrice nel traffico dei metalli dell'Etruria settentrionale (l'isola d'Elba e le collinete metallifere della Toscana). Dal momento dell'impatto con le più antiche colonie greche di occidente le tombe di Tarquinia si arrichiscono di importazioni greco-orientali. Un eccellente esempio del livello socio-economico raggiunto dall'aristocrazia tarquiniese nella fase più matura del periodo villanoviano (terzo quarto dell 'VIII sec. a.C.) è costituito dal corredo della Tomba del Guerriero, scavato nella seconda metà del secolo scorso e conservato nei Musei di Berlino: il defunto, un guerriero appunto, indossava una completa armatura da parata con pettorale bronzeo placcato in oro, era armato di lancia, scudo, pugnale ed ascia ed aveva un ricco corredo di accompagno con preziosi oggetti personali (fibule d'argento) e splendido vasellame di ceramica, di lamina bronzea, d'argento e di legno. A partire dall'ultimo quarto dell'VIII secolo, alla cultura "villanoviana", fenomeno indigeno, si sostituisce la cultura "orientalizzante", così denominata appunto perche permeata di elementi greci ed orientali e che costituisce un fenomeno esteso a tutto il bacino del Mediterraneo.
È questo il momento in cui nei grossi centri dell'Etruria meridionale si va ormai concludendo quel processo di formazione urbana che, come si è visto, ha preso avvio nel periodo villanoviano. A Tarquinia l'abitato si concentra sulla Civita, mentre gli insediamenti sui Monterozzi vengono abbandonati ed il colle da questo momento diventa sede del principale sepolcreto cittadino. Si conclude parallelamente quel processo di stratificazione sociale che vède l'emergere di un ceto aristocratico sempre più chiaramente distinguibile per la monumentalità dei propri sepolcri e la ricchezza dei corredi funerari; ceto aristocratico che si configura comunque ancora come classe "aperta", in esso confluiscono cioè elementi stranieri provenienti da regioni vicine e lontane, attirati e coinvolti negli interessi commerciali della città: l'italico Numerio documentato da un'iscrizione incisa verso il 700 a.C. su una coppa protocorinzia; il greco Hipucrates sepolto forse nel tumulo della Doganaccia e lo stesso Demarato, il nobile corinzio ricordato dalle fonti.
Tarquinia, nel corso del VII secolo, sembra comunque aver perso quella preminenza economica e culturale che in epoca villanoviana aveva rispetto alle città vicine; è possibile che questo sia almeno in parte dovuto all'espansione territoriale degli altri centri ed è probabile, ad esempio, che Cerveteri da questo periodo abbia strappato ai potenti vicini il controllo dei centri minerari dei Monti della Tolfa. La città viene comunque ancora definita dalle fonti antiche "grande e fiorente" (Dionigi di Alicarnasso) se non addirittura "la più ricca d'Etruria" (Cicerone), allorchè, nei decenni centrali del VII secolo, vi approdò e vi si stabilì il nobile corinzio Demarato che dalla Grecia vi avrebbe introdotto le arti e le lettere. Ai profondi sconvolgimenti del contesto sociale corrispondono ovviamente modificazioni dell'evidenza archeologica. Un fenomeno tra i più appariscenti è la contemporanea monumentalizzazione dell'abitato e della necropoli e, a livello di quest'ultima, il sempre più evidente divario fra i corredi funerari degli aristocratici e le povere sepolture delle classi subalteme.
