Vulci - Area Archeologica
I Santuari
Il più importante monumento
religioso di Vulci era il cosiddetto Tempio Grande, nella zona nord-occidentale
della città etrusca ove transitava un'importante strada urbana. Il sacro
edificio conobbe un lungo arco di vita, dall'epoca arcaica (VI secolo a.C.) sino
a quella romana, come si deduce dall'analisi stilistica e iconografica delle
terracotte architettoniche. Ignoriamo quale fosse la/le divinità titolare/i del
culto. L' edificio sorgeva su un basamento lungo oltre quaranta metri e largo
circa ventotto, foderato da paramento in nenfro. La terrazza era accessibile
mediante una scalea centrale. Quanto alla pianta, tutt' intorno alla cella, che
molto probabilmente era una sola, correva una perìstasi di colonne in
travertino, sei sui lati lunghi e quattro su quelli brevi, in doppia fila sul
lato dell'ingresso. Questo edificio rappresenta un insolito caso di "ordine
architettonico misto", nel quale confluiscono elementi sia etruschi che
greci, e ricorda proprio per questa peculiarità il tempio B di Pyrgi. Fuori
delle mura un santuario sorgeva in località Fontanile di Legnisina, almeno a
partire dal principio del V secolo a.C.,
dal quale pure provengono terrecotte architettoniche di buon livello
qualitativo.
Disposte a corolla intorno alla città antica, le principali necropoli vulcenti si trovavano in località Ponte Rotto, Cuccumella e Cavalupo (necropoli orientali), a Osteria, Castello della Badia, Poggio Maremma e Marrucatello (necropoli settentrionali), Tamariceto, Polledrara e Ponte Sodo (necropoli meridionali). Diverse plessi cemeteriali, indagati nel corso dell' Ottocento cui datano molte delle più importanti scoperte dell'archeologia vulcente, hanno restituito anche in tempi recenti contesti importanti: tra questi si può ricordare la Tomba dei Vasi del Pittore di Micali, nel settore centrale della necropoli di Osteria (scavo 1998), che conteneva numerosi vasi dipinti a figure nere di questo artista la cui bottega operò in Etruria meridionale alla fine del VI secolo a.C. In generale, se si prescinde da alcuni complessi notevoli, quali la Cuccumella, la Tomba del Sole e della Luna, le camere ipogee a Ponte Rotto-Cavalupo e naturalmente dalle tombe dipinte, le necropoli vulcenti non si caratterizzano per le risultanze monumentali che improntano la storia dell' architettura di Cerveteri e Tarquinia. La Cuccumella del Ponte Rotto era un grande tumulo di diametro superiore a sessanta metri e con un'altezza pari a circa diciotto: scavata nel 1829 da Luciano Bonaparte, che la rinvenne violata, restituì ai suoi scopritori una coppia di sculture funerarie, due sfingi. La presenza di un grande ambiente che precede la camera funeraria vera e propria, simile ai casi di Grotta Porcina (Blera) e di Grotta della Regina (Tuscania), ha indotto a valutare l'ipotesi che si potesse trattare di un ambito spaziale destinato a cerimonie in onore dei defunti o giochi funebri. Una menzione meritano anche alcuni complessi della necropoli della Polledrara, quali la Cuccumelletta, una tomba a cinque camere anch'essa venuta in luce nella prima metà dell'Ottocento grazie alle cure del Principe di Canino, e la Tomba di Iside, con ricco corredo di manifattura locale e di importazione dal vicino Oriente: il nome deriva da una statua femminile stante e ignuda in gesso alabastrino, di produzione verosimilmente greco-orientale.
La tipologia che prevale invece dall'epoca
Orientalizzante sino al tardo arcaismo (VI- V secolo a.C.) è quella del
cassone, ovvero del vestibolo sul quale affacciano più camere, anche su livello
diverso, e cui si accede tramite un lungo dromos. Purtroppo il riscontro
offerto dai corredi disattende le speranze di ricostruire pienamente la
ricchezza delle necropoli vulcenti di quest' epoca, se fa fede quanto riportato
da George Dennis il quale menzionava ai suoi tempi migliaia di sepolcn violati.
