VEIO

     

 

La Storia

Benchè la localizzazione di Veio (etr. Vei, forse Veia) risalga al XVII secolo, l'interesse per la sua etruscità si circostanzia nella prima metà dell'Ottocento, in coincidenza con le estese esplorazioni condotte nelle sue necropoli, i corredi delle quali arricchirono di preziosi reperti le Collezioni Vaticane. Oltre a qualche saggio effettuato nell'area urbana, proprio sul finire degli anni Trenta dell'ottocento furono infatti indagate le aree sepolcrali di Quattro Fontanili e Picazzano, mentre pochi anni dopo l'attenzione fu rivolta a un altro importante nucleo di tombe in località Monte Michele, ove venne alla luce la celebre Tomba Campana, raro esempio di sepolcro a camera di epoca Orientalizzante affrescata. Alle ricerche veienti sono legati i nomi di alcuni dei più importanti protagonisti dell'archeologia romantica (Luigi Canina, Secondiano Campanari, il Marchese Campana, Rodolfo Lanciani), mentre il secolo successivo il Novecento ha proficuamente incrementato la documentazione veiente con una più accurata esplorazione nel perimetro urbano, con la scoperta del santuario in località Campetti e di quello, assai famoso, in località Portonaccio, teatro di ritrovamenti eccezionali negli anni in cui vi si adoperarono Ettore Gàbrici, nel 1914, Giulio Giglioli ed Enrico Stefani sino agli interventi di Massimo Pallottino, insigne etruscologo, al volgere degli anni Trenta, nonchè con il prosieguo degli scavi nelle necropoli.

 

Veio – Scavi a Piazza d’Armi

 

Tra i numerosi rinvenimenti vale una menzione la tomba "principesca" di epoca Orientalizzante dalla necropoli di Monte Michele, che rientra nel novero delle sepolture di personaggi eminenti deposti con ricco corredo funebre. Il quadro che emerge suggerisce il profilo di una città che ebbe una sua fiorente fase di vita soprattutto in epoca Orientalizzante e arcaica (VII-V secolo a.C.), sino alla distruzione perpetrata dai Romani nel 396 a.C. Di nessun'altra città etrusca possediamo così tante notizie letterarie, anche se, in effetti, esse si riferiscono quasi esclusivamente agli eventi bellici del V secolo a.C. Veio era in origine governata da re: abbiamo i nomi, molto antichi, di Morrio (che discendeva da Halesos, il presunto fondatore di Falerii, città spesso alleata di Veio) e di Properzio. Secondo le fonti Veio sarebbe stata in lotta con Roma già dai tempi di Romolo, combattendo contro di essa ben quattordici guerre, con Falerii, Fidene e Capena (dove il semileggendario e già citato re Properzio avrebbe dedotto una colonia di Veienti) come alleati principali.

I Fasti di Roma ricordano un trionfo sui Veienti (e i Tarquiniesi) del primo console Publio Valerio Publicola, nel 509 a.C. e un altro sui Veienti del suo figlio omonimo nel 475. È significativo anche il ricordo della sconfitta subita dalla potente gens romana dei Fabii, nel 479 a.C. presso il fiume Cremera, nel corso di una sorta di guerra privata contro Veio. Nel 437, durante una battaglia, lo stesso re di Veio Larte Tolumnio (etr. Larth Tulumnes: si noti che questo gentilizio è attestato su epigrafi di Veio del VI secolo a.C.) fu ucciso dal tribuno militare romano Aulo Cornelio Cosso. Riaccesesi le ostilità, nel 426 a.C. Veio chiese l'aiuto delle altre città etrusche, senza del resto ottenerlo e potendo contare sull'appoggio dei soli alleati tradizionali (Falerii, Fidene, Capena). Secondo la tradizione annalistica, nel 406 a.C. i Romani cominciarono un assedio decennale che culminò nel 396 con la caduta e il totale saccheggio della città di Veio. È interessante la notizia, riportata da Livio, secondo cui una delle ragioni principali del mancato soccorso ai Veienti, nella guerra finale, da parte delle altre città etrusche fu il fatto che, dopo aver attraversato un breve periodo repubblicano (ricordiamo che ancora nel 426 era re Larte Tolumnio), attorno al 403 a.C. gli abitanti di Veio, stanchi delle discordie provocate dalle beghe elettorali, decisero di tornare al sistema monarchico, scegliendo per di più come re una persona (di cui ignoriamo il nome) arrogante e invisa agli altripopuli etruschi (ma forse era l'istituto regio, più che la persona, a essere inviso alle altre aristocrazie etrusche).

Dopo la distruzione l'altopiano di Veio non fu completamente abbandonato, ma venne ripopolato, anche se ormai il centro aveva perso ogni importanza. Il territorio di Veio, l'ager Veiens, fu confiscato nel 387 a.C., dopo il sacco gallico di Roma. La conquista di Veio fu per Roma il primo importante trionfo su un grande centro avversario e le apriva significativamente la strada verso l'Etruria meridionale. Se Veio costituisce il centro etrusco più prossimo a Roma, la sua contiguità con le genti di lingua latina e falisca ne ha inevitabilmente designato la vocazione culturale essendo incuneato in un comprensorio marcato dal percorso fluviale del Tevere che poneva naturalmente in comunicazione reciproca etnie e popoli diversi. La relazione con le più importanti metropoli dell'Etruria meridionale e, in particolare, con Roma sono paradigmaticamente esemplificate nell'episodio di Vulca, grande scultore e coroplasta veiente attivo sul finire del VI secolo a.C. chiamato a Roma per plasmare la divina quadriga destinata a ornare il fastigio del tempio di Giove Capitolino (Plinio, Storia Naturale, 35, 157). Egli è l'unico artista etrusco del quale si conosca il nome, celebrato per il suo magistero artistico anche dalle fonti storico-letterarie.  

 

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