Sull'abitato, a partire dai primi decenni del VII secolo, alle "capanne" si vanno affiancando strutture abitative più consistenti, in muratura, certamente all'inizio limitate alle residenze di principi e sacerdoti. Nella necropoli, contemporaneamente, alle tombe principesche della seconda metà dell'VIII secolo, ancora semplici cassoni dentro fosse come la Tomba del Guerriero, si vanno sostituendo sepolcri monumentali. Si tratta di camere spesso sovrastate da tumuli (monti di terra) imponenti, realizzate con tecniche differenti: scavate completamente nel banco di roccia (tomba di Bocchoris, tumuli del Leoncino, dell'Infernaccio e Zanobi) o parzialmente scavate nella roccia e completate con blocchi squadrati (tumulo I della Doganaccia, tumulo A vvolta) o completamente costruite con blocchi di pietra (tumuli di Poggio Gallinaro e Poggio del Forno). Lo schema caratteristico di questi sepolcri, di età orientalizzante prevede una camera a pianta rettangolare allungata con pareti a profilo ogivale e soffitto solcato alla sommità da una fenditura lopgitudinale sigillata da pesanti lastroni. La camera sepolcrale è preceduta da un ampio vestibolo a cielo aperto, forse usato per le cerimonie di culto, come suggerisce l'esempio grandioso del tumulo dell'Infernaccio. La prosperità di Tarquinia in età orientalizzante è in buona parte ancora da ricercarsi, come nel periodo precedente e come per le altre città costiere dell'Etruria Meridionale, nella funzione mediatrice tra i centri produttori di metalli dell'Etruria Settentrionale ed i commercianti greci dell'Eubea, stanziatisi sulle coste della Campania. Ai commerci con i greci si sovrappongono e si intrecciano quelli con i naviganti orientali (fenicio-punici) che spesso si appoggiano per i loro traffici agli empori e alle colonie greche dell'Italia Meridionale. Le rotte commerciali privilegiate dai tarquiniesi sembrano essere state quelle marittime con navigazioni costiere di piccolo cabotaggio, che dovevano avvenire di giorno e per piccole tappe; al calar della notte la nave veniva tirata a secco o trovava riparo alla foce di un fiume o all'interno delle lagune e dei piccoli stagni costieri di cui all'epoca era ricco il litorale tirrenico. Non conosciamo l'ubicazione esatta del porto di Tarquinia in età orientalizzante; essa non coincideva comunque con lo scalo di Gravisca attivo solo, sembra, dall'inizio del VI sec. a.C., ma potrebbe invece aver sfruttato più a nord la stessa foce del fiume Marta, come sembra confermare la scoperta avvenuta nel 1988 di una ricca tomba orientalizzante con oreficerie e altri oggetti preziosi nella piana costiera in località Piano S. Nicola, sulla riva destra del fiume.
Anche dalle Saline, a sud di Gravisca, proviene un ricco corredo funerario del VII secolo, ora conservato al Museo del Louvre. Oltre ai metalli altri tipi di prodotti costituivano certamente oggetto di scambio da parte della città, quali il legname, i tessuti e le derrate alimentari; di essi purtroppo, per la loro natura deperibile, ci sfugge in genere l'evidenza archeologica. Un raffinato artigianato in legno è documentato dai rapporti di scavo ma pochi sono gli oggetti superstiti. Sappiamo poi che il lino era prodotto in abbondanza a Tarquinia ancora nel tardo III sec. a.C.: Livio infatti ricorda il lino per vele di navi che la città offrì a Scipione per la spedizione africana in occasione della seconda guerra punica nel 205 a.C. Cosa davano in cambio ai Tarquiniesi i commercianti greci ed orientali? Certamente, come prima cosa, altri oggetti: vasellame dipinto i Greci, chincaglierie e oggetti di lusso in materiali preziosi (oreficerie, uova di struzzo, vasellame d'argento e di falence) i Fenici. Di tutti questi manufatti abbondano le tombe orientalizzanti della necropoli dei Monterozzi. Il rapporto sistematico con greci ed orientali comporta, come si è detto, lo stanziamento a Tarquinia di artigiani immigrati che presto si integrano nella struttura sociale e politica della città e nelle loro botteghe danno avvio ad una intensa attività artigianale di imitazione che si affianca e poi sostituisce i preziosi e quindi costosi oggetti di importazione.
Ma il rapporto con i Greci non si limita certamente all'introduzione di oggetti e nuove tecnologie. Questo non è che un aspetto minore di un ben più complesso fenomeno destinato a modificare gradualmente il contesto sociale cittadino con l'introduzione, ad esempio, di strumenti di cultura, primo fra tutti l'alfabeto. Si ritiene che la scrittura sia stata introdotta e codificata proprio a Tarquinia prima che altrove; qui infatti è stata trovata la più antica iscrizione etrusca finora nota, risalente alla fine dell'VIII sec. a.C. e incisa su una coppa corinzia. L' introduzione di modelli politici e ideologici porta poi la classe dominante locale, come quella delle altre grandi città etrusche, a far proprio lo stile di vita ed i costumi delle aristocrazie greche e orientali. Si pensi ad esempio all'introduzione dell'uso del simposio, già evidente nei sontuosi vasi della tomba di Bocchoris dell'inizio del VII sec. a.C.. L'adozione di nuove tecniche militari porta infine al graduale accoglimento della tattica oplitica già intuibile nel tipo di armature rinvenute nella Tomba del Guerriero e nel tumulo Avvolta.