In epoca ellenistico-romana (IV-III secolo a.C.) sono invec.e documentate le
tombe con pianta a "T" o a tablino: un lungo corridoio (dromos) irnmette
direttamente in un ambiente ipogeico dal quale si diramano le camere sepolcrali;
l'esempio più celebre è offerto dalla tomba Francois, appartenuta alla
famiglia Saties, fastosamente decorata con scene dipinte dal ciclo
troiano: Eteocle e Polinice, il combattimento degli eroi vulcenti Aulo e Celio
Vibenna, la liberazione di quest'ultimo da parte di Macstma, secondo la
tradizione riportata dall'imperatore Claudio identificabile con il futuro re di
Roma Servio Tullio, Marce Camitlnas che uccide Cneve Tarchunies Rumach,
ossia Gneo Tarquinio Romano. Alcuni di questi ipogei dalle prerogative
planimetriche e architettoniche più monumentali appartenevano a famiglie locali
importanti, quali i Tutes, i Tamas, i Tetnies.
Con l'epoca pienamente romana compare anche una forma semplificata, quella della tomba "a corridoio", sul quale si aprono diversi piccoli ambienti. I corredi funerari di Vulci sono conservati al Museo Etrusco di Villa Giulia, presso l' Antiquarium del Castello della Badia a lato del ponte etrusco-romano sul fiume Fiora, mentre importanti reperti vulcenti sono dispersi fra il Museo Archeologico di Firenze, il Museo Torlonia di Roma, il Louvre di Parigi e il British Museum di Londra. A Boston si conservano i due celebri sarcofagi degli Sposi, con coperchio figurato che reca l'immagine a bassorilievo dei due coniugi sdraiati (IV secolo a.C.).
La
megalografia funeraria, ossia la pittura di grandi dimensioni nella tombe a
camera, non costituirebbe nella storia dell'arte vulcente un capitolo di
particolare rilevanza, considerando che vi sono due soli esempi degni di essere
ricordati; a fronte della più consumata familiarità con questa pratica
decorativa che ebbero gli artisti di altre due metropoli costiere, Tarquinia e
Cerveteri, il caso di Vulci parrebbe assolutamente secondario. In realtà alla
debolezza sul piano numerico fa riscontro la straordinarietà di due
testimonianze rinvenute, entrambe di epoca ellenistica: si tratta della Tomba
Campanari e della Tomba Francois, così chiamate dai nomi dei rispettivi
scopritori. La Tomba Campanari, sul versante settentrionale del pianoro ove
sorgeva la città e non lontano dal Ponte della Badia, è sfortunatamente
perduta ed è nota solo da antiche riproduzioni. A camera unica sorretta da una
colonna centrale con bellissimo capitello figurato (teste femminili tra elementi
vegetali, conservato al Museo Archeologico di Firenze), la tomba recava sulle
pareti cortei di figure femminili, maschili e di fanciulli, demoni infernali (Ade
e Persefone?).
Impossibile precisare come si articolasse l'apparato figuratìvo, poiche le pitture erano già in cattivo stato di conservazione al momento della scoperta e le riproduzionì che furono allora approntate presentano tra loro alcune variantì. La datazione, sulla base dei "calchi" iconografici che consentono una valutazione stilistica, dovrebbe porsi nell'ambito del III secolo a.C. La Tomba Campanari conobbe la sua stagione di notorietà, insieme ad altre da Tarquinia, Tuscania e Bomarzo, grazie alla mostra che gli stessi fratelli Campanari allestirono a Londra nel 1837 e in occasione della quale fu esposta anche questa, rinvenuta quattro anni prima, come unico esempio di tomba dipinta. Più compiuto ed eccezionale sul piano figurativo e contenutistico l’apparato pittorico della celebemma Tomba Francois, organizzato m un vero e proprio ciclo narrativo arricchito di precisi riferimenti storico-mitologici e simbolici.
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