Nel VI e nei primi decenni del V sec. a.C. Tarquinia è al suo apogeo urbano. Questo momento di massima potenza corrisponde a decenni di grande splendore economico e politico ed è testimoniato in maniera evidente dallo sviluppo della necropoli e dalle vicende del santuario emporico di Gravisca. Nella principale necropoli cittadina, la necropoli dei Monterozzi, nasce, si sviluppa e raggiunge la massima fioritura il fenomeno della pittura funeraria che diventa da questo momento lo specchio fedele dell'ideologia dominante. Non è più attraverso la monumentalità del sepolcro che l'aristocrazia cittadina sottolinea la propria condizione sociale privilegiata ma attraverso le pitture che decorano le pareti delle camere sepolcrali ridotte anzi ora ad ambienti di modeste dimensioni e contraddistinte in superficie da tumuletti di diametro simile a quello delle tombe sottostanti. Paradigmatico della potenza della città è inoltre lo sviluppo del porto di Gravisca e del santuario situato ai suoi margini, la cui nascita sembra risalire agli inizi del VI sec. a.C. La vivacità dello scalo Tarquiniese frequentato da mercanti stranieri provenienti in prevalenza dalla Grecia dell'Est (Asia Minore) e al cui seguito giungevano artigiani e artisti, raggiunge la punta massima tra il 550 ed il 500 a.C. ed è un indice sicuro della potenza economica di Tarquinia.
A questi mercanti ed artigiani stranieri che in epoca precedente, quando la città andava organizzandosi, venivano accolti ed assorbiti nel corpo cittadino (vedi il caso del corinzio Demarato), viene ora destinato uno spazio extraurbano nel porto di Tarquinia e qui vengono loro garantiti luoghi di culto dedicati alle proprie divinità. Ed è grazie all'opera dei pittori greco-orientali richiamati a Tarquinia per offrire i loro servigi alla ricca classe aristocratica locale che il fenomeno delle tombe dipinte raggiunge, a partire dal 530 a.C. circa, il massimo splendore. Anche per i ceramisti ateniesi Tarquinia diventa ora un grande mercato nel quale fare arrivare, specie a partire dalla seconda metà del VI secolo, vasellame di prestigio; grande abbondanza di ceramica attica hanno restituito infatti gli scavi della necropoli cittadina. Meno illuminante sullo splendore della città in epoca arcaica rispetto alle scoperte della necropoli e del porto è, per il momento, lo scavo dell'area urbana, scarsamente e meno sistematicamente esplorata. Ma il ritrovamento in più punti della Civita di terrecotte architettoniche arcaiche, cioè di quegli elementi di argilla che proteggevano e decoravano le strutture lignee dei tetti degli edifici antichi, è indizio sicuro di una intensa attività edilizia (templi, edifici pubblici e privati). Non sappiamo quanto esteso fosse l'abitato in questo periodo poiche la cinta fortificata attualmente visibile sembra risalire ad epoca più recente. È stato ipotizzato che l'insediamento di età arcaica (VII e VI secolo) fosse limitato al pianoro occidentale (Pian di Civita) e che solo in epoca successiva (non prima della fine del V secolo) si sia esteso ad Est sul contiguo Piandella Regina; qui comunque, già nella prima metà del VI secolo, esisteva un importantissimo santuario, nel luogo dove due secoli più tardi verrà costruito il grandioso tempio dell' Ara della Regina.
Alla fine del VI secolo la potenza dell'aristocrazia urbana trova un significativo riscontro nell'espansione di Tarquinia nel territorio dell'entroterra fino al lago di Bolsena (che era infatti noto col nome di lacus tarquiniensis) ai danni dei centri minori di cui è evidente l'impoverimentose non il completo abbandono: nel quadro di questa espansione sembra rientrare, àd esempio, la distruzione dell'abitato di Acquarossa nei pressi di Viterbo.
A partire dal secondo quarto del V sec. a.C., come tutte le grandi città dell'Etruria centrale tirrenica, anche Tarquinia risente della crisi politico-sociale che si è voluta da un lato collegare con la più generale situazione mediterranea conseguente alle guerre persiane e alla perdita della talassocrazia etrusca nel Tirreno, ma che è senz'altro più direttamente legata alle difficoltà economiche e politiche cui va incontro il vecchio ceto aristocratico e alle tensioni di classe e agli scontri sociali che caratterizzano questi decenni. Tra la fine del VI e gli inizi del V secolo si assiste, a Roma e nelle città latine, alla caduta delle istituzioni monarchiche, alla nascita di quelle repubblicane e ai primi conflitti patrizio-plebei. Contemporaneamente, in Etruria, in alcune città dell'estremo sud come Caere e Veio, sembrano prevalere soluzioni democratiche o radicali (tirannia), mentre in altre città, come è il caso di Tarquinia, la vecchia aristocrazia si arrocca nelle sue posizioni di privilegio. Conseguenza delle difficoltà politiche, economiche e sociali di questi anni turbolenti è, da una parte, la recessione che colpisce i ceti meno abbienti e, dall'altra, la crisi di comportamento della vecchia aristocrazia con tendenza alla limitazione del lusso e dei consumi. Diminuisce vertiginosamente l'importazione della popolare ceramica attica, la produzione artigianale ristagna, l'edilizia pubblica si arresta (non troviamo più, infatti, terrecotte architettoniche dopo i primi decenni del V sec. a.C.). La pittura delle tombe si irrigidisce in moduli ripetitivi mentre appaiono i primi indizi di una nuova concezione dell'oltretomba di tipo ellenizzante. Anche lo scalo di Gravisca, con il santuario, sembra subire significativamente un drastico ridimensionamento.
Tra la fine del V secolo e gli inizi del successivo la città, protagonista di un forte processo di rinascita, sembra aver risolto i propri problemi sociali con trasformazioni istituzionali e politiche che portano ad un rinnovamento della vecchia oligarchia di tipo tradizionale e alla nascita di gentes di rango minore e di una "classe media" fino allora sconosciuta. Tarquinia sembra ora assumere la guida della confederazione etrusca mobilitata in difesa della minaccia celtica da Nord ma soprattutto di quella ben più pericolosa della potenza romana da Sud.
Con una sorta di fenomeno di colonizzazione cui partecipano spesso membri di famiglie gentilizie tarquiniesi, il vasto territorio circostante si popola di nuovo di fiorenti centri abitati quali Tuscania, Norchia, Castel d' Asso, S. Giuliano e S. Giovenale. Allo stesso periodo data inoltre la ripresa del culto nel santuario emporico di Gravisca, in maniera consistente anche se in forme diverse che nel passato. Questa nuova fase di floridezza comporta la ripresa delle attività edilizie con la costruzione dell' imponente cinta fortificata lunga circa 8 krn, databile forse allo scorcio del V secolo e che viene a delimitare una superficie urbana di ben 135 ha. Vengono poi ristrutturati i principali edifici cittadini, primo fra tutti il santuario dell'Ara della Regina, con la costruzione del grandioso tempio le cui vestigia sono tuttora visibili. Intensa dovette essere l'attività edilizia su tutto il pianoro come documenta il rinvenimento di numerose terrecotte architettoniche databili a partire dalla prima metà del IV secolo. Numerosi dovevano essere gli edifici sacri cittadini: iscrizioni dedicatorie ed ex voto testimoniano infatti la presenza di culti dedicati ad Artumes, corrispondente alla latina Diana, a Suri, una divinità assimilabile ad Apollo, a Selvans, analogo al latino Silvanus, a Culsans, dio bifronte simile al latino Giano e a Thuflthas, divinità indigena di cui ignoriamo anche l'aspetto.
Dalla prima metà del IV sec. a.C. assistiamo ad un nuovo fiorire dei grandi sepolcri dipinti per la nuova aristocrazia e al proliferare di tombe di piccole e medie dimensioni per la classe media emergente. Riprendono inoltre le produzioni artigianali al servizio della classe aristocratica e dei ceti medi: sarcofagi e sculture funerarie in pietra e, anche se in misura modesta, ceramiche a figure rosse e sovradipinte. Se è esatta l'interpretazione data al testo degli elogia tarquiniensia, iscrizioni latine della prima età imperiale rinvenute presso il tempio dell'Ara della Regina e dedicate alla memoria e alle gesta di una grande famiglia aristocratica Tarquiniese, quella degli Spurinna, proprio il capostipite degli Spurinna, Velthur, sarebbe stato uno degli artefici della rinascita della città e avrebbe compiuto grandi imprese militari come il comando di una spedizione dell'esercito etrusco al fianco di Atene contro Siracusa nel 414/413 a.C..
Ricostruzione
del monumento degli elogia agli Spurinna
L'organizzazione politica di Tarquinia in questo periodo è più chiara che in epoca precedente, grazie al gran numero di iscrizioni arrivate fino a noi, generalmente incise sui sarcofagi o dipinte sulle pareti delle tombe. Il processo di trasformazione dal potere monarchico a quello repubblicano, avviatosi forse parallelamente a Roma già nella seconda metà del VI secolo, appare ora definitivamente concluso. La città è retta da un magistrato supremo: lo zilath; tale magistratura, eponima e collegiale, poteva essere ricoperta più volte. Gli zilath, detentori del potere politico e militare, erano affiancati da magistrati di secondo ordine cui erano affidate le funzioni amministrative.
Come abbiamo visto, lo scontro definitivo tra Tarquinia, ancora potente e alla testa della lega delle città etrusche, e Roma, data al 358-351 a.C. e si conclude con una tregua di 40 anni allo scadere della quale, dopo un nuovo scontro armato conclusosi nel 308 a.C., la tregua viene rinnovata per un uguale periodo. Di queste vicende conosciamo la versione romana tramandataci da Tito Livio, ora integrata con la versione etrusca fornita da alcuni frammenti degli elogia relativi alle gesta di Aulo Spurinna, figlio o nipote del capostipite Velthur.
Negli anni precedenti la tregua del 308, che segna il blocco di ogni possibile rilancio economico della città, Tarquinia tenta di darsi una monetazione propria ad opera, sembra, della gens Pinie, proprietaria della tomba "Giglioli", uno degli ultimi grandi ipogei gentilizi dipinti di età ellenistica. Nel corso della prima metà del III sec. a.C. la città viene definitivamente sconfitta coo la confisca della fascia costiera del territorio dove un secolo più tardi, nel 181 a.C., sul sito dell'antico porto ormai inutile di Gravisca, Roma fonderà una colonia marittima. La città, sotto il controllo romano, non contempla più evoluzioni e rinnovamenti, ed il segno più evidente dell'impoverimento della sua classe aristocratica è dato dalla sparizione, tra la fine del III ed i primi decenni del II sec. a.C., degli ipogei dipinti, mentre sempre più numerose sono le piccole e modeste tombe dei ceti urbani poveri. Emblematica della posizione sociale di questi ultimi è la sepoltura di una certo laris felsnas, un povero tarquiniese di modesta origine costretto, come dice il suo epitaffio, ad arruolarsi come mercenario nell'esercito di Annibale durante il suo passaggio in Italia nel 216 a.C. Dopo il 90 a.C. anche Tarquinia, come gli altri popoli etruschi, riceve il diritto di cittadinanza romana e diventa un municipio retto da un collegio di quattro magistrati (quattuorviri). Alcuni membri delle grandi famiglie gentilizie tarquiniesi entreranno nel Senato di Roma ed è proprio uno degli Spurinna, passato come aruspice al servizio di Cesare, a metterlo invano in guardia dalle Idi di Marzo. Nel tardo periodo imperiale la decadenza diventa inarrestabile e nell' alto medioevo l'altipiano della città gradatamente si spopola finchè, nell'VIII sec. d.C., la sede episcopale si sposta nella vicina Corneto e la Civita è definitivamente abbandonata.
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